venerdì 31 luglio 2015

Cannabis: una legge per legalizzare la droga di inizio


Da: AzioneTradizionale.com
(intelligonews.it) – Fallimento assoluto: sia per gli effetti al cervello, sia per il messaggio che diamo ai giovani”. E’ netta l’analisi di Alessandro Meluzzi, psichiatra, da sempre impegnato nelle comunità di recupero per tossicodipendenti e persone con problemi psichici collegati all’uso di sostanze. AIntelligonews spiega i motivi del suo no.
Favorevole o contrario alla proposta di legge bipartisan sulla legalizzazione della cannabis?
«Assolutamente contrario per tre ordini di motivi. Primo: la cannabis fa molto male in sé. Che sia privata, di Stato o legale è un potente psicodislettico che nei dosaggi comunemente assunti produce effetti psicotizzanti e allucinogeni. Può essere efficace nella cura dei malati terminali, ma mi guarderei bene da trattare una quindicenne come un malato terminale. E il fatto di assimilare una quindicenne a un malato terminale, denota una civiltà che non sta bene. A questo punto gli potremmo dare la morfina, oppure il Toradol col caffelatte per evitare che gli venga il mal di testa. In questa proposta di legge c’è qualcosa di abnorme». 
E gli altri due motivi del no? Cosa risponde a chi sostiene che si tratta anche di una questione economica?
«No perché il mercato è velocissimo. Nell’immediato si limiterà ad affiancare la sostanza legalizzata ma poi si attiverà nella distribuzione di derivati di sostante tuttora illegale, ad esempio il crack che brucia il cervello già alla prima assunzione, per non parlare degli effetti prodotti sulla concentrazione. E allora cosa facciamo, la corsa agli armamenti? Il rischio, concreto, è che se viene legalizzata la cannabis, poi verrà legalizzato il crack, la cocaina o l’eroina. Si tratta di una iniziativa assurda che mostra poi una contraddizione in termini: da un lato facciamo, giustamente, campagne durissime e severe contro l’alcol e il tabacco e dall’altra legalizziamo una sostanza che fa molto male. Puniamo col ritiro della patente un padre di famiglia se beve un bicchiere di birra o di vino e poi distribuiamo la cannabis a chi la vuole. Non oso pensare le conseguenze su chi guida uno scooter o un’auto con riflessi rallentati: in quel caso che facciamo la ritiriamo la patente oppure visto che è legalizzata va tutto bene? Ma c’è un’altra considerazione non meno importante…».
Quale?
«Il disincentivo pedagogico. E’ un cattivo messaggio al mondo dei giovani. Non solo ma si innesta un meccanismo perverso perché la trasgressione si sposterà in avanti, verso altre frontiere. Se la cannabis diventa legale, allora la trasgressione sarà farsi una pippata di cocaina. I confini del piacere si spostano insieme alla possibilità di trasgredire e quindi la tendenza andrà sempre oltre. Insomma, questa proposta di legge è un fallimento assoluto». 
In base alla sua esperienza sul campo nelle comunità di recupero per tossicodipendenti, esiste la distinzione tra droghe pesanti e leggere e quindi farsi una canna è come bere birra o fumare una sigaretta?
«E’ una totale fesseria. Negli ultimi venti anni non ho mai visto un solo esordio di schizofrenia giovanile che non fosse associato al consumo di cannabis. Il che non vuol dire che farsi una canna significhi diventare schizofrenico, ma in soggetti con una predisposizione genetica vengono amplificati. Senza contare che ci si può drogare con tutto, con la colla o con la benzina ad esempio. Mentre bere un bicchiere di birra o di vino fa bene – ovviamente non l’abuso – non si può dire che una modesta assunzione di cannabis sia un nutrimento per l’organismo perché sicuramente è una sostanza che fa male al cervello. Ho un’esperienza professione di oltre trentanni iniziata lavorando nella comunità Incontro di don Gelmini e poi proseguita nella mia comunità “Agape Madre dell’accoglienza” e posso dire che come non ho mai visto uno schizofrenico che non abbia cominciato con la cannabis; così non ho mai visto un consumatore di droghe che non venisse dall’esordio con le cosiddette droghe leggere. Il che non significa che tutti arrivano all’eroina, ma ho visto questo trend in decine di migliaia di ragazzi che ho conosciuto e seguito»

giovedì 30 luglio 2015

Dal 31/07 al 02/08 - Magmatica 2015

Il caldo torrenziale non frena la festa comunitaria
Dal 31 Luglio al 2 Agosto...
Magmatica 2015!



+++ ULTIM'ORA +++ Clamoroso al Cibali
La Vecchia Sezione a Magmatica!
Il 31 luglio concerto live (meglio dal vivo che dal morto)
simu criccu, croccu e ‘mmanicu ‘i ciascu!

La Vecchia Sezione, sempre sulla linea del fuoco ..... 

Sessione di prove scatenate - Pronti a partire
#magmatica2015 #lavecchiasezione #cervantes



mercoledì 29 luglio 2015

Santa Marinella – Salviamo la "Stele dell'Apollo d'Oro"


Questa sera prende il via il festival di cortometraggi di Santa Marinella, "Short film fest" , che mette in palio l'Apollo d'Oro. Un premio che si fregia del nome che a Santa Marinella denomina anche la stele commemorativa di epoca romana dimenticata lungo la via Aurelia, la Stele di Apollo per l'appunto, il cui abbandono abbiamo segnalato l'anno scorso con il comunicato sottoriportato. Con la denominazione del premio "Apollo d'Oro" gli organizzatori e l'amministrazione hanno voluto evocare così il patrimonio culturale della Città evidenziando come stia loro a cuore la storia di Santa Marinella. In realtà, come la Stele di Apollo sta a dimostrare, è tutta fuffa.

Chi si occupa dei beni archeologici del nostro territorio?

Vogliamo che la bellezza sia rimessa al centro dell’attività dell’amministrazione comunale. Azionepuntozero desidera stigmatizzare con forza lo stato di abbandono che subisce uno dei più importanti reperti romani che ospita il nostro Comune.

Al Km 59,700 della via Aurelia, a fianco del cancello che reca il numero civico 138 è stata posta una “Stele” di marmo, trovata in due frammenti in un pozzo poco distante, alta circa due metri con iscrizione latina. Essa sta completamente scomparendo per l’incuria del proprietario, senza che il Comune stia muovendo un dito da anni. Il testo della Stele, commemora il rifacimento del “Ponte di Apollo” distrutto dalla furia del mare e dei fiumi, voluto dagli Imperatori Settimo Severo prima e Caracalla poi, con un probabile aggiornamento avvenuto nel 210 d.C. I resti del ponte di Apollo invece, ancora interrato, si conservano presso il Fosso di Castelsecco, tra la via Aurelia e il mare.

Ci sfugge il nome del delegato ai Parchi ed al verde pubblico – sempre se è stato nominato dal Sindaco,  ma qualcuno tra tanti assessori e delegati se ne sarebbe dovuto accorgere già da tempo. Cosa si aspetta che le fronde circondino la Stele e d’incanto, un giorno o l’altro, possa sparire senza saper più che fine ha fatto?

Oggi, 4 Febbraio – anniversario della morte del Sommo e Augusto Imperatore, Settimio Severo, avvenuta a York nel 211 d.C. – in suo onore, poniamo l’attenzione su questo problema e vogliamo che sia risolto al più presto dall’amministrazione comunale.

Il Direttivo di Azionepuntozero

domenica 26 luglio 2015

Evita Perón [ in memoriam ]


"Infine, voglio che tutti sappiano che se ho commesso qualche errore l'ho commesso per amore e spero che Dio, che ha sempre letto nel mio cuore, non mi giudichi per i miei errori, per i miei difetti e per le mie colpe che sono state molte, ma per l'amore che consuma la mia vita.
Le mie ultime parole sono le stesse dell'inizio: voglio vivere in eterno con Peron e con il mio popolo.
Dio mi perdonerà se preferisco restare con loro, perchè anche lui è dalla parte degli umili, e io ho sempre visto, in ogni "descamisado", un po' di Dio, che mi chiedeva quel poco di amore che mai gli ho negato."

Evita Perón, 26/07/1952 - 26/07/2015

venerdì 24 luglio 2015

Il Comune di Santa Marinella trascura il Monumento ai Caduti nel Centenario della Prima Guerra Mondiale


Riproponiamo una importante riflessione ai margini del Centenario della Prima Guerra Mondiale, che vede l'amministrazione di centro-destra santamarinellese trascurare il monumento ai Caduti per la Patria, giacente in una zona già  da tempo caduta in degrado, per concentrarsi piuttosto su improbabili "Notti in rosa" con bambine miss, e spendendo ingiustificatamente migliaia di euro di fondi pubblici per eventi che di culturale hanno ben poco.

Non poteva essere altrimenti, in un Comune nel quale sono più importanti le paillettes delle Miss e i raggi laser delle passerelle. Non poteva essere altrimenti, per una amministrazione con uno scarsissismo senso della cultura, della Storia e della memoria.

Nel Centenario dell’inizio della Grande Guerra, non solo il monumento ma tutta l’area che insiste intorno allo stesso, è in uno stato di profondo degrado. Tra l’altro in questa stagione che vede numerosi turisti e villeggianti, visitare la nostra incantevole Perla del Tirreno.

Il Monumento con i nomi dei martiri della Prima e della Seconda guerra mondiale è in uno stato di totale abbandono. Corone rinsecchite, colonnine divelte, sporcizia, cancello dell’area riservata sempre aperto, il piccolo  parco e le panchine distrutte, completamente abbandonate a loro stesse.

Quello che dovrebbe essere un recinto sacro, magari accompagnato in questo periodo da iniziative degne di nota per la doverosa rievocazione dell’immenso eroismo dei combattenti italiani ed europei, viene lasciato a se stesso.

Non ci meraviglia, in effetti questa distrazione fa il paio con la volontà ventilata, di vendere qualche immobile di proprietà del Comune, come se qualcuno gliene avesse dato mandato, per operazioni di triangolazione immobiliare.

Noi non crediamo che i nostri antenati meritino tutto questo, noi non crediamo che i nostri nonni e bisnonni si siano sacrificati per vedere questo scempio.

Noi crediamo e onoriamo il loro sacrificio. Per questo intimiamo all’amministrazione e in particolare al Sindaco Bacheca, di trovare i fondi opportuni, di risanare immediatamente l’area e rendere il doveroso omaggio ai martiri della nostra nazione.

Fonte: aurhelio.it

domenica 19 luglio 2015

19 luglio | Anniversario dell'attentato a Paolo Borsellino e del bombardamento Alleato su Roma

Oggi, vogliamo ricordare oltre al magistrato Paolo Borsellino, ucciso in un vile attentato dalla mafia, anche il bombardamento Alleato su Roma, che colpì principalmente il quartiere San Lorenzo. Due crimini accomunati non solo dalla data della ricorrenza ma anche dal legame fra i due mandanti. Del resto, persino la storiografia ufficiale è d'accordo nel ritenere che gli Alleati agevolarono la rinascita della mafia in Sicilia. Il caso non esiste.



sabato 18 luglio 2015

Unioni omosessuali: qualche ragione economica...



Alcune ragioni economiche a monte della mobilitazione pro-unioni civili.
Ma non dimentichiamo che il fine primo è l'ennesimo colpo di scalpello delle forze pluto-massoniche (multinazionali) per spaccare l'ultimo baluardo d'unità e perfezione: la famiglia.
Per giungere finalmente all'uomo sradicato e amorfo, plasmabile e malleabile a piacimento....


I fautori del matrimonio gay si ammantano dello splendore di chi agisce in difesa dei “diritti umani”. Basti pensare ad Amnesty International. Tra gli omosessualisti ci sono anche persone omosessuali che sinceramente vivono nel disagio e quindi aderiscono in buona fede a quella che loro credono una battaglia condotta per ideali alti e nobili.
In realtà c’è la mano di un burattinaio che muove i fili della guerra per la “liberazione” dei gay, come a suo tempo puntava alla liberazione sessuale, delle donne ecc: il grande capitale. La cosa non è nuova per i nostri lettori. Ad aprile scorso la nostra rivista mensile, Notizie ProVita, intitolava il Primo Piano “Soldi, soldi, soldi” e metteva in luce gli altissimi profitti delle industrie che sostengono la cultura della morte: dalla contraccezione all’aborto, dalla fecondazione artificiale alla riassegnazione del sesso.
Quanto al business che gira dietro al matrimonio gay abbiamo detto delle grandi multinazionali che premono e dell’indotto che lucra grossi guadagni dall’organizzazione e la celebrazione delle nozze di persone di solito ricche, raffinate, inclini a vivere lussuosamente. Ora abbiamo addirittura un economista dell’Unione delle Banche Svizzere (UBS), Paul Donovan, che sottolinea i benefici macroeconomici della legalizzazione del matrimonio gay per gli Stati interessati.
Ne parla Roberto Persico sul Sussidiario . Il succo del ragionamento di Donovan è che la legalizzazione del matrimonio gay incoraggia  l’immigrazione di persone Lgbt, e “il principale beneficio dovrebbe arrivare dalla potenziale crescita della produttività del lavoro che a sua volta dovrebbe essere spinta da una maggiore mobilità”. “Permettere i matrimoni tra persone dello stesso sesso rimuoverà chiaramente un ostacolo alla mobilità negli Stati Uniti, mentre lo stesso impedimento costituisce un rischio non da poco nell’Unione Europa”. Persico conclude riflettendo su come si tratti di un copione deja vu e lo scopo finale è ben descritto da romanzi distopici (profetici) come Il Mondo Nuovo di Aldous Huxley:
“Il punto sono i burattinai che tirano i fili. È già successo, al tempo del divorzio, al tempo dell’aborto: si cita il caso pietoso, si getta in pasto all’opinione pubblica la situazione disastrata, e la si usa per convincere della necessità di una legge che ha tutt’altri scopi. Quali? Semplice, distruggere la famiglia. Ma perché? Perché dal punto di vista dei signori dell’economia la famiglia tradizionale non è un buon consumatore: risparmia, divide le spese, ricicla, eroga assistenza, è un ammortizzatore sociale naturale… Dal punto di vista dei signori dell’economia il cittadino ideale è single, senza rapporti stabili, privo di una rete di solidarietà e perciò pronto a muoversi dove lorsignori trovino più conveniente piazzare le proprie fabbriche, a comperare in ogni nuova casa una nuova lavatrice e un nuovo frigorifero, a trascorrere le domeniche nei centri commerciali…”
Fonte: http://www.notizieprovita.it

venerdì 17 luglio 2015

L'insegnamento di Rutilio Sermonti


Nel solco tracciato da un uomo che è stato esempio.
Il nostro compito, nonché il modo migliore per rendergli onore, è fare tesoro dei suoi insegnamenti e attuarli quotidianamente...
di Paolo G.
La scomparsa di Rutilio Sermonti non può non lasciare un senso di vuoto nei cuori, perché la presenza fisica dei grandi testimoni della Tradizione costituisce sempre uno sprone, un punto di riferimento, un incitamento alla battaglia, al continuo miglioramento di sé stessi e dei propri amici e camerati che marciano al nostro fianco. Al di là di tutto, l’autorevolezza e la forza di una presenza è essa stessa concetto, riferimento, visione: è Esempio. Tuttavia, quando si è saputo seminare bene ed a lungo, il raccolto sarà abbondante e tale si perpetuerà nel tempo e nelle generazioni.
In occasione della scomparsa di un altro grande testimone come Celsio Ascenzi, proprio Rutilio ebbe modo di scrivere: “Lui è uno di quelli che non è morto perché ha lasciato dopo di lui qualcosa. Continua a vivere e dopo la morte ad avere effetti dopo aver cessato, con l’orgoglio di sé stesso. Come spero sarà anche per me”. Non abbiamo dubbi che per Rutilio sarà così: lo è già. E per darne subito una prova tangibile, concreta, operativa, soffermiamoci su quattro punti fondamentali che costituiscono un piccolo lascito ideale di Rutilio per tutti i suoi “amici e compagni di fede”, come volle chiamarli. I primi tre li enucleiamo dal testamento spirituale che Rutilio volle scrivere qualche anno fa, il quarto da un suo famosissimo ricordo di guerra.
Utilizzeremo al riguardo proprio le parole di Rutilio, affiancandole a quelle del capitano Corneliu Codreanu e del Comandante Léon Degrelle, altri due straordinari Uomini che direttamente ed operativamente sul campo, tramite il proprio sacrificio ed il proprio esempio, hanno incarnato e vivificato con la loro testimonianza gli eterni principi della Tradizione.
1) Essere eroi.  
Così scrive Rutilio: La prima verità da intendere è questa: che il compito che ci siamo assunti non è da uomini, ma da eroi. Non è affermazione retorica, questa, ma rigorosamente realistica. E, se così numerosi tentativi di riunione delle nostre forze sono falliti, è stato perché si è voluto affrontarli da uomini e non da eroi. E gli uomini, anche di buon livello, hanno una pletora di debolezze, di vanità, di fisime, di opportunismi, che solo gli eroi sanno gettarsi dietro le spalle”
Come tante altre parole, anche “eroe” ha bisogno di una definizione. Non intendo, con essa, riferirmi a un comportamento eccezionale dettato da un attimo di esaltazione, di suggestione e di sacro furore, che può portare fino a ‘gettare la vita oltre l’ostacolo’. Intendo definire quel fatto esistenziale e permanente, detto “concezione eroica della vita”, che accompagna il soggetto in tutte le sue azioni e pensieri, anche apparentemente più tranquilli. Eroe, è quindi chi riesce a spezzare i vincoli condizionanti che lo legano, ora ad ora, alla grigia materialità del quotidiano, per seguire ad ogni costo la suprema armonia del cosmo, il sentiero della super-vita e della partecipazione al Grande Spirito. L’eroe è quindi portato a fare il proprio dovere, senza bisogno di alcuna costrizione, ed ha nella propria coscienza un giudice ben più acuto e inesorabile che un pubblico impiegato seduto dietro a un bancone. Libero, non è chi non ha padrone, ma chi è padrone di se stesso, e quindi l’eroe è il solo tipo umano veramente libero.
Non è che l’eroe non si allacci anche lui le scarpe, non paghi il telefono, non incassi lo stipendio o non partecipi magari a una compravendita. Solo che, per lui, quelle sono incombenze necessarie ma accessorie, secondarie: non sono “la realtà della vita”, come per l’uomo qualunque. Servono a campare, ma vivere per campare gli toglierebbe il respiro.
Per questo, il nostro primo imperativo dev’essere: ‘tutti eroi!’ ”.
Non possono non tornare alla mente, affiancandosi perfettamente alle indicazioni di Rutilio, le parole del Capitano Codreanu. Innanzitutto la cd. legge dell’educazione, una delle sei leggi fondamentali del Cuib, che recita: «Devi diventare un altro. Un eroe». Dai punti 69 e 70 sempre de “Il capo di Cuib” leggiamo poi:  “L’uomo nuovo, e la nazione rinnovata, presuppone un grande rinnovamento spirituale, una grande rivoluzione spirituale del popolo intero (…). In questo uomo nuovo dovranno rivivere tutte le virtù dello spirito umano”. Codreanu descrive così le virtù del vero eroe: “eroe in senso militare, affinché egli possa con la lotta imporre il suo punto di vista; eroe in senso sociale: incapace di sfruttare, dopo la vittoria, il lavoro altrui; eroe del lavoro, gigante creatore della sua terra per mezzo del lavoro”. E ancora: “Attendiamo quest’uomo, quest’eroe, questo gigante (…) Il movimento legionario, prima di essere un movimento politico, dottrinario, economico ecc., un complesso di formule, è una scuola spirituale da cui, se vi entrerà un uomo, all’altro termine dovrà uscire un eroe”.
In “Per i Legionari. Guardia di Ferro”, il Capitano torna sistematicamente sul concetto. Innanzitutto ricorda come sulle mura della stanza del “Camin” nella quale si trovava l’icona dell’Arcangelo Michele, i legionari scrissero diverse massime raccolte da Codreanu medesimo, tratte dalla Bibbia e da altri testi sacri. Tra esse: «Non cacciare l’eroe che è in te».
E ancora, leggiamo: “Da questa scuola legionaria uscirà fuori un uomo nuovo, un uomo con le qualità di eroe, un gigante in mezzo alla nostra storia (…) Tutto quello che la mente nostra può immaginare di più bello spiritualmente parlando, tutto quello che la nostra razza può dare di più fiero, di più alto, di più giusto, di più potente, di più saggio, di più puro, di più laborioso e di più eroico, ecco che cosa deve produrre la scuola legionaria! Un uomo nel quale siano sviluppate al massimo grado tutte le possibilità di grandezza umana che sono state seminate da Dio nel sangue della nostra stirpe. Questo eroe, questo legionario dell’eroismo, del lavoro, della giustizia, con poteri divini nello spirito, condurrà la nostra stirpe per le vie della sua grandezza”.
“Creeremo un ambiente spirituale, un ambiente morale nel quale nasca e del quale si nutra e cresca l’uomo-eroe”.
“Quali sono le dimensioni spirituali del capo di un movimento politico? Secondo la mia opinione sono le seguenti: (…) V) Facoltà di educare e d’ispirare l’eroismo”.
Ancora, a proposito del giornale del movimento legionario, Pamîntul stramosesc (La terra degli avi), il Capitano commentava in modo preciso: “ Questo titolo cadeva in profondità. Esso avrebbe valso più d’una definizione, avrebbe valso come una chiamata permanente, la chiamata alla lotta, l’appello all’eroismo, come l’esplodere delle qualità guerriere della nostra razza. Accanto alle linee che abbiamo indicato alcune pagine addietro, questo titolo ne tracciava ancora una, nella struttura spirituale del legionario: l’eroismo. Senza questo l’uomo è incompleto. Perché se fosse soltanto giusto, leale, amorevole, fedele, laborioso e non avesse qualità eroiche, con l’aiuto delle quali lottare contro i nemici ingiusti, infedeli, egoisti e sleali, egli cadrebbe sopraffatto da costoro”.
2) Adempiere i propri doveri, anziché rivendicare diritti.
Prosegue Rutilio: “Voglio (…) aggiungervi un paio di consigli, che ritengo possano essere utili per la vostra continuazione della lotta.
Il primo è di adottare un ordinamento (e una formazione) fondato sui doveri e non sui diritti.
Sul piano meramente logico, sembrerebbe la stessa cosa. Se Tizio ha un diritto, ci dev’essere un Caio che ha il corrispondente dovere verso di lui. Se quindi io dico: “Tizio ha diritto di avere X da Caio”, è sinonimo del dire “Caio ha il dovere di dare X a Tizio”. Che differenza c’è?
C’è, la differenza. E sta nel fatto che, mentre il proprio dovere si può fare, il proprio diritto si può soltanto reclamare. Ne consegue che, se tutti fanno il loro dovere, e tale è la maggior cura dello Stato, automaticamente anche tutti i diritti vengono soddisfatti, mentre, se si proclamano diritti a piene mani, e tutti li reclamano, si fanno solo cortei con cartelli e una gran confusione e intralcio al traffico (protetto da stuoli di vigili urbani), ma il popolo resta a bocca asciutta, eccettuati i sindacalisti”.
Un semplice, ma fondamentale concetto: se tutti adempiono i propri obblighi ed i propri doveri, di qualunque tipologia siano (giuridici, morali, sociali, ecc.) in silenzio e con un’azione impersonale, precisa, chirurgica, efficace, ogni aspetto ed ogni dominio della comunità trova un proprio ordine, un proprio equilibrio, in un contesto organico e gerarchico, dove ognuno, conformemente alla propria natura, compie ciò che dev’essere fatto, ad ogni livello. E tutti i diritti, leciti, giusti (iustum, “secondo ius”, secondo diritto, cioè conformemente alla legge umana come derivata, in origine, dall’impronta divina del fas), trovano soddisfazione, senza inutili sbandieramenti né scomposte grida, senza disordini né egoismi.   
Se invece tutti si limitano a rivendicare diritti e pseudo-diritti, com’è tipico delle odierne società, e tra l’altro a prescindere dalla liceità e dal grado di effettiva “giustizia” degli stessi (si pensi alle odierne “rivendicazioni” in salsa gender, LGBT, omosessualistiche, ecc.), non ci può essere che confusione e caos, disordine ed individualismi, sterili lotte di classe o di categoria che dividono e frammentano, fino alla sovversione vera e propria, quando si pretende che lo Stato conceda ciò che è “contra ius”. Si pretende, si alza la voce, ma nessuno è realmente pronto a sacrificare sé stesso per qualcosa di più grande del proprio gretto, misero orizzonte egoistico.
E ricordiamo sempre che tale adempimento dei propri obblighi, per essere il più efficace possibile, necessita di un’azione come si diceva impersonale: è la legge del wei wu wei”, dell’“agire senza agire”, concetto cardine della tradizione taoista e, più in generale di tutte le civiltà facenti capo al mondo della Tradizione: l’azione impersonale per antonomasia, l’agire senza desiderio, senza una spinta proveniente da moti individualistici o passionali in senso stretto: fare ciò che deve esser fatto, eseguire il proprio dovere senza guardare egoisticamente al proprio tornaconto, sganciando quindi l’azione dai frutti soggettivi o dai voleri personali legati alla medesima. Agire semplicemente perché è “giusto” (secondo quanto si diceva), facendo dono di sé in modo oggettivo. Rutilio scriveva infatti, come già osservato nel punto 1), che l’eroe è quindi portato a fare il proprio dovere, senza bisogno di alcuna costrizione”.Celeberrima è la massima con cui Julius Evola sintetizzò questa tipologia di agire: “agire senza guardare ai frutti, senza che sia determinante la prospettiva del successo o dell’insuccesso, della vittoria o della sconfitta, del guadagno o della perdita, e nemmeno quella del piacere e del dolore, dell’approvazione e della disapprovazione altrui”.
3) Rispetto della gerarchia, unità organica di intenti, dedizione assoluta alla Causa
Conclude Rutilio: “La seconda esortazione ha carattere operativo. Un uomo solo, un Capo, può impugnare la barra delle massime decisioni, ma deve possedere qualità eccezionali, che ben raramente si riscontrano. In sua mancanza, un gruppo di tre, quattro, cinque persone accuratamente selezionate, possono svolgere la funzione decisionale con sufficiente prontezza e saggezza. Un organo più numeroso, può funzionare solo a patto che vi sia una rigorosa divisione di funzioni e relative competenze, tra cui quella di sintesi, svolta da pochissimi. Ma soprattutto, deve dominare in essol’assoluta unità di intenti, al di fuori di qualsiasi carattere agonistico (tipo maggioranza e opposizione). In mancanza di tali requisiti, l’organo numeroso è del tutto inutile, anzi gravemente dannoso, perché vengono a dominare poteri “di fatto” fuori di ogni controllo. Vi dico questo, sia in vista degli organi dello Stato organico che intendiamo istaurare, sia per quanto riguarda agli organi interni di “nostre” formazioni. Per queste ultime, anzi, il pericolo delle vaste “collegialità” (vedasi il pessimo esempio del MSI-DN) è ancor più grave, perché fattore della degenerazione demagogica e incapacitante delle compagini stesse. Lasciate quindi al belante gregge democratico la ridicola allucinazione di comandare tutti, e coltivate la nobile, virile e feconda virtù dell’obbedienza.
Nessuno nega che il temperamento ambizioso sia uno stimolo per l’azione, ma ognuno stia in guardia: al minimo accenno che esso tenda a prevaricare in lui sulla dedizione alla Causa, sappia mortificarlo con orrore. La vittoria nella “grande guerra santa” è quella”.
Insegnamento di fondamentale importanza per far funzionare, ancor prima della macchina statale, le formazioni di base, le unità operative, quindi le comunità militanti che debbano costituire il fulcro, la fucina per forgiare gli uomini e le donne che dovranno portare avanti il testimone della Tradizione fino al giorno in cui s’intravedranno i primi raggi dell’alba della rinascita: spirito di obbedienza e di sacrificio, abnegazione, rispetto delle gerarchie fondate sulla qualità, dedizione alla Causa ed unità d’intenti, mortificazione di ogni tornaconto o personalismo: la vittoria sulla parte più oscura di sé, la grande guerra santa.
Il Capitano Codreanu (“Per i Legionari. Guardi di Ferro”) descrive perfettamente le doti del Capo ed il suo potere “magnetico” di attrazione: “Quali sono le dimensioni spirituali del capo di un movimento politico? Secondo la mia opinione sono le seguenti: I) Un potere interiore di attrazione. Al mondo non esistono uomini liberi e indipendenti. Come nel sistema solare ogni astro si trova in un’orbita nell’ambito della quale esso si muove per effetto di una forza di attrazione più intensa, così anche gli uomini, specialmente nel campo dell’azione politica, gravitano intorno a una forza d’attrazione. Lo stesso avviene anche nel mondo del pensiero. Restano beninteso fuori quelli che non vogliono né muoversi né pensare.
Un capo deve avere un simile potere di attrazione. Alcuni lo hanno per dieci uomini, essendo la loro capacità limitata a questo numero; altri per un villaggio intero, altri per una provincia, altri per una nazione, altri oltrepassano anche i confini di una nazione.
Il dominio di un capo è limitato dalla sua forza interiore di attrazione, una specie di forza magnetica, senza la quale non si può essere capi (…)”.
Ricordiamo poi il Giuramento legionario come riportato ne “Il Capo di Cuib”, in cui assume un ruolo decisivo l’unità e l’obbedienza attorno ai capi: “Giuriamo di fronte a Dio e di fronte agli uomini di tenerci strettamente uniti intorno ai nostri capi, di obbedire e di eseguire gli ordini ricevuti, di fare in modo che penetri quanto più profondamente nel popolo lo spirito nuovo del Lavoro, dell’Onore, del Sacrificio e della Giustizia; in una parola, ci proponiamo di fare legionari, cioè compartecipi della medesima fede, tutti coloro con cui verremo in contatto”.
E ancora: “Non dire: Non voglio servire la Legione perché il tale capo non mi piace, non è buono. Nella Legione nessuno è capo a vita. Oggi lo è uno, domani lo è un altro, dopodomani lo sarai tu, se col tuo lavoro e con la tua fede pura e con la tua capacità meriterai di esserlo, mentre un giorno si potrà trovare il migliore. Non dimenticare che quello che può mandare in rovina noi legionari è l’incomprensione e la discordia in ogni cuib o fra diversi cuiburi. Non dimenticare che, nel momento in cui un legionario veste la divisa di capo legionario, tutti gli altri devono obbedirgli”.
Le celebri parole del grande comandante Léon Degrelle, costituiscono infine un perfetto complemento ai concetti espressi da Rutilio circa l’obbedienza ed il suo significato più profondo e formativo di sé:
“Nessuna opera di grande respiro può compiersi nell’egoismo e nell’orgoglio.
Obbedire è una gioia, perché una forma di dono, di dono illuminato.
Obbedire è fecondo, moltiplica il risultato degli sforzi. Obbedire è un dovere, perché il bene comune dipende dalla disciplinata unione delle energie.
La società umana non è formata da un nugolo di zanzare accanite e irrequiete, che si avventano nell’aria seguendo il loro interesse o il loro umore. Essa è un grande complesso sensibile che l’anarchia rende sterile o pericoloso, mentre l’ordine e l’armonia gli offrono possibilità illimitate.
Un popolo ricco, composto da milioni di individui che siano però isolati dall’egoismo, è un popolo morto.
Un popolo povero, in cui ciascuno riconosca con intelligenza i propri limiti e i propri obblighi verso la comunità e obbedisca agendo solidamente, è un popolo vivo.
L’obbedienza è la forma più elevata dell’uso della libertà. E’ una costante manifestazione dell’autorità, l’autorità su se stessi – la più difficile di tutte (“Libero, non è chi non ha padrone, ma chi è padrone di se stesso, e quindi l’eroe è il solo tipo umano veramente libero”, scriveva, come visto, Rutilio).
Nessuno è realmente in grado di dirigere gli altri, se non è prima in grado di dirigersi da solo, di domare dentro di sé il destriero orgoglioso che desiderava lanciarsi follemente nel vento dell’avventura.
Dopo aver obbedito si può comandare, non per godere brutalmente del diritto di scacciare gli altri, ma perché il comandare è una prerogativa magnifica quando mira a disciplinare forza scalpitanti, conducendole alla pienezza del risultato, fonte suprema di gioia”.
4) Non arrendersi mai.
È celebre il racconto fatto da Rutilio circa il suo incontro con un giovanissimo SS Grenadier tedesco gravemente ferito durante un’azione di guerra contro le bande partigiane di Tito l’8 settembre 1944. “Ti giuro che non ci fermeremo mai (niemals), finché non avremo vinto!”: fu il giuramento ideale di Rutilio.“Niemals!” ribadì il ragazzo, gridando col pugno rivolto al cielo prima di morire. “Ecco, è quel piccolo avverbio che io consegno a voi, giovani Camerati”, disse Rutilio ricordando quell’episodio.
Quel “Niemals”, quel “piccolo avverbio” deve risuonare sempre nei cuori e nell’anima, perché davanti alle difficoltà, alle avversità, agli ostacoli apparentemente insormontabili, tanto nella continua grande guerra santa contro la parte più oscura di sé stessi, quanto nelle piccole guerre sante contro il nemico esteriore, tanto nella vita quotidiana quanto nella militanza comunitaria, deve sempre essere presente il principio della vita come militia e quindi come lotta costante, che non ammette rese di sorta, esitazioni, tentennamenti. Le debolezze, la paura di non farcela, di essere sovrastati dal peso delle responsabilità o dalle proprie limitazioni ed insicurezze va sublimato, superato: tenendo sempre in alto i cuori, perché chi tiene lo sguardo ed il cuore rivolto verso le regioni più alte dello spirito e verso la luce, non potrà subire la sconfitta definitiva, quella che porta fra le mortifere spire della tenebra e della materia. Mai!
 “Ed ora, non avendo più la forza di stare al remo, torno a darmi da fare al timone. Enos, Lases, iuvate!”(Rutilio)

Fonte: Azionetradizionale.com

mercoledì 15 luglio 2015

MarioFest 2015 - Recensione


Giunge alla sua quarta edizione la MarioFest e si conferma anche quest’anno come l’appuntamento dell’estate. Nel Ringraziare Mario, il proprietario del casale ma anche le comunità intervenute ed i singoli ragazzi che si sono resi disponibili per dare una mano, andiamo a dare un breve resoconto della giornata.

Caratterizzato da alcune piacevoli novità tendenti ad evocare ancor di più l'aspetto comunitario, riflesso dell'impegno al miglioramento del suo operato verso cui una Comunità Militante deve tendere, la MarioFest 2015 ha custodito la sua atmosfera originaria che vede riunite sulle Colline dell’Allume gente di tutte le età in un’atmosfera cameratesca scandita da giochi, musica e degustazioni, il tutto all’aria aperta sotto l’ombra degli alberi e alleggeriti da un piacevole vento d’estate.

Così, mentre il sole si avvicinava al crepuscolo e si sorseggiava l’aperitivo, tra un giro a cavallo e una risata, già si formavano le squadre che per la prima volta alla MarioFest si sarebbero sfidate in quattro prove goliardiche. Grandi e meno grandi, simbolo di una continuità intergenerazionale, hanno partecipato, in un’atmosfera di sana competitività, alla corsa col sacco, al tiro alla fune e alla corsa con le carriole, portando ai presenti anche qualche momento di ilarità.
Al calar della sera, con l’appetito incalzante a seguito delle prove ludiche, ci si riuniva intorno ai tavoli per degustare vino, bruschette e porchetta in compagnia della musica di “La Vecchia Sezione”.

Non poteva mancare come ogni anno “il Soffio del Drago”, prova che ha decretato il vincitore ufficiale dei giochi, ed ha visto protagonista indiscusso un nuovo “paladino del fuoco”.

La notte cala, la musica si affievolisce e la giornata giunge al termine nel migliore dei modi e con la soddisfazione di tutti. 


Nel rinnovare l’appuntamento all’anno prossimo facciamo i migliori auguri a colui intorno al quale ci siamo radunati e che mai ha mollato, rinnovando, anche attraverso questi momenti, l'impegno per l'Idea che persone come lui ci hanno donato senza scendere mai a patti con la melma della modernità, vile e corrotta. In alto i cuori!