Da Rutilio Sermonti.
                            
Vi  Allego il testo del breve discorso da me rivolto a  Colli il 18  agosto u.s.  ai camerati venuti da tutta Italia a festeggiare il mio   90° compleanno. Ognuno dei destinatari è autorizzato a farne l'uso che  meglio  creda
Enos, Lases, iuvate !
Rutilio
mi è difficile esprimere appieno la gioia che voi mi avete dato con  la vostra iniziativa e con la vostra accoglienza . Non tanto solo per il  novantesimo compleanno. In fondo io ho fatto un giorno. Domani è un  giorno dopo ieri, non è un anno dopo.  E' solo una convenzione.  Ma per  il fatto che per farmi sentire, vedere, respirare il vostro affetto  siete venuti da lontano,  lui addirittura dall’estero (addita Alberto Mariantoni),  e tutto per un povero vecchio combattente, qui, che non ha fatto che il  suo dovere è una cosa che veramente mi commuove. Però la mia gioia è  soprattutto perché la vostra iniziativa mi permettere di esprimere occhi  negli occhi alcuni concetti che penso che siano essenziali tanto che li  potrei definire  il mio testamento spirituale. Mah! Testamento? Vedo  qualcuno che accenna una protesta. Uno deve forse aspettare di essere  rimbambito, per fare testamento, e spirituale per giunta ? che  testamento sarebbe ? Di quale valore ? Spero proprio di fare a tempo a  farlo in pieno possesso di tutte le mie facoltà.
  Si tratta di un discorso molto semplice, che io non ho fatto che  ripetere continuamente, eppure, sembra incredibile,nonostante la grande  attenzione di cui  tutti voi, delle più belle formazioni mi avete sempre  onorato, nessuno l’ha preso sul serio.  C’è una differenza  significativa tra quelli che a me sono più vicini e il sottoscritto E  questa differenza  l’ha espressa in modo molto felice Nicola Cospito che  nel fare una prefazione ad un mio libro scrisse: “Rutilio Sermonti è  uno che nel 1940, diciannovenne, mise un fiore nel moschetto e partì per  la guerra contro le grandi plutodemocrazie, non è ancora tornato.”.  Fu  una definizione che piacque molto, perché io quella guerra mica l’ho  finita. Io non ho chiesto la pace, non ho firmato  armistizi. La guerra  continua e la Repubblica Sociale Italiana mica è stata  sciolta e  per  me l’unica Repubblica che legittimamente esiste  è quella. Questa qui  non mi interessa.  La repubblica dell’Alto Volta mi interressa di più di  quella italiana di Napolitano & C.
Quindi la situazione è questa: io sono in guerra, da allora e lo sono  sempre stato E l’unico merito che mi riconosco è di averlo fatto  ininterrottamente senza titubanze, senza tante problematiche  "ideologiche",  facendo semplicemente il mio dovere come facevo da  sergentino nel 1940. Ma qual è la conseguenza? Tutto quello che ho io ho  fatto è stato senz'armi e purtroppo armi non ne posso usare più. Posso  usare solo, come si diceva una volta  la penna, e adesso manco quella:  il computer. Ma tutto quello che io ho fatto è stato lo stesso un atto  di guerra. Qual' è la caratteristica di un atto di guerra? Di non essere  un’esibizione, un esercizio intellettuale No. È un’azione compiuta a un  determinato scopo, in quanto utile per quello scopo e concatenata con  una serie di altre azioni in modo organico. Un’azione una tantum non  serve a un cavolo. Va fatto questo, in modo continuo e sistematico Ed io  ho inteso fare proprio quello.  Voi che avete seguito i miei libri, i  miei articoli avete visto. Io non ho fatto molti discorsi teorici, ho  fatto discorsi pratici. Faccio delle proposte. Sì c’è stato il momento  delle testimonianze, Il momento in cui era utile  mettere su carta,  fissare certi ricordi, perché la gente non se li scordasse, perché i  giovani a cui non si insegnavano più avessero la possibilitàdi  possederli .. almeno in una piccola parte … ma questa è stata una prima  fase che è durata poco. Poi abbiamo cominciato a combattere. Ora,  purtroppo, fin da allora ci sono stati alcuni equivoci e devo dire che  siamo colpevoli tutti. Questi equivoci si chiamano soprattutto Emme Esse  I. E recano soprattutto la firma del mio amico ( per me era un amico  gli volevo pure bene, che quando è morto ci ho pure pianto): Giorgio  Almirante. Quanto ci ho litigato con Giorgio Almirante! Quanto l’ho  insultato perché non  capiva certe cose. Noi non potevamo fare un  partito come gli altri. Non l'ha capito, non hanno capito. Se c’è una  cosa cretina era pensare che si potesse fare una guerra contro il  sistema con un partito strutturato e organizzato come lo vuole il  sistema Ma siamo proprio matti? Quindi quello che era necessario che ci  voleva: Un piano riservato che fosse ben più chiaro e solido  dell'ufficialità del partito Guardare con sufficienza le solite  scempiaggini: le elezioni. Ma poi ci  fosse un effettivo  comando E  invece non c’è stato mai. 
E allora che cosa è successo? È successo che noi abbiamo fatto colte,  acute analisi, nutrite discussioni. Ci sono stati dei camerati  veramente di notevolissima levatura intellettuale e culturale che hanno  chiarito un sacco di punti. Perchè quello è una battaglia secondaria?  Perchè nessuno si è posto la domanda “Che cosa possiamo faro oggi? Con i  mezzi di oggi, nella situazione di oggi? Ma che abbia lo stesso scopo  di quello che facevamo con le Parzer divisionen ? Era lo stesso,  identico. Erano cambiati i mezzi, purtroppo perché era cambiata la  situazione. Se voi ve lo ricordate uno dei principali insegnamenti del  Duce era di fare sempre i conti con la mutevole e complessa realtà. È  inutile stare a nuotare tra le nuvolette della ideologia.
Noi dobbiamo sbattere il grugno con la realtà e sbattendo questo  grugno l’Italia diventò in dieci anni dall’ultima ruota del carro, la  mandolinista, quella che non contava niente, la prima nazione del mondo.  Perché, cocchi miei, io c’ero e me lo ricordo nel 1938 l’Italia era la  prima nazione del mondo a cui tutte le altre guardavano con invidia  Pensate con invidia. “Beati voi che tenete Mussolini !" Io mi ricordo  una famosa attrice americana, Mary Pickford che diceva: “A me sono molto  simpatici gli italiani, però sono stati tanto carogne perché hanno  fatto un Mussolini solo Ne dovevano fare due, uno se lo tenevano, e  l'altro potevano prestarlo a qualcuno che ne aveva tanto bisogno !".
Allora siamo andati avanti così, col pensiero e l'azione appaiati. Ma  qual è la situazione attuale di cui vi volevo parlare con un po’ di  tristezza. Mi sono domandato “Ma tutto questo mio combattere a che cosa è  servito?”
Il primo passo fu nel 2005, quando io mi posi questa domanda “Noi  siamo l’alternativa al sistema. L’ha detto Michelini, l’ha detto  Almirante.. lo dice ogni volta … Ma sul vocabolario “alternativa” vuol  dire: no a questo e sì a quell’altro. Se no non è alternativa, Se no è  solo una critica, una demolizione. E' chiaro che se io voglio fare la  casa nuova dove ce n’è una fatiscente la devo demolire prima di fare  quella nuova. Ma quando la demolirò, ho appena cominciato. Sicuro devo  fare la casa. Se invece la lascio lì e contemplo le macerie, sono un  minchione che non giova a nulla..
E allora noi dobbiamo cominciare a costruire, cioè a spiegare alla  gente in che consiste l’alternativa, ma deve essere l’alternativa 2000 e  non l’alternativa 1930, perché è cambiata la mutevole e complessa  realtà. Io che era già uomo allora mi accorgo delle differenze enormi in  tutto non solo nella politica, nell’amore. Quando avevo diciotto anni e  facevamo l’amore, facevamo cose completamente diverse da quelle che  fanno oggi, quando fanno l’amore. Avevamo tutta un’altra concezione.  Allora c’era la mania della vergine. Una ragazza doveva arrivare vergine  al matrimonio ... Guai se non era vergine! Oggi stiamo freschi! Non si  sposerebbe più nessuno. E così via. C’era tutto un modo di ragionare  diverso: rapporti familiari, rapporti con la madre e col padre. Per non  parlare poi del lavoro. Il lavoro allora era ancora  il protagonista  dell’economia, oggi non lo è più. È inutile che stiamo a fare retorica:  oggi l’economia la fanno le macchine quindi i soldi non il lavoro! Il  lavoro accudisce le macchine ed è una cosa noiosa, senza arte,  umiliante, scocciante e non si vede l’ora che finisca per andare in  pensione. Questo è il lavoro. … il funzionamento è cambiato.
Allora io ho scritto un libro che si chiama Stato Organico in  cui dicevo: “Ecco lo Stato che noi oggi possiamo progettare!”. E ho  invitato più volte anche nel corso del libro a correggermi, a dare  suggerimenti migliori, a discutere questo argomento che per noi doveva  essere essenziale. Perché la nostra attività è creativa non puramente  distruttiva. Possi cecamme se c’è stato uno che mi ha risposto! Che mi  ha fatto una critica. Mi hanno detto: “Bravo!”.
E che ci faccio io con il bravo? Mica faccio l’attore  d’avanspettacolo! Se non mi seguite! Io vi do un suggerimento e non lo  seguite … Non mi dite: “Bravo!”, ditemi “Bischero!” e seguitemi! Ah!  Come sarebbe bello!
Il mio Stato Organico è rimasto così com’era. Nessuno (e guardate che  camerati bravi, intelligenti, preparati, colti ce ne sono molti di cui  ho grandissima stima) vi ha minimamente posto mano.Di di quello non si  occupa nessuno. Come si può ottenere oggi una rappresentanza che non sia  la solita fregatura per i rappresentati? È inutile che tirate fuori la  socializzazione degli anni Quaranta, perché sono passati settanta anni!  Dobbiamo fare una cosa in funzione di oggi. Niente. E questo vuol dire  che tutta questa modesta fatica che ho fatto con lo Stato Organico a questo momento non è servito a niente.
Andiamo avanti. Noi continuiamo la guerra e dobbiamo porci i mezzi  con cui fare questa guerra: carri armati non ne abbiamo, testate  nucleari non nè abbiamo. Come la facciamo la guerra? Che cosa abbiamo  noi? Ecco che cosa abbiamo! La militanza e ne abbiamo tanta! In Italia, e  io l’ho girata molto, c’è una quantità di militanza. Però tutti a  gruppetti separati che non si guardano e  magari polemizzano  l’uno con  l’altro. Però ce ne è una grande quantità e sono pieni di voglia di  fare, di voglia di combattere. Qualche volta vedo i loro occhi lucidi di  lacrime, quando parlo io, perché veramente lo sentono.
Però questa militanza bisogna renderla a livello di saper competere.   Cioè, primo: disciplina! Credere, obbedire e combattere diceva  Mussolini. Non diceva credere, obbedire e discettare! Ebbene quelli  discettono. Bisogna abituarsi ad obbedire quando uno è soldatino. Poi  quando diventa sergente ci saranno quelli a cui comanda e quelli a cui  obbedisce. Quando sarà capo di Stato Maggiore Generale allora comanda  solo. Così deve essere e invece no! 
Altra cosa. I militanti dicono un sacco di corbellerie perché hanno  la trista abitudine, molti, di parlare per sentito dire. Se voi sentite  la cosa più popolare nel nostro ambiente ( che siamo tutti socialisti), è  la socializzazione. Ma io mi domando una cosa: quanti che  discutono di  socializzazione hanno letto (e dico solo letto)il decreto istitutivodel  Duce del febbraio 44 ? Quanti hanno letto (e non dico  meditato)quell'insigne monumento di scienza giuridica e di saggezza, che  furono le norme d'attuazione dell'ottobre, fatto poi in quelle  situazioni con le bombe che ti cadono addosso, con  i partigiani che ti  sparano alle spalle. Eppure fu fatto quel capolavoro, ma chi lo ha  letto? Non si preoccupano  per discutere di qualcosa prima, almeno,  di  conoscerla.. E invece bisogna prima conoscere e poi discutere.  Questo  bisogna insegnare, come prima cosa, ai militanti. Ed è un problema. E  come si fa ad insegnarglielo? Non abbiamo un un’unica organizzazione,  non abbiamo un’unica Opera Balilla. Come si fa?
Mi sono posto il problema. Abbiamo fatto un programma apposta.  Abbiamo fatto un Patto di Unità d’Azione. Adesso siamo cinque, prima  eravamo in due: Forza Nuova e Movimento Nazional Popolare. E questo  patto era su alcuni punti: “Siamo d’accordo che si devono fare queste  azioni? E allora tutti quelli che sono d’accordo, lavoriamo! L’unità  nascerà dal lavoro comune e non il lavoro comune dall’unità. Questa è  sempre stata la mia convinzione. E allora abbiamo fatto un bellissimo  programma: corsi in tutta Italia con le dispense per ogni lezione.  Queste dispense consentivano di fare contemporaneamente il corso in  tutti i gruppi senza nessuna differenza nè concorrenza tra i gruppi  stessi. Il corso era utile a tutti, aperti a tutti e unitario perché ci  sono le dispense. Queste dispense dovevano essere fatte in un certo  modo. Tutto questo è stato studiato e che cosa è stato fatto? Niente!  Neanche una lezione. Di dispense io ne ho fatte e ne ho curate cinque,  con cinque dispense si potevano fare duemila lezioni in tutta Italia.  Quante ne sono state fatte? Duecento? Venti? No! Due forse sperimentali,  perché c’ero io a Roma. E poi? Anche questi erano interrogativi. Ma che  viziaccio maledetto è questo! Questo è un modo di combattere? Fare dei  programmi per poi scordarsene?
E poi andare in giro con gli striscione nelle strade! Non serve a  niente! Ci devi portare mezzo milione di persone in strada allora serve a  qualcosa. Ma se ci porti cinquanta persone in strada non serve a  niente. E allora ?
Vorrei che voi capiste la mia angoscia quando mi viene il dubbio di aver girato a vuoto.
Le corporazioni come opzioni di lotta non è un’idea mia. È un’idea che ho preso da una piccola pubblicazione Il Megafono. È  un’idea geniale. Come si difende il piccolo commercio, l’artigianato,  le piccole attività basate sul lavoro dell’uomo da queste grandi  organizzazioni economiche multinazionali che le soffocano? Come si  difendono? La corporazione! La corporazione come si intendeva nel  Rinascimento Facevo degli esempi. I piccoli meccanici sono disperati.  Questi cornuti che fabbricano automobili non fanno più pezzi di  ricambio. Se devi cambiare una vite devi cambiare mezza macchina. Ai  piccoli meccanici ( e ce ne sono a migliaia) doobiamo suggerire, “Fate  le corporazioni! Unitevi in una corporazione! Portate tutti lo stesso  distintivo. E questa corporazione per mandato degli associati tratta con  le grosse organizzazioni produttive e detta legge perché se tutti i  meccanici d’Italia che hanno anche rapporti di amicizia con la  clientela, cominciano a chiedere prodotti con i pezzi di ricambio  economici altrimenti consigliano ai loro clienti di rivolgersi ai  produttori che lo fanno, diventano loro i più forti. Noi possiamo  prenderli per il collo e voi sapete l’importanza enorme, l’incidenza che  avevano le corporazioni nel Medioevo e nel Rinascimento, perché la  funzione della corporazione era anche tutelare i valori extra economici  che c’erano in quella attività. Erano quasi degli ordini religiosi e non  vi si ammetteva lotta di classe, proibitissimo fare sindacati. Ci sono  solo categorie gerarchicamente organizzate e il piccolo allievo di oggi  diventerà il maestro di domani. Così era fatta l’organizzazione del  lavoro nel Rinascimento e così erano fatte le corporazioni. Ora noi  guardandoci in giro, e vediamo come i coltivatori diretti cercano di  difendersi dallo strangolamento: sono iniziative squisitamente  corporative. Neanche lo sanno loro, gli vengono così spontaneamente.  E  noi che ci stiamo a fare? Noi sappiamo tutto delle corporazioni,  dobbiamo metterle in funzione, dobbiamo essere noi ad impugnare questo  validissimo strumento della corporazione. Ma non fare noi le  corporazioni. Le devono fare loro. Noi le possiamo suggerire, possiamo  svolgere un’azione promozionale. Quale? Non può essere la stessa per  tutte le corporazioni, ci sono diversissime mentalità, composizioni ed  esigenze.  Allora nel mio libretto Le corporazioni come opzioni di lotta  e non come fatto storico, come opzione attuale, ho esaminato i vari  problemi, le varie corporazioni nuove che è necessario fare.
Una per esempio, importantissima oggi, la corporazione delle donne di  casa. Fare la donna di casa oggi è molto difficile. Se noi diamo ad una  donna, che non sia un’imbecille, i mezzi, le conoscenze, la formazione  questa , a parte che diventa la padrona assoluta della casa, ma diventa  un elemento di progresso della Nazione intera. Oggi quelle che erano le  funzioni del maschio dell’antichità non ci sono più: la fatica fisica la  fanno le macchine, azionate etettricamente; la guerra la fanno  schiacciando un bottone e distruggendo una città a 6 000 km di distanza;  la caccia una volta era una risorsa per vivere oggi è uno svago  discutibile. Allora a che cosa serve l’uomo? Non serve più! Serve la  donna. Prova della pazzia di quest’epoca è che vogliono fare delle donne  che scimmiottano degli pseudouomini che non servono più.
Allora dobbiamo studiare corporazione per corporazione come  incominciare, dove gli accenni già in atto delle organizzazioni a cui ci  si può appoggiare, una per esempio la Coldiretti, che da che non è più  uno strumento della Balena bianca, sta diventando una cosa estremamente  interessante. Non so se avete seguito le varie iniziative le arance, il  latte … hanno fatto una sacco di cosette carine proprio per liberarsi  della schiavitù delle multinazionali. E allora lì dovremo fare in un  modo di incidere al massimo.
Un’altra corporazione necessaria è gli uomini d’arme poliziotti,  soldati …  Anche loro contribuiscono a mantenere l’ordine. Anche loro  devono avere la loro corporazione, soprattutto nell’assenza dello Stato,  come è oggi. Ma la corporazione degli uomini d’arme può assumere molte  funzioni anche morali, anche normative che lo Stato rifiuta.
 Qualsiasi corporazione, io ne ho preso una quantità di esempi, esige  sistemi diversi, diversi metodi di approccio con gli interessati,  io  credo che occorra cominciare dalle più "facili" e dalle più sensibili. I  successi delle prime incoraggeranno le altre 
Poi ho detto: “Su! Diamoci da fare! Suggerite! Correggete!” E poi   mettiamoci  al lavoro nel favorire la formazione di queste corporazioni.  Dei cui benefici si accorgerebbero subito gli stessi interessati e  quando uno cominciasse a funzionare bene, allora arriverebbero tutti:  sembrerebbe l’uovo di Colombo.  Ma Noi? Noi non importa. Non importa che  noi figuriamo, anzi non dobbiamo figurare! Corporazione vuol dire  Fascismo! Non importa metterci il fascetto sopra. Vuol dire una vittoria  raggiunta contro l’eterno nostro mondo avversario.
Un ultimo solo ed altro esempio: la teoria dell’evoluzione naturale. È  come l’olocausto, uguale, però lì c’è la legge penale, qui no. Si sono  messi la coda tra le gambe. Non si riesce ad organizzare un dibattito,  mi ricordo quaranta anni fa, io sono stato un pioniere di questa lotta,  contro questa cretinata. Anche lì siamo arrivati al punto che  scientificamente parlando è morto, non c’è più l’evoluzionismo.  È la  prova del fatto che non si riesce ad organizzare un dibattito. E se tu  cerchi di organizzarne uno, con mille biforc, e trovi qualcuno per  esempio un preside di facoltà  universitaria che ha concesso la sala,  vengono fuori quelli dei centri sociali contro il clericalismo. ( Io  sarei il clericale, ve lo figurate ?)! Perché è, gente che come al  solito parla a vanvera. Non ne sa un cavolo.  Noi dobbiamo contrapporre  un movimento studentesco. Ormai non serve più solo la scienza.  Mio  fratello, professore di genetica, ha contribuito a mettere con il culo  per terra l’evoluzionismo. Continuano a pubblicare quegli alberi  genealogici minuziosi e ridicoli, con mille biforcazioni deserte di nomi  e frutto di mera fantasia.
Però continua a funzionare con la fantasia con gli scritti di gente  ignara sia di biologia che di probità, e gli scienziati che sono tutti  gran furbotti glie li lasciano scrivere. Pensate che tutto il mondo  liberista è fondato su questi concetti. Chi ha successo è il migliore,  per il solo fatto che lo ha, magari ammazzando uno con una coltellata.  Ammazzandolo e derubandolo però ha avuto un successo, ha in tasca i  soldi di quello ed ha ragione. Questo è il ragionamento a cui porta la  teoria dell’evoluzionismo, che non viene affatto confermata in natura in  natura.  Ho scritto un libro apposta su questo argomento, di carattere  divulgativo su questi concetti ma adesso che deve lavorare? Su questo  argomento occorre organizzare un movimento studentesco, di devono  rompere i vetri, fischiare i professori durante le lezioni,  spernacchiare. Si deve far questo. Scrivere insulti sui muri, invece,   non convince nessuno. Abbiamo vinto la guerra e non lo sa nessuno,  neanche i nostri militanti !
Allora io voglio rivolgere a tutti voi e attraverso voi anche agli  altri che vi ascolteranno questa accorata invocazione “Fatemi crepare  vedendo un pochino di luce, fatemi crepare vedendo appena da lontano una  fiammella di un fuoco che si riaccende. Ma questa è lotta! Questa è  guerra! Non sono chiacchiere! Non basta scrivere articoli e neanche  libri. Bisogna saper combattere! Bisogna saper dire: “Io il 7 maggio  alle ore 14.00 a qualsiasi condizione atmosferica sarò in centro a  piazza del Popolo a Roma.”  e ricordarselo dopo sei mesi. E invece no!  Farò! E poi non si fa !È questo il punto! È questa la guerra che noi  dobbiamo vincere, quella che i musulmani chiamano Jihad Achbar,  la  grande guerra santa, quella all’interno contro le proprie debolezze.
O noi siamo eroi, o noi siamo tutti eroi ( Tutti eroi!, ho detto !),  oppure abbiamo già perduto in partenza.  Se noi saremo capaci di essere  tutti eroi, a queste condizioni noi abbiamo la vittoria in tasca. Perché  gli altri stanno già marcendo. Li vedete che fine hanno fatto i  tracotanti bolscevichi e che fine stanno facendo i tracotanti americani.  È fallito pure uno stato. Cose incredibili!
Allora tocca a noi. Ma signori miei, non si può fare nei ritagli di  tempo! Vi prego, non si può fare. È la cosa principale! La cosa che ci  permette di essere orgogliosi di essere uomini. Se non che siamo? Sono  meglio i bacarozzi! Sono meglio le cavallette! .Loro, vivono secondo la  loro natura. Soltanto noi non saremmo capaci di farlo ?
Rutilio Sermonti
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