Il solstizio, il momento in cui il buio sembra vincere la luce.
Ma il sole nuovo riparte in un nuovo ciclo ascendente, le tenebre si ritirano..
Al periodo di introspezione e riflessione si sostituisce una più decisa azione verso il mondo moderno in rovina.
APZ
“La strada da percorrere conduce al di là del PUNTO ZERO, conduce oltre la linea, oltre il muro del tempo e, attraverso di esso” Ernst Junger
venerdì 21 dicembre 2012
Il Natale è ormai alle porte, quest'anno pensaci su..economia legionaria!
Aiutiamo in questo Natale, con un po' di economia legionaria, chi nel nostro territorio, si da' da fare nel suo piccolo e va avanti con le proprie forze, evitando di dare per l'ennesima volta i soldi alla solita multinazionale di turno..
Proponiamoci di comprare e consumare (non solo i regali di Natale) da piccoli imprenditori meglio ancora se locali, dal vicino che vende dal catalogo, oppure da quello che fa piccoli oggetti, dall'amica che vende su internet, oppure anche prodotti alimentari possibilmente a chilometri zero, del comprensorio, della nostra regione al massimo delle altre regioni d’Italia. Sosteniamo le iniziative no-profit, possibilmente informate da una economia sociale. Frequentiamo le strutture militanti che sono la linfa della nostra comunità, umana e ideale. Riscopriamo il baratto se necessario, facciamo in modo che i nostri beni, i nostri servizi e i nostri soldi arrivino a gente comune che ne ha bisogno e non alle multinazionali, possibilmente non passando da bancomat e carte di credito. La nostra attenzione ai consumi quotidiani, sia la risposta a concreta ed efficace agli squali della finanza, grande o piccola che sia. Questa è politica, reale e concreta, sarà il caso di mettercelo in testa.
APZ
Proponiamoci di comprare e consumare (non solo i regali di Natale) da piccoli imprenditori meglio ancora se locali, dal vicino che vende dal catalogo, oppure da quello che fa piccoli oggetti, dall'amica che vende su internet, oppure anche prodotti alimentari possibilmente a chilometri zero, del comprensorio, della nostra regione al massimo delle altre regioni d’Italia. Sosteniamo le iniziative no-profit, possibilmente informate da una economia sociale. Frequentiamo le strutture militanti che sono la linfa della nostra comunità, umana e ideale. Riscopriamo il baratto se necessario, facciamo in modo che i nostri beni, i nostri servizi e i nostri soldi arrivino a gente comune che ne ha bisogno e non alle multinazionali, possibilmente non passando da bancomat e carte di credito. La nostra attenzione ai consumi quotidiani, sia la risposta a concreta ed efficace agli squali della finanza, grande o piccola che sia. Questa è politica, reale e concreta, sarà il caso di mettercelo in testa.
APZ
giovedì 20 dicembre 2012
Ci siamo, -3!
il sole riomincia a crescere, la natura comincia a rifiorire..
22 Dicembre 2012
Festa del Solstizio. Gioia, birra e canti per salutare il Sole Nuovo!
22 Dicembre 2012
Festa del Solstizio. Gioia, birra e canti per salutare il Sole Nuovo!
lunedì 17 dicembre 2012
lacrime da palcoscenico
Ennesimo dramma per un paese totalmente fuori controllo, in cui le armi vengono considerate giocattoli da poter tranquillamente tenere in casa per poi poterle sfoderarle al momento opportuno, generando la strage di turno. Obama piange lacrime (quanto amare?) in televisione senza nemmeno provare ad evitare che simili armi pericolose (89 ogni cento abitanti!!) finiscano nelle mani sbagliate, e continua, fresco di rielezione, la sua patetica farsa da pupazzo..
Di problemi l’Italia ne ha abbastanza, potrebbe quindi evitare di affacciarsi a giudicare quelli degli altri. Ma quando scorre il sangue, e quel sangue è di bambini, un brivido corre lungo la schiena e la testa si alza, si deve alzare. Per fermarsi. Per riflettere. Per comprendere. Il primo impeto è quello di chiamare altro sangue. Ma ha senso, per Newtown? No. Se la pena di morte può o meno essere considerata una soluzione giudiziaria, la questione da sollevare è (sarebbe) invece, una volta per tutte, quella di come evitare di dover, ciclicamente, parlare di stragi in asili, scuole, college statunitensi.
Civiltà Usa e getta
Di problemi l’Italia ne ha abbastanza, potrebbe quindi evitare di affacciarsi a giudicare quelli degli altri. Ma quando scorre il sangue, e quel sangue è di bambini, un brivido corre lungo la schiena e la testa si alza, si deve alzare. Per fermarsi. Per riflettere. Per comprendere. Il primo impeto è quello di chiamare altro sangue. Ma ha senso, per Newtown? No. Se la pena di morte può o meno essere considerata una soluzione giudiziaria, la questione da sollevare è (sarebbe) invece, una volta per tutte, quella di come evitare di dover, ciclicamente, parlare di stragi in asili, scuole, college statunitensi.
Barack Obama non ha trattenuto le lacrime mentre parlava alla stampa della mattanza avvenuta in Connecticut. Impossibile pensare che potessero non essere sincere. Però deve ricordarsi che guida il Paese che si vanta di essere la maggiore potenza mondiale, e che lo fa forte di una fresca rielezione. Che in una tasca della giacca ha il Premio Nobel per la Pace, e nell’altra una Costituzione che ha l’ambizione di sancire il diritto alla felicità. Difficilen che, in una terza tasca o in qualche cassetto, non abbia anche quei dati incredibili sulle armi negli Usa. Ce l’ha, eccome. Anche ieri ha voluto annunciare una riforma della legge che consente che negli States ci siano 89 armi in circolazione ogni cento abitanti.
Un fucile, prima o poi, spara. E dall’altra parte dell’oceano i fucili, le pistole, i mitragliatori d’assalto sparano in continuazione. Basti pensare che soltanto qualche giorno fa New York “festeggiava”: dopo 52 anni, per la prima volta in 24 ore non si era verificato “neanche” un omicidio. Ci ha pensato
Adam Lanza a rialzare la media, nel vicino Connecticut… Certamente Obama dovrà piegare molte resistenze. Soltanto ieri Larry Pratt, portavoce di un’associazione di detentori di armi, è riuscito a
sostenere che l’errore è stato rendere le scuole aree interdette alle armi: così gli insegnanti non hanno potuto difendersi.
Barack dimostri di non essere il Presidente di “Oltre il giardino”: se non batte gente come questo Larry, l’America non potrà che continuare ad essere il Paese dello sterminio dei Pellerossa e di
Hiroshima e Nagasaki.
di Robert Vignola
Fonte: Il Giornale d'Italia
martedì 11 dicembre 2012
lunedì 10 dicembre 2012
La Vecchia Sezione non si ferma mai!
Avviliti per il triste destino che ci hanno predetto?
In baffo alla fine del mondo, in baffo alla modernità..a Nemecsek arriva LVS!!
domenica 9 dicembre 2012
sabato 8 dicembre 2012
A Handbook of Traditional Living
or engage in foolish and random acts of violence, which are but signs of human meanness and cowardice. Similar deviances are the most evident manifestations of a world in ruins and of a type of human being that gives up on life, as he is incapable of self-control." (Estratto dalla traduzione in inglese del 2° Quaderno di Formazione del Militante della Tradizione - Comunità Militante Raido ) - A Handbook of Traditional Living
giovedì 6 dicembre 2012
la banalità (e tristezza) al tempo dei social network..
Madri che per sfizio o mancanza di tempo accettano suggerimenti sul nome da dare al proprio figlio. Scelta intima e solitamente fondamentale nella vita di coppia, ridotta a gioco da sottoporre ai propri spettatori virtuali. Qualcosa non torna...
http://www.azionetradizionale.com/2012/12/03/la-banalita-al-tempo-dei-social-network/
http://www.azionetradizionale.com/2012/12/03/la-banalita-al-tempo-dei-social-network/
martedì 4 dicembre 2012
La democrazia ha fallito. Parola di democrazia.
Aggiungere una "scelta a caso", una quota di rappresentanti "cittadini x" per migliorare un sistema democratico non democratico. La democrazia che condanna la democrazia, ponendo il casuale come rimedio rende abbastanza l'idea della crisi di un sistema palesemente alla deriva.
Uno studio di cinque docenti dell’Università di Catania – due economisti, due fisici e un sociologo – “propone” una alternativa al sistema parlamentare che paradossalmente potrebbe renderlo più efficiente: sorteggiare una quota di rappresentanti tra i cittadini stessi. Se la “democrazia a caso” risulta migliore di quella scientifica, allora la considerazione è una sola: la democrazia ha fallito.
(Il Fatto quotidiano) – Rendere più efficiente il Parlamento affidando al caso la scelta dei legislatori. Per migliorare la qualità delle leggi proposte e del sistema politico in generale, «malato alla radice», che oggi crea sempre più «distacco tra elettorato ed eletti». Non è la trama di un romanzo di fantascienza, ma il risultato di un esperimento scientifico interdisciplinare – accreditato da riviste nazionali ed internazionali – condotto da un team di docenti dell’università di Catania. E pubblicato anche in un libro fresco di stampa,Democrazia a sorte, scritto a ben dieci mani da due economisti, due fisici e un sociologo. La teoria che ci sta dietro è semplicissima: «Affidare l’istituzione parlamentare del nostro Paese a chi non sta dentro la grande macchina della politica e creare una democrazia contaminata da un’estrazione a sorte dei suoi protagonisti». Mescolando una serie di esperienze giurisdizionali del passato, un’analisi della situazione attuale, uno studio socio-politico e un modello matematico di socio-fisica.
Una proposta che potrebbe non piacere alla classe politica attuale ma che, a detta degli autori – gli economisti Maurizio Caserta e Salvatore Spagano, i fisici Andrea Rapisarda ed Alessandro Pluchino e il sociologo Cesare Garofalo - contribuirebbe a cambiare radicalmente l’approccio alla legislazione. Introducendo all’interno del Parlamento un dato numero di normali cittadini, scelti rigorosamente tramite sorteggio, che possa servire da reale rappresentanza dei bisogni di tutti. Massimizzando così l’efficienza delle leggi proposte. A calcolare il numero ottimale di questi deputati indipendenti dai partiti un sistema di simulazione virtuale al computer.
Un elemento, quello della casualità, non nuovo alla squadra di studiosi catanesi che nel 2010 si è aggiudicata l’Ignobel, premio alle ricerche più improbabili, dimostrando come un’azienda può migliorare la sua produttività se i suoi dirigenti sono scelti a caso da un sistema di «promozione random». Intuizione applicata qualche mese dopo – e con le dovute modifiche – anche alla politica. Così è nato Politici per caso, lo studio su cui si basa Democrazia a sorte. Che si sviluppa su un percorso interdisciplinare a tappe, partendo da una domanda: «A cosa serve la democrazia?».
«La disaffezione politica dipende soprattutto dalla diminuzione della rilevanza democratica», spiega Salvo Spagano, autore del primo capitolo del volume. Che non dipende solo dalle colpe di chi siede in Parlamento. «Una parte importante delle democrazia viene fornita dai cittadini vigilando sulla rappresentanza», sottolinea il giovane economista. Al ruolo delle persone comuni, che possono e devono agire in prima persona, va sommato poi quello «benefico del caso». Ne è convinto il fisicoAndrea Rapisarda, che ne spiega le motivazioni nel secondo capitolo. «Un pizzico di casualità – sottolinea il docente – è sempre salutare per il sistema. E può avere un ruolo fondamentale anche a livello parlamentare».
Come questi due elementi possono apportare migliorie all’istituzione parlamentare lo spiega Maurizio Caserta, docente di Economia politica e neocandidato alla poltrona di sindaco di Catania alle prossime amministrative con un progetto politico basato proprio sulla collaborazione con i cittadini. «Il Parlamento serve a generare benessere e a fare delle cose utili, anche se ultimamente il nostro giudizio sulla sua utilità è diminuito», sottolinea l’econimista. Per raggiungere questo scopo al meglio, al suo interno devono essere «rappresentate tutte le sensibilità dell’elettorato, con un universo il più variegato possibile di persone». Una logica, invece, che oggi «il sistema dei partiti sacrifica».
Eppure il sistema elettorale a sorteggio vanta antenati illustri. Veniva utilizzato – con successo – già nella Serenissima repubblica di Venezia e ancor prima nell’antica Grecia, dove già «si sapeva che le elezioni favoriscono un’élite di pochi», sottolinea il sociologo Cesare Garofalo. Con interessi distinti da quelli dell’elettorato. «I partiti sono per natura corruttori e i loro meccanismi interni portano a delle distorsioni disastrose, che oggi tocchiamo con mano».
Ma quanti devono essere gli elementi casuali da portare in Parlamento per farlo funzionare meglio? Il compito di calcolarli è affidato alla fisica, o meglio alla socio-fisica, materia che applica gli studi fisici alle strutture sociali. In cui, «i comportamenti degli esseri umani, analizzati in grandi gruppi, possono essere studiati come quelli delle particelle», spiega il fisico Alessandro Pluchino. E’ lui, nelle conclusioni del volume, ad introdurre il valore aggiunto di Democrazia a sorte: «Un modello matematico sviluppato ad hoc per simulare al computer gli agenti virtuali», spiega il docente. Con cui calcolare quella che gli autori definiscono «la regola d’oro dell’efficienza», ovvero il numero dei «politici per caso» con cui risollevare le sorti della democrazia. Un dato che dipende da diverse variabili ma che, in generale, in un sistema perfettamente bipolare è in relazione allo scarto di voti tra maggioranza e opposizione: minore è la differenza, minori saranno i politici per caso. E viceversa. Su 500 parlamentari e una maggioranza al 60 per cento, per esempio, gli indipendenti saranno 140.
da Azionetradizionale
lunedì 3 dicembre 2012
Le idee a posto ... [4]
Piccola dissertazione sulla distinzione tra militanti, borghesi e gente di destra
Ci siamo espressi più di una
volta, sul fatto che il pericolo più grande è rappresentato da “quelli di
destra”, “dai fascisti a chiacchiere”, “da quelli che tunonsaiquellochehofattoio",
da quelli che parlano senza produrre uno straccio di partecipazione attiva. Non
sostengono le iniziative militanti – qualunque esse siano; sono estremisti ma
al massimo, tengono le chiappe al caldo nei partiti istituzionali; non versano
un contributo – a qualsiasi organizzazione; non acquistano i prodotti delle
rivendite legionarie – qualunque esse siano; non condividono informazioni di
eventi, iniziative, incontri delle unità militanti, non partecipano mai, non
alzano mai il culo, ma non solo. Sono quelli che amano il Duce ma stanno con il
Sindaco, quelli dei tempi belli, quelli del 28 Ottobre, quelli che vanno a cena
e si fanno le foto con i politici famosi, quelli che gli parli di Codreanu e ti
dicono “ancora co sti cazzo de rumeni”, quelli che “se scoppia la rivoluzione
sono il primo a partì”. Vogliamo sottolinearlo in special modo, per quel che ci
riguarda direttamente a Santa Marinella in questo periodo ed a Civitavecchia lo scorso anno. Il discorso è
per quelli ai quali dopo trent’anni di deserto sul loro territorio, gli si
presenta il lavoro di una iniziativa militante che ha edificato una sede e
posto sulla linea di combattimento uomini disposti a battersi per una visione
della vita e del mondo, per un progetto che guarda al futuro e non alle
prossime elezioni. Non si agitano per un partito o un programma politico, perchè quest’ultimi sono sempre disponibili ad un compromesso, no. Militano per una
weltanschaung, che per sua natura non si baratta, non se ne fa commercio. Per una
idea di civiltà per la quale si combatte e se necessario si muore, ma non si mercanteggia.
Non solo, si è creato un luogo fisico, dove coloro che non intendono arrendersi
al liberalismo, alla destra, ai parolai della politica, alle solite
conventicole paesane, possono trovarsi a casa. Con una rivendita militante legionaria
– non a scopo di lucro, dove si possono trovare tutti i materiali necessari
alla formazione, discriminante fondamentale per evitare di illudersi con
velleitarismi politici di bassa lega, se non, per tornaconto personali.
Chi fa della militanza uno stile
di vita, conosce perfettamente, quello di cui scriviamo e vale per tutti. Quando
le elezioni mettono in moto le pavide animelle dei rivoluzionari da cabina
elettorale e i supercammeratoni da tre mesi prima e tre mesi dopo le elezioni,
è bene marcare le distanze, è bene segnare confini netti, da ambienti con i
quali non si ha e non si vuole avere nulla a che spartire.
Cene e pranzi, portachiavi,
camicie nere ben stirate, retorica folcloristica, gite a Predappio, sprizzando
veleno a destra e a manca, questa gente ha una parola cattiva per tutti. Parlano,
parlano e straparlano male di coloro che continuano a sacrificarsi sul sentiero
dell’onore, con la schiena dritta, senza concedere nulla al sistema democratico
parlamentare. Nonostante il fatto che tutto il mondo della politica, del potere
amministrativo e tecnoburocratico, dei media, della cultura e della economia ci
contrasta sistematicamente, noi continuiamo a rimanere sulla linea di
combattimento. Cosa dovrebbe farci
credere che dei ciarlatani, avendo abbandonato la lotta ed avendola sostituita
con il comodo mondo di una vita borghese fatta di enogastronomia e film su
skycinema, spalmati sul divano come dei bradipi insensati, debbano essere
considerati diversamente?
Al contrario i militanti delle
comunità antagoniste al sistema egemonico – qualunque esse siano, ogni giorno
si spendono in impegni, riunioni, viaggi, versano
soldi e li tolgono ai propri bilanci familiari, tolgono tempo ai propri cari,
lasciano far carriera ad altri, si insozzano di colle, inchiostri, vernici,
grassi per serrande. Camminano in montagna, organizzano presidi, affissioni,
combattono il nemico. Tutto questo con la gioia rivoluzionaria di coloro che
sanno che “quella è la loro via, quello è il loro essere e non possono fare
altrimenti”. Questa per noi è la discriminante,
molte trincee, stesso fronte. Non pretendiamo che tutti coltivino pomodori,
ognuno coltivi il proprio orto, ma lo faccia. Chi nulla fa, nulla vale. E’ proprio vero, occorre stare
più attenti a quelli che sembrano i tuoi amici, “agli pseudocamerati della
porta accanto” che ai nemici. Almeno quest’ultimi ti combattono apertamente,
sai a chi sparano veramente.
E’ per tale motivo che ci ritornano in mente le
parole che pronunciò il Duce il 22 Aprile del 1945: "Noi siamo i proletari
in lotta, per la vita e per la morte. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un
ordine nuovo… Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro
cui lottiamo senza sosta viene da destra”. Noi la lezione l’abbiamo imparata e
adesso se volete continuare a raccontarvi e a raccontarci favole, dalla comoda
poltroncina sulla quale state, fatelo pure, ma non spacciatevi per quello che
non siete.
Azione Punto Zero
domenica 2 dicembre 2012
Per un'azione retta, per essere coerenti, per essere sé stessi..
Non dar lingua ai tuoi pensieri, e i pensieri aspetta di averli ben ponderati prima di convertirli in azioni. Sii affabile, ma non volgare; agli amici provati tieniti unito con vincoli d’acciaio, ma non farti venire il callo alla destra stringendo tutte le mani che incontri. Guardati dal cacciarti in risse: ma se proprio ti ci trovi, che il tuo avversario ne esca augurandosi di non incontrarti più. Ascolta tutte le opinioni, ma sii riservato nei tuoi giudizi. E questo soprattutto: sii sincero con te stesso; e ne seguirà, come la notte segue il giorno, che non potrai essere falso con gli altri. E ora addio: la mia benedizione faccia lievitare in te questi consigli.
“Amleto” - William Shakespeare
“Amleto” - William Shakespeare
La biblioteca del Legionario!
LEGIONE ARCANGELO MICHELE
Bucarest, 10 Settembre 1936
1) Coi tuoi risparmi comprati oggi un libro, domani un altro e fatti una biblioteca. Una piccola biblioteca legionaria. Sia essa l’ornamento e l’orgoglio della tua casa. Essa ti illuminerà l’intelletto e ti indirizzerà sempre sulla buona strada.
2) Quando vuoi far qualcosa di buono per qualcuno; se gli vuo
i bene e vuoi farlo contento; se vuoi salvarlo dal traviamento, compera per lui un libretto e mandaglielo. Il piccolo sacrificio ti sarà ricompensato quando saprai di aver salvato un uomo.
3) Cerca, per quanto è possibile, di rifornirti soltanto alla rivendita legionaria. [...]
Tratto da “Circolari e manifesti” – C. Z. Codreanu
3) Cerca, per quanto è possibile, di rifornirti soltanto alla rivendita legionaria. [...]
Tratto da “Circolari e manifesti” – C. Z. Codreanu
venerdì 30 novembre 2012
Corneliu Presente!
Nella notte del 30 novembre 1938 nella foresta di Țicăbești, alla periferia di Bucarest, veniva assassinato con infamia inaudita Corneliu Zelea Codreanu, il capo della Legione dell'Arcangelo Michele. A distanza di tempo il suo esempio di vita, nel nome dei valori e delle virtù come Verità, Giustizia, Lealtà, Onore, Fedeltà, Coraggio, Sacrificio, rappresenta un imprescindibile punto di riferimento per quanti come lui intendono la vita come un dono da mettere al servizio dell'Idea.
Capitano Corneliu Zelea Codreanu, Presente!
Azione Punto Zero
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Corneliu Zelea Codreanu, 30/11/1938 - 30/11/2012
giovedì 29 novembre 2012
La filosofia di Apple? “I soldi non puzzano” (di morto)
Apple ha velocemente risolto il problema dei suicidi e delle proteste dei propri lavoratori sfruttati dello stabilimento Foxconn di Taiwan in tempi celerissimi. Come? Rimpiazzandoli con dei robot che non chiedono aumenti di stipendio e lavorano 24h senza protestare. Ma a te cosa importa?! Devi già pensare a come pagare le rate del nuovo Iphone…
(Wall Street Italia) – Foxconn, la gigantesca azienda del Taiwan che fabbrica apparecchiature per i dispositivi Apple, Hewlett-Packard, Dell, e Sony, ha da poco iniziato a sostituire i propri dipendenti con dei robot, come sottolinea CNET
Dopo una serie di suicidi avvenuti nell’azienda a causa delle difficili condizioni di lavoro dei propri dipendenti, Terry Gou, capo e fondatore della Foxconn, ha fatto questa scelta affermando di voler migliorare l’efficienza e di voler combattere gli aumenti richiesti dal personale.
I primi 10 mila robot, rinominati “Foxbots”, sono già arrivati, altri 20 mila sono previsti per la fine dell’anno. Il costo è stato tra i 20 e i 25 mila dollari, ovvero all’incirca tre volte il salario annuale di un normale dipendente della Foxconn.
Questa azienda, che ha 1,2 milioni di dipendenti in tutta la Cina, è stata accusata in passato per il suicidio di diversi dipendenti e per lo sfruttamento del lavoro minorile.
La maggior parte dei suicidi sono avvenuti con persone che saltavano dai palazzi aziendali, la compagnia ha, per questa ragione, deciso di installare delle apposite reti per evitare altri casi e ha inoltre deciso di aumentare lo stipendio ai propri dipendenti del 25%.
Fonte: Azionetradizionale
martedì 27 novembre 2012
riformare? no, rivoluzionare!
prima di pensare di poter cambiare le cose, cominciamo a pensare a cosa non va in noi stessi. Il miglioramento non si ottiene architettando congetture astratte su come si deve riformare un mondo alla rovina, ma bisogna cominciare da un lavoro quotidiano e costante su sé stessi, domandandosi costantemente se le proprie azioni sono giuste o meno, se si segue la via della Verità o no. Se non si mette in discussione il proprio animo e non si fa il primo passo verso una ricerca del miglioramento, allora non si è fatto nulla.
Non abbiamo voglia di riformare questo mondo, ma solo di rivoluzionarlo. Ce lo ripetiamo da sempre e lo ripetiamo a tutti coloro che quotidianamente si lamentano delle scorrettezze di questo o quel politico o dell’”inciviltà generale” della politica. Come corrispettivo delle grandi ingiustizie ricambiano con piccole ingiustizie quotidiane che sperano pareggino i conti, un giorno, alla fine del gioco. Prima o poi, si ripetono, le cose cambieranno. Ma dovranno cambiare in grande, secondo loro, a partire dalle grandi ingiustizie che vedono in televisione o leggono sul giornale senza pensare alle loro piccole e misere ingiustizie quotidiane. Senza guardarsi nelle mani che quotidianamente si sporcano. Senza guardarsi allo specchio di fronte al quale ogni mattina si truccano. I cambiamenti in grande sono una viziata volontà di riformare il mondo che ci circonda non di rivoluzionarlo. Sono i comportamenti quotidiani che devono riprendere ad essere giusti. Essere esempio di giustizia negli ambienti di lavoro e in comitiva, in fabbrica e a scuola, nelle università e a casa, per le strade e al cinema. Lì vogliamo che cambino le cose. E non si pensi che sia cosa semplice, anzi. Non esistono, ci ammoniva Evola, piccoli o grandi tradimenti: esiste solo il tradimento. È da lì che dobbiamo partire. Rivoluzionare le nostre anime non riformare le leggi è il nostro obiettivo.
fonte: Azionetradizionale
Non abbiamo voglia di riformare questo mondo, ma solo di rivoluzionarlo. Ce lo ripetiamo da sempre e lo ripetiamo a tutti coloro che quotidianamente si lamentano delle scorrettezze di questo o quel politico o dell’”inciviltà generale” della politica. Come corrispettivo delle grandi ingiustizie ricambiano con piccole ingiustizie quotidiane che sperano pareggino i conti, un giorno, alla fine del gioco. Prima o poi, si ripetono, le cose cambieranno. Ma dovranno cambiare in grande, secondo loro, a partire dalle grandi ingiustizie che vedono in televisione o leggono sul giornale senza pensare alle loro piccole e misere ingiustizie quotidiane. Senza guardarsi nelle mani che quotidianamente si sporcano. Senza guardarsi allo specchio di fronte al quale ogni mattina si truccano. I cambiamenti in grande sono una viziata volontà di riformare il mondo che ci circonda non di rivoluzionarlo. Sono i comportamenti quotidiani che devono riprendere ad essere giusti. Essere esempio di giustizia negli ambienti di lavoro e in comitiva, in fabbrica e a scuola, nelle università e a casa, per le strade e al cinema. Lì vogliamo che cambino le cose. E non si pensi che sia cosa semplice, anzi. Non esistono, ci ammoniva Evola, piccoli o grandi tradimenti: esiste solo il tradimento. È da lì che dobbiamo partire. Rivoluzionare le nostre anime non riformare le leggi è il nostro obiettivo.
fonte: Azionetradizionale
lunedì 26 novembre 2012
Incontro con i Combattenti RSI [recensione]
Domenica 25 novembre la comunità militante di Azione Punto
Zero ha organizzato un incontro con i Combattenti della Repubblica Sociale
Italiana al quale hanno partecipato anche i sostenitori e i simpatizzanti provenienti
dal comprensorio e da Roma. Data prescelta quella dell’anniversario
della proclamazione dello Stato Nazionale Repubblicano in RSI. Una occasione
importante quindi, affinché venga mantenuto vivo, lo spirito e l'Idea per cui
quegli Uomini – in un mondo che sprofondava nelle rovine morali e materiali - presero
un arma in mano, senza sapere cosa avrebbe riservato loro il Destino. Il dovere
era quello di opporsi al dilagare di un mondo in cui la scala di valori, senza troppe
speculazioni teoriche, stava sgretolandosi davanti agli occhi e di cui oggi,
possiamo vederne i venefici effetti, guardandoci intorno.
Per l'occasione, ha retto le redini della conversazione, un
infaticabile Combattente: Stelvio Dal Piaz. La Fiamma Bianca che per senso del
dovere, sacrificio e presenza costante, in numerose manifestazioni dalle Alpi
alla Sicilia, fa vergognare tanti giovani che si riempiono la bocca di belle
parole, senza muovere il culo da davanti ad un pc, dove cliccano un
“parteciperò” che non vedrà mai una concretizzazione fuori da facebook. Dopo
una piccola introduzione dei responsabili di Azione Punto Zero, che hanno
presentato le attività svolte e i motivi per i quali ritengono importanti
questi consueti incontri - alla presenza dei Combattenti, Pedrini, Lanzarotto,
Niglio e De Saraca – Stelvio, con la tempra di sempre, senza mai cadere in un senso
di vuoto folclore o di nostalgia retorica, ha spiegato con rara lucidità,
le ragioni della funzione della RSI ed il motivo per il quale è importante
battersi contro la democrazia liberal-capitalista che ha completamente fallito
il raggiungimento dei suoi presunti obiettivi.
Con rigore e precisione, saltando dalla storia, alla
politica, passando per l’economia e l’arte, Dal Piaz ha trasmesso ai presenti,
la concezione elitaria della res
publica così come il senso dello Stato scaturito dalla concezione
fascista. Un orizzonte che, anche se sembra lontanissimo alla luce dello
disfacimento attuale perpetuato dalla liberal-democrazia, è una realtà immortale
per l’uomo del nostro schieramento.
Data la carica di vitalità e di energie che tale
appuntamento ci ha trasmesso - ma anche la gratitudine di fronte a simili
uomini che hanno lottato per l'Idea, mantenendosi a tutt’oggi in piedi tra le
rovine, oggi possiamo guardare al passato ed al presente con orgoglio. A tale
proposito, invitiamo tutti coloro che conoscono altri combattenti RSI a
mettersi a disposizione e di adoperarsi, per dedicare loro del tempo, oltre che
attivarsi per invitarli, accompagnarli e assisterli. Sempre.
Come ultima attività, presso l’Ultimo Avamposto, luogo che ci
accoglie sempre con cortesia e dalla cucina eccezionale, l’incontro si è
concluso con un pranzo legionario. Un momento ludico che rappresenta sempre un
buon viatico per l’arrivederci al prossimo incontro che si terrà a Gennaio. I
debolucci di spirito se ne stiano a casa o si attestino sulle prossime
elezioni, gli occhi dei Combattenti e i nostri guardano già a quella che sarà
la nostra Europa. L’anello generazionale non si spezza, azione diretta, azionepuntozero!
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domenica 25 novembre 2012
Morire per la propria Nazione, morire per un'ideale..onore a Yukio!
« Dobbiamo morire per restituire al Giappone il suo vero volto! E' bene avere così cara la vita da lasciare morire lo spirito? Che esercito è mai questo che non ha valori più nobili della vita? Ora testimonieremo l'esistenza di un valore superiore all'attaccamento alla vita. Questo valore non è la libertà! Non è la democrazia! E' il Giappone! E' il Giappone, il Paese della storia e delle tradizioni che amiamo. » |
(Yukio Mishima, Discorso prima del suicidio rituale)
Yukio MISHIMA (16 gennaio 1925-25 novembre 1970)
|
Nato a Tokio da famiglia borghese, il giovane Yukio non si rimetterà mai dall'aver mancato l'appuntamento con la storia non avendo partecipato ai combattimenti per il Giappone del grande sogno imperiale. Reso celebre a soli 24 anni dal successo del suo romanzo Confessioni di una Maschera, il D'annunzio d'oriente" scrive tra il 1949 e il 1970 una quarantina di opere teatrali, novelle e saggi. I più notevoli Il padiglione d'oro, Dopo il banchetto e tetralogia Il mare di fertilità, con il romanzo Cavalli in fuga, trattano tutti dell'umiliazione del Giappone a causa dell'occupazione americana e della progressiva perdita della sua anima, inesorabilmente anestetizzata e soffocata dalla inconsistente e volgare cultura americana.
La risposta al deserto al deserto spirituale che dilaga, gli appare una sola: l'adesione coerente al bushido (la via del guerriero). Fonda perciò nel 1968, con un gruppo di studenti, un'associazione paramilitare denominata "Società dello Scudo". In nome dell' Imperatore e del "suo" Giappone, tenta, nel 1970, con il suo piccolo esercito privato, di far sollevare il quartier generale delle forze di autodifesa giapponesi.
Fallito il tentativo, dinanzi all'apatia di quella che credeva l'ultima speranza della Nazione: la casta degli ufficilali. si da alla morte con il tradizionale seppuku.
Tutta la vita di Mishima può riassumersi nell'affermazione che "il sapere senza l'azione è osceno"
giovedì 22 novembre 2012
lunedì 19 novembre 2012
La menzogna è verità, la verità menzogna
Francia 2012 - Dalle foto e dall'articolo si scorge bene chi con la violenza impedisce la libertà di manifestare.
"Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone oppresse e amare quelle che opprimono." Malcom X
PARIGI - Militanti del movimento femminista ucraino Femen e giornalisti sono stati circondati e in alcuni casi aggrediti e picchiati durante la manifestazione organizzata a Parigi dai cattolici radicali dell'istituto Civitas contro il matrimonio gay. Lo hanno raccontato le persone che si sono dette aggredite.
"Una decina di militanti di Femen - ha raccontato la giornalista e saggista Caroline Fourest, anche lei malmenata - avevano deciso di inscenare una protesta pacifica e ironica, ma quando sono andate verso i manifestanti degli individui le hanno inseguite, erano scatenati. Le ragazze hanno preso botte e colpi in tutte le parti del corpo", così come alcuni giornalisti che stavano filmando la scena. Lamentano "molestie" anche numerosi fotografi presenti, che parlano di una "trentina" di aggressori fra i manifestanti, per fermare i quali è stato necessario un cordone di polizia.
Il segretario socialista, Harlem Desir, ha subito condannato l'aggressione di giornalisti e femministe, avvenuta all'inizio della manifestazione contro il progetto di legge del governo di sinistra che apre la strada al matrimonio e all'adozione da parte di coppie omosessuali. Ieri erano scesi in piazza in tutta la Francia oltre 100.000 oppositori al progetto, lasciando la giornata di oggi ai cattolici integralisti. Alcune migliaia di loro si sono dati appuntamento davanti al ministero della Famiglia dove è partita la manifestazione presto degenerata
Fonte: Ansa
"Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone oppresse e amare quelle che opprimono." Malcom X
PARIGI - Militanti del movimento femminista ucraino Femen e giornalisti sono stati circondati e in alcuni casi aggrediti e picchiati durante la manifestazione organizzata a Parigi dai cattolici radicali dell'istituto Civitas contro il matrimonio gay. Lo hanno raccontato le persone che si sono dette aggredite.
"Una decina di militanti di Femen - ha raccontato la giornalista e saggista Caroline Fourest, anche lei malmenata - avevano deciso di inscenare una protesta pacifica e ironica, ma quando sono andate verso i manifestanti degli individui le hanno inseguite, erano scatenati. Le ragazze hanno preso botte e colpi in tutte le parti del corpo", così come alcuni giornalisti che stavano filmando la scena. Lamentano "molestie" anche numerosi fotografi presenti, che parlano di una "trentina" di aggressori fra i manifestanti, per fermare i quali è stato necessario un cordone di polizia.
Il segretario socialista, Harlem Desir, ha subito condannato l'aggressione di giornalisti e femministe, avvenuta all'inizio della manifestazione contro il progetto di legge del governo di sinistra che apre la strada al matrimonio e all'adozione da parte di coppie omosessuali. Ieri erano scesi in piazza in tutta la Francia oltre 100.000 oppositori al progetto, lasciando la giornata di oggi ai cattolici integralisti. Alcune migliaia di loro si sono dati appuntamento davanti al ministero della Famiglia dove è partita la manifestazione presto degenerata
Fonte: Ansa
sabato 17 novembre 2012
SVELARE "IL SEGRETO" ATTRAVERSO L'ARTE DEL CINEMA? DIFFICILE, IN QUESTA REALTA'..
Quando un film si propone di mostrare realtà scomode per l'inquinato e bugiardo mondo moderno, ecco che un artista che vuole far valere la voce della verità si ritrova le porte sbarrate, i mezzi di produzione limitati, budget infimo. Un progetto che poteva essere, oltre che un veicolo importante di chiarificazione di quello che è un orribile massacro di cui pochi sono a conoscenza, anche un' opera d'arte a tutti gli effetti.
Della maestra elementare, Corinna Doardo, 39 anni, vedova di un sarto, che aveva insegnato a leggere e a scrivere a uno stuolo di bambini, ha scritto Giampaolo Pansa ne Il sangue dei vinti: «Andarono a prenderla a casa, la portarono dentro il municipio e la raparono a zero. La punizione sembrava finita lì e invece il peggio doveva ancora venire. Le misero dei fiori in mano e una coroncina di fiori sulla testa ormai pelata e la costrinsero a camminare per la via centrale di Codevigo, fra un mare di gente che la scherniva e la insultava. Alla fine di questo tormento, la spinsero in un viottolo fra i campi. E la uccisero, qualcuno dice con una raffica di mitra, altri pestandola a morte sulla testa con i calci dei fucili».
Del figlio del podestà, Ludovico Bubola, detto Mario, ha riferito Antonio Serena ne I giorni di Caino: «I barbari venuti a liberare il Veneto cominciano a segargli il collo con del filo spinato, finché la vittima sviene. Allora provvedono a farlo rinvenire gettandogli in faccia dei secchi d’acqua fredda. Ma il martire non cede e grida ancora la sua fede in faccia ai carnefici. Allora provvedono a tagliargli la lingua che gli viene poi infilata nel taschino della giacca. Quindi, quando la vittima ormai agonizza, gli recidono i testicoli e glieli mettono in bocca. Verrà poi sepolto in un campo d’erba medica nei pressi, sotto pochi centimetri di terra».
Di Farinacci Fontana, che aveva appena 18 anni ed era infantilmente orgoglioso della sua fede nel Duce, compendiata fin dalla nascita in quell’assurdo nome di battesimo mutuato dal cognome di un gerarca fascista, vorrebbe parlare il regista Antonello Belluco ne Il segreto. Ma un conto è leggere certe cose sui libri degli storici revisionisti, un altro conto è guardarle al cinema, e Il segreto è appunto un film. Che nessuno deve vedere, anzi che non si deve nemmeno girare, perché è ambientato sullo sfondo dell’eccidio di Codevigo, il più cruento, insieme con quello della cartiera di Mignagola nel Trevigiano, compiuto dai partigiani in un’unica località a guerra già finita, a Liberazione già avvenuta, ad armi già deposte, in un arco temporale che va dal 29 aprile al 15 maggio, forse anche dopo, nessuno può dirlo con precisione. Così come nessuno ha mai stabilito la contabilità esatta della mattanza: c’è chi parla di 136 vittime, chi di 168 e chi di 365, come i giorni di quell’atroce 1945.
Secondo il cardiologo Luigi Masiero i giustiziati furono non meno di 600, ma il calcolo potrebbe essere inficiato dal fatto che il medico era stato, come quasi tutti, camicia nera. Un documento dell’arcidiocesi di Ravenna-Cervia ipotizza addirittura la cifra di 900 morti. Don Umberto Zavattiero, a quel tempo prevosto di Codevigo, annota nel chronicon parrocchiale: «30 aprile. Previo giudizio sommario fu uccisa la maestra Corinna Doardo. Nella prima quindicina di maggio vi fu nelle ore notturne una strage di fascisti importati da fuori, particolarmente da Ravenna. Vi furono circa 130 morti. Venivano seppelliti dagli stessi partigiani di qua e di là per i campi, come le zucche. Altri cadaveri provenienti da altri paesi furono visti passare per il fiume e andare al mare».
In questa macabra ridda, diventa una certezza un titolo a tre colonne uscito sul Gazzettino soltanto 17 anni dopo, il 28 marzo 1962: «Esumate un centinaio di salme e raccolte in un piccolo ossario». È la prima cappellina sulla sinistra, nel cimitero di questo paese della Bassa padovana. Mezzo secolo fa vi furono tumulati i resti di 114 dei fascisti trucidati. Un’ottantina di loro hanno un volto negli ovali di ceramica. Tanti cognomi scolpiti sulla lapide e una postilla finale: «N. 12 ignoti».
Belluco è un padovano di 56 anni, laureato in scienze politiche. Ha lavorato in Rai dal 1983 come programmista e regista per Radio 2 e Rai 3, prima a Venezia e poi a Roma. «Sono entrato grazie a un’unica referenza: l’aver vinto il premio Cento città, indetto dalla casa discografica Rca, che l’anno prima era andato al dj Claudio Cecchetto. In mensa mi chiedevano: Tu da chi sei raccomandato?. Tutti avevano un padrino». Nel 1987 lo convoca Antonio Bruni, dirigente della Tv di Stato: «Qua dentro, senza un partito alle spalle, non puoi far carriera. Meglio se ti cerchi un lavoro fuori». Belluco ascolta il consiglio. Si mette a girare spot e filmati per Lotto, Safilo, Acqua Vera, Lavazza, Pubblicità Progresso. Produce audiovisivi per Il Messaggero di Sant’Antonio, documentari, inchieste (sull’ecstasy, sul sequestro di Giuseppe Soffiantini, sul regista Sam Peckinpah). Nel 2006 l’esordio nel cinema con Antonio, guerriero di Dio interpretato da Jordi Mollà, Arnoldo Foà e Mattia Sbragia. La Buena Vista (Walt Disney Company) si offre di lanciare il film, ma il produttore preferisce l’italiana 01 Distribution (Rai Cinema). «Risultato: programmazione pessima. E pensare che in quattro sale di Padova aveva fatto gli stessi incassi del Codice da Vinci».
Nel 2011 la sua docufiction Giorgione da Castelfranco, sulle tracce del genio viene qualificata dal ministero per i Beni culturali come film d’essai insieme con Habemus Papam di Nanni Moretti. Nello stesso anno cominciano le riprese de Il segreto, con tanto di marchio della Warner Bros sulla colonna sonora, giacché Belluco sa maneggiare tanto la pellicola quanto il pentagramma, come dimostra il Sanctus scritto a quattro mani con l’amico Pino Donaggio e cantato da Antonella Ruggiero nei titoli di coda di Antonio, guerriero di Dio. Il regista aveva già girato un quarto d’ora, dei 105 minuti previsti dal copione ambientato sullo sfondo dell’eccidio di Codevigo, quando gli capita fra capo e collo una catena di sventure difficilmente attribuibili al caso e tutte senza spiegazione: il produttore rinuncia, i contributi ministeriali e regionali vanno in fumo, le banche ritirano i finanziamenti, i collezionisti che avevano messo a disposizione materiale bellico e costumi d’epoca si defilano, la Ruggiero si rifiuta d’interpretare il tema musicale del Segreto, gli avvocati inviano diffide. «Finché un giorno Angelo Tabaro, segretario generale per la Cultura della Regione Veneto, me l’ha confessato chiaro e tondo: Ho ricevuto telefonate dall’Anpi e dai partiti di sinistra. Non vogliono che esca questo film».
Perché ha deciso di occuparsi dell’eccidio di Codevigo?
«Non certo per ricavarne un’opera ideologica. Nel 2010 il sindaco del paese, Gerardo Fontana, eletto con una lista civica di sinistra, mi sottopone in lettura due pagine riguardanti questa terribile storia. Sento che c’è materia su cui lavorare. Il tema non mi è indifferente: sono figlio di profughi istriani, i miei nonni e mia madre vivevano a Villa del Nevoso e scamparono alle foibe grazie a un ex repubblichino che faceva il doppio gioco per i partigiani di Tito. Butto giù una sceneggiatura e la invio a Fontana. Lui mi telefona: Mi hai commosso. Decidiamo di lavorare insieme al soggetto, che toccò da vicino la sua famiglia».
Ebbe qualche parente assassinato?
«Farinacci Fontana, 18 anni. Era suo cugino. Il padre Silvio, capo delle Brigate nere di Codevigo, si salvò consegnandosi ai carabinieri di Piove di Sacco. Il ragazzo, che non aveva fatto nulla di male, preferì restare in paese. Nonostante fosse stato interrogato dagli inglesi e rilasciato per la sua innocuità, finì giustiziato su ordine di un capo partigiano che faceva seviziare i prigionieri e poi li giudicava alla maniera dell’imperatore Nerone nel circo: pollice verso, morte; pollice in alto, vita. Come recita un proverbio africano, quando gli elefanti combattono, è sempre l’erba a rimanere schiacciata. Farinacci è il personaggio reale di una storia che nel Segreto è basata sulla fantasia. Di lui s’innamora Italia Martin, 15 anni. Ma Farinacci ha occhi solo per Ada, una giovane istriana. Un giorno Italia lo scopre mentre fa l’amore con Ada e per vendetta lo denuncia ai brigatisti».
Quelli sono esistiti davvero, però.
«Sì, la 28ª Brigata Garibaldi Mario Gordini arrivò a Codevigo il 29 aprile 1945 agli ordini di Arrigo Boldrini, detto Bulow, inquadrata nell’VIII Armata angloamericana del generale Richard McCreery. Vestiva divise inglesi, col basco fregiato di coccarda tricolore. All’epoca Bulow aveva 30 anni. L’ex parlamentare Serena nel libro I giorni di Caino scrive che Boldrini era un comunista con alle spalle un passato di capomanipolo nell’81º Battaglione Camicie nere di Ravenna, sua città natale. Finita la guerra, sarà deputato del Pci per sei legislature, vicepresidente della Camera e presidente dell’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Decorato dagli inglesi con medaglia d’oro al valor militare. Ma nel mio film di Bulow non parlo. Il comandante brigatista ha un nome di battaglia diverso: Ramon».
Al massimo evoca Per un pugno di dollari: «Al cuore, Ramon».
«Boldrini-Bulow s’è sempre difeso sostenendo che in quei giorni si muoveva fra Padova, Bologna, Milano, Venezia e Adria e mai ordinò le brutali uccisioni. Fatto sta che i partigiani venuti da Ravenna rastrellarono un po’ in tutto il Veneto appartenenti alle disciolte formazioni della Repubblica sociale italiana e li portarono a Codevigo. Il bilancio dei processi sommari non si discosta molto da quello dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Solo che qui non ci sono un Herbert Kappler e un Erich Priebke che ammazzano con un colpo alla nuca 15 ostaggi in più rispetto all’ordine di rappresaglia. Dunque chi ha la responsabilità dei morti di Codevigo? Si sono forse uccisi da soli?».
Gino Minorello aveva 23 anni ed era l’organista della chiesa di Codevigo. Che cosa potrà aver mai fatto di male per meritare la morte?
«Gottardo Minato, che era il custode del cimitero, ha testimoniato che fu preso assieme a Edoardo Broccadello, detto Fiore, e a Primo Manfrin. Li misero sul ciglio della fossa. Poi diedero una fisarmonica all’organista, ordinandogli: Suona una marcetta. Mentre Minorello suonava, spararono a tutti e tre».
Per quale motivo la strage avvenne proprio in questo luogo?
«Siamo a meno di 5 chilometri in linea d’aria dall’Adriatico, in un territorio bagnato da quattro fiumi, Brenta, Bacchiglione, Nuovissimo e Fiumicello, sulle cui rive i prigionieri venivano spogliati, fucilati e gettati in acqua. Il mare doveva diventare la loro tomba, quando non li aspettava una fossa comune. Alcune vittime furono inchiodate vive sui tavolacci che si usavano per far su il maiale, come diciamo dalle nostre parti. Della maestra Doardo, forse colpevole di eccessiva severità nell’insegnare le tabelline al figlio zuccone di qualche comunista, restò integro solo un orecchio, come attestato nel referto del dottor Enrico Vidale, che esaminò le salme recuperate».
Mi racconti delle traversie del Segreto.
«Nel 2011 mi rivolgo a Sergio Pelone. Ha prodotto film di successo, come Gorbaciof, e molte opere di Marco Bellocchio, da L’ora di religione a Il regista di matrimoni».
Un produttore di sinistra.
«Maoista, a detta di Sandro Cecca, un mio amico regista. Tutti mi dissuadevano: Figurarsi se Pelone ti produce Il segreto. Vado nel suo ufficio a Roma e, in effetti, alle pareti noto varie scritte in cinese: massime di Mao Tse-tung, suppongo. L’opera mi piace, può diventare un capolavoro, mi incoraggia Pelone. Propone di chiedere i finanziamenti al ministero per i Beni culturali e alla Film commission della Regione Veneto. A quel punto diventa il capocordata. A Roma su 66 richieste di contributi ne vengono accolte solo 8. Il primo classificato è Alessandro Gassman, che becca 200.000 euro. Il cognome conta. Noi veniamo rimandati alla sessione successiva. A Venezia otteniamo 50.000 euro, un niente. Pelone firma ugualmente l’inizio delle riprese, che comincio a mie spese. Ma a marzo mi comunica che esce dal progetto perché non c’è il budget. Così ci fa perdere i finanziamenti del ministero e della Regione. E pensare che la scenografa Virginia Vianello, nipote di Raimondo, mia grande amica, mi aveva già presentato a Cinecittà Luce, che era pronta a distribuirmi il film».
Il progetto è stato azzoppato.
«E non solo finanziariamente. Dennis Dellai, regista vicentino di Così eravamo e Terre rosse, lungometraggi sulla Resistenza, che aveva promesso di mettermi a disposizione armi, automezzi e divise della seconda guerra mondiale, mi manda i costumi per girare le prime scene, però all’improvviso cambia idea. La nostra producer, Maria Raffaella Lucietto, parla con Davide Viero, aiuto regista di Dellai ed esperto di materiale bellico, il quale balbetta che tiene famiglia e che non vuole mettersi contro l’Anpi e i partigiani. Da quel momento i quattro o cinque collezionisti del Veneto ci chiudono le porte in faccia. A Belluco non si deve dare niente, è il passaparola».
Chi altro ha cambiato idea?
«Due del settore produzione se ne sono appena andati. Siccome realizzano audiovisivi per conto di enti pubblici, non volevano inimicarsi uno dei loro committenti».
Sia meno vago: quale committente?
«Flavio Zanonato, il sindaco di Padova. Ex Pci, oggi Partito democratico».
Non starà peccando di complottismo?
«Complottismo? Da Antonveneta mi avevano comunicato che erano disponibili 10.000 euro nell’ambito dei progetti culturali. Peccato che la fondazione bancaria sia presieduta da Massimo Carraro, già parlamentare europeo dei Democratici di sinistra, grande amico di Zanonato. Mai visti i fondi. Altri ci sono stati negati, sempre per motivi ideologici, dalle casse rurali».
Ha finito con le defezioni?
«Le racconto solo l’ultima, quella che mi ha ferito di più. Ingaggio un finalista di X Factor perché mi scriva il tema musicale del Segreto con una tonalità adatta ad Antonella Ruggiero. Spedisco testo, spartito e cover alla solista genovese. Mi scrive Roberto Colombo, il marito: Veramente un brano interessante. Ad Antonella piace l’idea di poterlo interpretare. Poi mi chiede: Ci puoi mandare anche una rapida descrizione del contenuto del film?. Mando. A quel punto ci comunica che sua moglie ha pensato di non sentirsi a proprio agio nello sposare le tematiche della sceneggiatura».
Tematiche politicamente scabrose.
«Le stesse che hanno indotto l’avvocato Emilio Ricci, patrocinante in Cassazione con studio a Roma, a inviarmi una raccomandata con ricevuta di ritorno in cui mi notifica che il suo assistito Carlo Boldrini, figlio ed erede di Arrigo Boldrini, venuto a conoscenza della mia intenzione di girare un film sulle tragiche vicende relative alle stragi accadute a Codevigo nella primavera del 1945, ha evidente interesse a conoscere i contenuti della trama e dell’opera, in considerazione della complessità degli accadimenti di quel periodo e delle diverse interpretazioni-storico politiche che si sono susseguite. Motivo per cui pretendeva una copia della sceneggiatura».
Stando allo Zingarelli, si tratterebbe di un tentativo di censura preventiva.
«L’invito perentorio mi è stato rinnovato dopo cinque mesi con una seconda raccomandata, identica alla prima. Ovviamente non gli ho spedito nulla».
È un fatto che le vicende di Codevigo furono al centro di 24 procedimenti penali riguardanti 108 omicidi, che videro imputati quattro combattenti della 28ª Brigata Garibaldi. Tutti assolti.
«Non è un film processuale. A me interessa di più capire come reagirono i bambini o perché nessuno degli abitanti di Codevigo si oppose a quella spaventosa carneficina. Perciò non comprendo da quale timore sia mosso il figlio di Boldrini, visto che nel mio film la figura del comandante Bulow, suo padre, non compare proprio».
Ha trovato un nuovo produttore per il suo film?
«Mi ero rivolto a Rai Cinema. La risposta mi è arrivata per e-mail da Carlo Brancaleoni, che dirige la struttura Produzione film di esordio e sperimentali: Le devo purtroppo comunicare che non abbiamo ritenuto la sceneggiatura coerente con la nostra linea editoriale. Il senso narrativo essenziale, la storia d’amore dei due amanti stritolati dai meccanismi della guerra, non trova conforto, a nostro avviso, nel sottofondo storico che intende descrivere e raccontare. Questa del sottofondo storico è da incorniciare. Forse la Rai trova conforto solo nei copioni che prevedono qualche milione di morti».
Dunque il produttore non l’ha trovato.
«No. Però avevo parlato con un amico del regista Dellai, il vicentino Bruno Benetti, imprenditore della Itigroup di Villaverla, che con la One art finanzia anche film statunitensi. Il suo consulente è Marco Müller, già direttore artistico della Mostra del cinema di Venezia, oggi al Festival di Roma. Un giorno dell’anno scorso Benetti mi chiama: Müller ha letto la sceneggiatura, è rimasto impressionato. Darà l’internazionalizzazione al Segreto. Passa qualche tempo e l’industriale telefona alla producer Lucietto: Io non investo neanche 100 euro su un certo tipo di film».
Adesso come se la caverà?
«Ho un po’ di tempo davanti. Prima di fine aprile le riprese non possono ricominciare per motivi meteorologici, visto che l’eccidio fu commesso in primavera. Abbiamo ridotto le spese all’osso. Direttore della fotografia, scenografa e montaggista hanno accettato d’essere pagati a caratura, cioè in percentuale sui soldi che entrano in cassa. Se non entrano, lavorano gratis. C’è chi s’è offerto di noleggiarmi la macchina da presa Alexa per 1.000 euro a settimana: di norma ce ne vogliono 1.500 al giorno. L’investimento iniziale è davvero minimo: 120.000 euro. Mi rifiuto di credere che non vi sia un produttore indipendente, una casa cinematografica, una rete televisiva o anche solo un mecenate che non sia interessato a un film da cui potrebbe fra l’altro ricavare qualche soddisfazione economica».
E se non trova il mecenate?
«Il segreto uscirà comunque, questo è sicuro. Sto ricevendo attestazioni di stima commoventi. L’imprenditore Franco Luxardo, quello del maraschino, esule dalmata nipote di Pietro Luxardo, che col fratello Nicolò e la moglie di questi fu affogato nel mare di Zara dai partigiani titini, ci ha promesso 1.000 euro; a titolo personale, ha voluto precisare, perché non è riuscito a convincere nemmeno il consiglio d’amministrazione della sua azienda a compromettersi con i morti di Codevigo. Gli iscritti all’associazione Comunichiamo italiano, che ha sede a Padova, hanno deciso di autotassarsi. Se proprio non potrò entrare nel circuito normale, mi affiderò a Internet: sul sito Eriadorfilm.it si può fin d’ora prenotare il Dvd del film in edizione speciale, abbinato al libro Il segreto. Ormai ho fatto mio l’impegno dell’Amleto di William Shakespeare: parlerò anche se l’inferno stesso si spalancasse per ordinarmi di tacere».
Ma lei ha simpatia per il fascismo?
«Non vedo come potrei, essendo nato nel 1956. Giorgio Almirante sosteneva che solo chi ha vissuto sotto il Duce può ancora definirsi fascista, perché il fascismo è un’esperienza storica conclusa. Forse pensano che sia fascista perché avevo preparato la sceneggiatura di un film, Questo bacio a tutto il mondo, sulle prime due vittime delle Brigate rosse, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, un appuntato in congedo dei carabinieri e un agente di commercio che furono assassinati il 17 giugno 1974 nella sede di Padova del Msi-Dn, in via Zabarella. Anche in quell’occasione dalla Rai ricevetti la stessa risposta pervenutami per Il segreto: sceneggiatura non coerente con la nostra linea editoriale».
È di destra, allora?
«Sono un cattolico che crede nella dottrina sociale della Chiesa, nella difesa degli ultimi. Ho una buona cultura marxista, quanto basta per capire che non potrei mai essere marxista».
Dove s’è formato la cultura marxista?
«All’Università di Padova ho avuto Toni Negri come insegnante di dottrine dello Stato. Mi ha tenuto sotto esame per un’ora abbondante. Voto: 28. Più di Renato Brunetta, che in economia politica del lavoro mi ha dato 25».
Perché i registi sono tutti di sinistra?
«Perché la cinematografia è un potere politico fondamentale che è stato attribuito alla sinistra fin dalla nascita della Repubblica. Nella spartizione per aree d’influenza, Dc e Psi si sono tenuti il governo, gli enti pubblici, le banche e i consigli d’amministrazione; al Pci sono andati la scuola, la cultura e l’informazione. È sempre stato così e sempre sarà così».
«Non c’è regime, violenza, pallottola che salga infinitamente sulla Cattedra della Verità. Quando crollerà l’ultimo muro dell’ipocrisia umana, si apriranno le porte agli eserciti senza bandiere e ogni segreto sarà perdonato». Come mai ha messo questo esergo al copione?
«È caduto il Muro di Berlino, ma non quello di Codevigo. Abbiamo bisogno di verità, dobbiamo abbattere il Muro del silenzio. Italia Martin, la protagonista del Segreto, è la giovane Italia di ieri. Oggi che quest’Italia è diventata vecchia, io mi preoccupo per sua nipote, condannata a portarsi in dote le acredini di allora anche nella Terza, nella Quarta, nella Quinta Repubblica, senza speranza».
Del figlio del podestà, Ludovico Bubola, detto Mario, ha riferito Antonio Serena ne I giorni di Caino: «I barbari venuti a liberare il Veneto cominciano a segargli il collo con del filo spinato, finché la vittima sviene. Allora provvedono a farlo rinvenire gettandogli in faccia dei secchi d’acqua fredda. Ma il martire non cede e grida ancora la sua fede in faccia ai carnefici. Allora provvedono a tagliargli la lingua che gli viene poi infilata nel taschino della giacca. Quindi, quando la vittima ormai agonizza, gli recidono i testicoli e glieli mettono in bocca. Verrà poi sepolto in un campo d’erba medica nei pressi, sotto pochi centimetri di terra».
Di Farinacci Fontana, che aveva appena 18 anni ed era infantilmente orgoglioso della sua fede nel Duce, compendiata fin dalla nascita in quell’assurdo nome di battesimo mutuato dal cognome di un gerarca fascista, vorrebbe parlare il regista Antonello Belluco ne Il segreto. Ma un conto è leggere certe cose sui libri degli storici revisionisti, un altro conto è guardarle al cinema, e Il segreto è appunto un film. Che nessuno deve vedere, anzi che non si deve nemmeno girare, perché è ambientato sullo sfondo dell’eccidio di Codevigo, il più cruento, insieme con quello della cartiera di Mignagola nel Trevigiano, compiuto dai partigiani in un’unica località a guerra già finita, a Liberazione già avvenuta, ad armi già deposte, in un arco temporale che va dal 29 aprile al 15 maggio, forse anche dopo, nessuno può dirlo con precisione. Così come nessuno ha mai stabilito la contabilità esatta della mattanza: c’è chi parla di 136 vittime, chi di 168 e chi di 365, come i giorni di quell’atroce 1945.
Secondo il cardiologo Luigi Masiero i giustiziati furono non meno di 600, ma il calcolo potrebbe essere inficiato dal fatto che il medico era stato, come quasi tutti, camicia nera. Un documento dell’arcidiocesi di Ravenna-Cervia ipotizza addirittura la cifra di 900 morti. Don Umberto Zavattiero, a quel tempo prevosto di Codevigo, annota nel chronicon parrocchiale: «30 aprile. Previo giudizio sommario fu uccisa la maestra Corinna Doardo. Nella prima quindicina di maggio vi fu nelle ore notturne una strage di fascisti importati da fuori, particolarmente da Ravenna. Vi furono circa 130 morti. Venivano seppelliti dagli stessi partigiani di qua e di là per i campi, come le zucche. Altri cadaveri provenienti da altri paesi furono visti passare per il fiume e andare al mare».
In questa macabra ridda, diventa una certezza un titolo a tre colonne uscito sul Gazzettino soltanto 17 anni dopo, il 28 marzo 1962: «Esumate un centinaio di salme e raccolte in un piccolo ossario». È la prima cappellina sulla sinistra, nel cimitero di questo paese della Bassa padovana. Mezzo secolo fa vi furono tumulati i resti di 114 dei fascisti trucidati. Un’ottantina di loro hanno un volto negli ovali di ceramica. Tanti cognomi scolpiti sulla lapide e una postilla finale: «N. 12 ignoti».
Belluco è un padovano di 56 anni, laureato in scienze politiche. Ha lavorato in Rai dal 1983 come programmista e regista per Radio 2 e Rai 3, prima a Venezia e poi a Roma. «Sono entrato grazie a un’unica referenza: l’aver vinto il premio Cento città, indetto dalla casa discografica Rca, che l’anno prima era andato al dj Claudio Cecchetto. In mensa mi chiedevano: Tu da chi sei raccomandato?. Tutti avevano un padrino». Nel 1987 lo convoca Antonio Bruni, dirigente della Tv di Stato: «Qua dentro, senza un partito alle spalle, non puoi far carriera. Meglio se ti cerchi un lavoro fuori». Belluco ascolta il consiglio. Si mette a girare spot e filmati per Lotto, Safilo, Acqua Vera, Lavazza, Pubblicità Progresso. Produce audiovisivi per Il Messaggero di Sant’Antonio, documentari, inchieste (sull’ecstasy, sul sequestro di Giuseppe Soffiantini, sul regista Sam Peckinpah). Nel 2006 l’esordio nel cinema con Antonio, guerriero di Dio interpretato da Jordi Mollà, Arnoldo Foà e Mattia Sbragia. La Buena Vista (Walt Disney Company) si offre di lanciare il film, ma il produttore preferisce l’italiana 01 Distribution (Rai Cinema). «Risultato: programmazione pessima. E pensare che in quattro sale di Padova aveva fatto gli stessi incassi del Codice da Vinci».
Nel 2011 la sua docufiction Giorgione da Castelfranco, sulle tracce del genio viene qualificata dal ministero per i Beni culturali come film d’essai insieme con Habemus Papam di Nanni Moretti. Nello stesso anno cominciano le riprese de Il segreto, con tanto di marchio della Warner Bros sulla colonna sonora, giacché Belluco sa maneggiare tanto la pellicola quanto il pentagramma, come dimostra il Sanctus scritto a quattro mani con l’amico Pino Donaggio e cantato da Antonella Ruggiero nei titoli di coda di Antonio, guerriero di Dio. Il regista aveva già girato un quarto d’ora, dei 105 minuti previsti dal copione ambientato sullo sfondo dell’eccidio di Codevigo, quando gli capita fra capo e collo una catena di sventure difficilmente attribuibili al caso e tutte senza spiegazione: il produttore rinuncia, i contributi ministeriali e regionali vanno in fumo, le banche ritirano i finanziamenti, i collezionisti che avevano messo a disposizione materiale bellico e costumi d’epoca si defilano, la Ruggiero si rifiuta d’interpretare il tema musicale del Segreto, gli avvocati inviano diffide. «Finché un giorno Angelo Tabaro, segretario generale per la Cultura della Regione Veneto, me l’ha confessato chiaro e tondo: Ho ricevuto telefonate dall’Anpi e dai partiti di sinistra. Non vogliono che esca questo film».
Perché ha deciso di occuparsi dell’eccidio di Codevigo?
«Non certo per ricavarne un’opera ideologica. Nel 2010 il sindaco del paese, Gerardo Fontana, eletto con una lista civica di sinistra, mi sottopone in lettura due pagine riguardanti questa terribile storia. Sento che c’è materia su cui lavorare. Il tema non mi è indifferente: sono figlio di profughi istriani, i miei nonni e mia madre vivevano a Villa del Nevoso e scamparono alle foibe grazie a un ex repubblichino che faceva il doppio gioco per i partigiani di Tito. Butto giù una sceneggiatura e la invio a Fontana. Lui mi telefona: Mi hai commosso. Decidiamo di lavorare insieme al soggetto, che toccò da vicino la sua famiglia».
Ebbe qualche parente assassinato?
«Farinacci Fontana, 18 anni. Era suo cugino. Il padre Silvio, capo delle Brigate nere di Codevigo, si salvò consegnandosi ai carabinieri di Piove di Sacco. Il ragazzo, che non aveva fatto nulla di male, preferì restare in paese. Nonostante fosse stato interrogato dagli inglesi e rilasciato per la sua innocuità, finì giustiziato su ordine di un capo partigiano che faceva seviziare i prigionieri e poi li giudicava alla maniera dell’imperatore Nerone nel circo: pollice verso, morte; pollice in alto, vita. Come recita un proverbio africano, quando gli elefanti combattono, è sempre l’erba a rimanere schiacciata. Farinacci è il personaggio reale di una storia che nel Segreto è basata sulla fantasia. Di lui s’innamora Italia Martin, 15 anni. Ma Farinacci ha occhi solo per Ada, una giovane istriana. Un giorno Italia lo scopre mentre fa l’amore con Ada e per vendetta lo denuncia ai brigatisti».
Quelli sono esistiti davvero, però.
«Sì, la 28ª Brigata Garibaldi Mario Gordini arrivò a Codevigo il 29 aprile 1945 agli ordini di Arrigo Boldrini, detto Bulow, inquadrata nell’VIII Armata angloamericana del generale Richard McCreery. Vestiva divise inglesi, col basco fregiato di coccarda tricolore. All’epoca Bulow aveva 30 anni. L’ex parlamentare Serena nel libro I giorni di Caino scrive che Boldrini era un comunista con alle spalle un passato di capomanipolo nell’81º Battaglione Camicie nere di Ravenna, sua città natale. Finita la guerra, sarà deputato del Pci per sei legislature, vicepresidente della Camera e presidente dell’Anpi, l’Associazione nazionale partigiani d’Italia. Decorato dagli inglesi con medaglia d’oro al valor militare. Ma nel mio film di Bulow non parlo. Il comandante brigatista ha un nome di battaglia diverso: Ramon».
Al massimo evoca Per un pugno di dollari: «Al cuore, Ramon».
«Boldrini-Bulow s’è sempre difeso sostenendo che in quei giorni si muoveva fra Padova, Bologna, Milano, Venezia e Adria e mai ordinò le brutali uccisioni. Fatto sta che i partigiani venuti da Ravenna rastrellarono un po’ in tutto il Veneto appartenenti alle disciolte formazioni della Repubblica sociale italiana e li portarono a Codevigo. Il bilancio dei processi sommari non si discosta molto da quello dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Solo che qui non ci sono un Herbert Kappler e un Erich Priebke che ammazzano con un colpo alla nuca 15 ostaggi in più rispetto all’ordine di rappresaglia. Dunque chi ha la responsabilità dei morti di Codevigo? Si sono forse uccisi da soli?».
Gino Minorello aveva 23 anni ed era l’organista della chiesa di Codevigo. Che cosa potrà aver mai fatto di male per meritare la morte?
«Gottardo Minato, che era il custode del cimitero, ha testimoniato che fu preso assieme a Edoardo Broccadello, detto Fiore, e a Primo Manfrin. Li misero sul ciglio della fossa. Poi diedero una fisarmonica all’organista, ordinandogli: Suona una marcetta. Mentre Minorello suonava, spararono a tutti e tre».
Per quale motivo la strage avvenne proprio in questo luogo?
«Siamo a meno di 5 chilometri in linea d’aria dall’Adriatico, in un territorio bagnato da quattro fiumi, Brenta, Bacchiglione, Nuovissimo e Fiumicello, sulle cui rive i prigionieri venivano spogliati, fucilati e gettati in acqua. Il mare doveva diventare la loro tomba, quando non li aspettava una fossa comune. Alcune vittime furono inchiodate vive sui tavolacci che si usavano per far su il maiale, come diciamo dalle nostre parti. Della maestra Doardo, forse colpevole di eccessiva severità nell’insegnare le tabelline al figlio zuccone di qualche comunista, restò integro solo un orecchio, come attestato nel referto del dottor Enrico Vidale, che esaminò le salme recuperate».
Mi racconti delle traversie del Segreto.
«Nel 2011 mi rivolgo a Sergio Pelone. Ha prodotto film di successo, come Gorbaciof, e molte opere di Marco Bellocchio, da L’ora di religione a Il regista di matrimoni».
Un produttore di sinistra.
«Maoista, a detta di Sandro Cecca, un mio amico regista. Tutti mi dissuadevano: Figurarsi se Pelone ti produce Il segreto. Vado nel suo ufficio a Roma e, in effetti, alle pareti noto varie scritte in cinese: massime di Mao Tse-tung, suppongo. L’opera mi piace, può diventare un capolavoro, mi incoraggia Pelone. Propone di chiedere i finanziamenti al ministero per i Beni culturali e alla Film commission della Regione Veneto. A quel punto diventa il capocordata. A Roma su 66 richieste di contributi ne vengono accolte solo 8. Il primo classificato è Alessandro Gassman, che becca 200.000 euro. Il cognome conta. Noi veniamo rimandati alla sessione successiva. A Venezia otteniamo 50.000 euro, un niente. Pelone firma ugualmente l’inizio delle riprese, che comincio a mie spese. Ma a marzo mi comunica che esce dal progetto perché non c’è il budget. Così ci fa perdere i finanziamenti del ministero e della Regione. E pensare che la scenografa Virginia Vianello, nipote di Raimondo, mia grande amica, mi aveva già presentato a Cinecittà Luce, che era pronta a distribuirmi il film».
Il progetto è stato azzoppato.
«E non solo finanziariamente. Dennis Dellai, regista vicentino di Così eravamo e Terre rosse, lungometraggi sulla Resistenza, che aveva promesso di mettermi a disposizione armi, automezzi e divise della seconda guerra mondiale, mi manda i costumi per girare le prime scene, però all’improvviso cambia idea. La nostra producer, Maria Raffaella Lucietto, parla con Davide Viero, aiuto regista di Dellai ed esperto di materiale bellico, il quale balbetta che tiene famiglia e che non vuole mettersi contro l’Anpi e i partigiani. Da quel momento i quattro o cinque collezionisti del Veneto ci chiudono le porte in faccia. A Belluco non si deve dare niente, è il passaparola».
Chi altro ha cambiato idea?
«Due del settore produzione se ne sono appena andati. Siccome realizzano audiovisivi per conto di enti pubblici, non volevano inimicarsi uno dei loro committenti».
Sia meno vago: quale committente?
«Flavio Zanonato, il sindaco di Padova. Ex Pci, oggi Partito democratico».
Non starà peccando di complottismo?
«Complottismo? Da Antonveneta mi avevano comunicato che erano disponibili 10.000 euro nell’ambito dei progetti culturali. Peccato che la fondazione bancaria sia presieduta da Massimo Carraro, già parlamentare europeo dei Democratici di sinistra, grande amico di Zanonato. Mai visti i fondi. Altri ci sono stati negati, sempre per motivi ideologici, dalle casse rurali».
Ha finito con le defezioni?
«Le racconto solo l’ultima, quella che mi ha ferito di più. Ingaggio un finalista di X Factor perché mi scriva il tema musicale del Segreto con una tonalità adatta ad Antonella Ruggiero. Spedisco testo, spartito e cover alla solista genovese. Mi scrive Roberto Colombo, il marito: Veramente un brano interessante. Ad Antonella piace l’idea di poterlo interpretare. Poi mi chiede: Ci puoi mandare anche una rapida descrizione del contenuto del film?. Mando. A quel punto ci comunica che sua moglie ha pensato di non sentirsi a proprio agio nello sposare le tematiche della sceneggiatura».
Tematiche politicamente scabrose.
«Le stesse che hanno indotto l’avvocato Emilio Ricci, patrocinante in Cassazione con studio a Roma, a inviarmi una raccomandata con ricevuta di ritorno in cui mi notifica che il suo assistito Carlo Boldrini, figlio ed erede di Arrigo Boldrini, venuto a conoscenza della mia intenzione di girare un film sulle tragiche vicende relative alle stragi accadute a Codevigo nella primavera del 1945, ha evidente interesse a conoscere i contenuti della trama e dell’opera, in considerazione della complessità degli accadimenti di quel periodo e delle diverse interpretazioni-storico politiche che si sono susseguite. Motivo per cui pretendeva una copia della sceneggiatura».
Stando allo Zingarelli, si tratterebbe di un tentativo di censura preventiva.
«L’invito perentorio mi è stato rinnovato dopo cinque mesi con una seconda raccomandata, identica alla prima. Ovviamente non gli ho spedito nulla».
È un fatto che le vicende di Codevigo furono al centro di 24 procedimenti penali riguardanti 108 omicidi, che videro imputati quattro combattenti della 28ª Brigata Garibaldi. Tutti assolti.
«Non è un film processuale. A me interessa di più capire come reagirono i bambini o perché nessuno degli abitanti di Codevigo si oppose a quella spaventosa carneficina. Perciò non comprendo da quale timore sia mosso il figlio di Boldrini, visto che nel mio film la figura del comandante Bulow, suo padre, non compare proprio».
Ha trovato un nuovo produttore per il suo film?
«Mi ero rivolto a Rai Cinema. La risposta mi è arrivata per e-mail da Carlo Brancaleoni, che dirige la struttura Produzione film di esordio e sperimentali: Le devo purtroppo comunicare che non abbiamo ritenuto la sceneggiatura coerente con la nostra linea editoriale. Il senso narrativo essenziale, la storia d’amore dei due amanti stritolati dai meccanismi della guerra, non trova conforto, a nostro avviso, nel sottofondo storico che intende descrivere e raccontare. Questa del sottofondo storico è da incorniciare. Forse la Rai trova conforto solo nei copioni che prevedono qualche milione di morti».
Dunque il produttore non l’ha trovato.
«No. Però avevo parlato con un amico del regista Dellai, il vicentino Bruno Benetti, imprenditore della Itigroup di Villaverla, che con la One art finanzia anche film statunitensi. Il suo consulente è Marco Müller, già direttore artistico della Mostra del cinema di Venezia, oggi al Festival di Roma. Un giorno dell’anno scorso Benetti mi chiama: Müller ha letto la sceneggiatura, è rimasto impressionato. Darà l’internazionalizzazione al Segreto. Passa qualche tempo e l’industriale telefona alla producer Lucietto: Io non investo neanche 100 euro su un certo tipo di film».
Adesso come se la caverà?
«Ho un po’ di tempo davanti. Prima di fine aprile le riprese non possono ricominciare per motivi meteorologici, visto che l’eccidio fu commesso in primavera. Abbiamo ridotto le spese all’osso. Direttore della fotografia, scenografa e montaggista hanno accettato d’essere pagati a caratura, cioè in percentuale sui soldi che entrano in cassa. Se non entrano, lavorano gratis. C’è chi s’è offerto di noleggiarmi la macchina da presa Alexa per 1.000 euro a settimana: di norma ce ne vogliono 1.500 al giorno. L’investimento iniziale è davvero minimo: 120.000 euro. Mi rifiuto di credere che non vi sia un produttore indipendente, una casa cinematografica, una rete televisiva o anche solo un mecenate che non sia interessato a un film da cui potrebbe fra l’altro ricavare qualche soddisfazione economica».
E se non trova il mecenate?
«Il segreto uscirà comunque, questo è sicuro. Sto ricevendo attestazioni di stima commoventi. L’imprenditore Franco Luxardo, quello del maraschino, esule dalmata nipote di Pietro Luxardo, che col fratello Nicolò e la moglie di questi fu affogato nel mare di Zara dai partigiani titini, ci ha promesso 1.000 euro; a titolo personale, ha voluto precisare, perché non è riuscito a convincere nemmeno il consiglio d’amministrazione della sua azienda a compromettersi con i morti di Codevigo. Gli iscritti all’associazione Comunichiamo italiano, che ha sede a Padova, hanno deciso di autotassarsi. Se proprio non potrò entrare nel circuito normale, mi affiderò a Internet: sul sito Eriadorfilm.it si può fin d’ora prenotare il Dvd del film in edizione speciale, abbinato al libro Il segreto. Ormai ho fatto mio l’impegno dell’Amleto di William Shakespeare: parlerò anche se l’inferno stesso si spalancasse per ordinarmi di tacere».
Ma lei ha simpatia per il fascismo?
«Non vedo come potrei, essendo nato nel 1956. Giorgio Almirante sosteneva che solo chi ha vissuto sotto il Duce può ancora definirsi fascista, perché il fascismo è un’esperienza storica conclusa. Forse pensano che sia fascista perché avevo preparato la sceneggiatura di un film, Questo bacio a tutto il mondo, sulle prime due vittime delle Brigate rosse, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci, un appuntato in congedo dei carabinieri e un agente di commercio che furono assassinati il 17 giugno 1974 nella sede di Padova del Msi-Dn, in via Zabarella. Anche in quell’occasione dalla Rai ricevetti la stessa risposta pervenutami per Il segreto: sceneggiatura non coerente con la nostra linea editoriale».
È di destra, allora?
«Sono un cattolico che crede nella dottrina sociale della Chiesa, nella difesa degli ultimi. Ho una buona cultura marxista, quanto basta per capire che non potrei mai essere marxista».
Dove s’è formato la cultura marxista?
«All’Università di Padova ho avuto Toni Negri come insegnante di dottrine dello Stato. Mi ha tenuto sotto esame per un’ora abbondante. Voto: 28. Più di Renato Brunetta, che in economia politica del lavoro mi ha dato 25».
Perché i registi sono tutti di sinistra?
«Perché la cinematografia è un potere politico fondamentale che è stato attribuito alla sinistra fin dalla nascita della Repubblica. Nella spartizione per aree d’influenza, Dc e Psi si sono tenuti il governo, gli enti pubblici, le banche e i consigli d’amministrazione; al Pci sono andati la scuola, la cultura e l’informazione. È sempre stato così e sempre sarà così».
«Non c’è regime, violenza, pallottola che salga infinitamente sulla Cattedra della Verità. Quando crollerà l’ultimo muro dell’ipocrisia umana, si apriranno le porte agli eserciti senza bandiere e ogni segreto sarà perdonato». Come mai ha messo questo esergo al copione?
«È caduto il Muro di Berlino, ma non quello di Codevigo. Abbiamo bisogno di verità, dobbiamo abbattere il Muro del silenzio. Italia Martin, la protagonista del Segreto, è la giovane Italia di ieri. Oggi che quest’Italia è diventata vecchia, io mi preoccupo per sua nipote, condannata a portarsi in dote le acredini di allora anche nella Terza, nella Quarta, nella Quinta Repubblica, senza speranza».
* da Il Giornale dell’11 novembre 2012
A cura di Stefano Lorenzetto
fonte: il barbadillolunedì 12 novembre 2012
Per non voltarsi, non lasciarsi andare..combattere!
"La strada e’ dura. Il
respiro diventa corto. Vi sono dei momenti in cui vorresti gettare questo sacco
che ti pesa, lasciarti andare per il pendio e ritornare a quelle case di
campagna che fumano laggiu’, filamenti azzurrini sui fondi verdi e grigi dei
prati e delle ardesie. Ti senti preso dalla nostalgia per le acque che dormono e per i giunchi chiari, lo sciabordio del remo, il sentiero piatto, senza asperità lungo gli argini. Vorresti non pensare più a nulla, cancellare dal
pensiero il ricordo degli uomini, e, supino sull’erba, guardare il cielo che
passa, sollevato da voli di uccelli. Basta con la stanchezza! Non lasciar cadere
il sacco e il bastone! Non asciugarti le ginocchia sanguinanti! Non ascoltare il
clamore degli odi, non guardare gli occhi sorridenti della malvagità che
nascondono. E’ in alto che devi volgere lo sguardo. Il corpo deve vivere
soltanto per queste curve che svoltano - il cuore, sognare soltanto queste vette
che tu e gli altri dovete raggiungere."
Militia, Leon Degrelle
venerdì 9 novembre 2012
Foxconn, dove la produzione sovrasta la dignità umana..
Uomini ridotti a macchine, automi da produzione. L' annullamento totale della spiritualità, per soddisfare la crescente richiesta di un mera diavoleria del beneamato "progresso", l'Iphone. Sottopsti a condizioni deplorevoli e orari alienanti, alcuni operai arrivano a compiere l'estremo gesto per farla finita. Le parole di un giornalista testimoniano le orribili realtà , quasi sempre tenute all'oscuro, che sono l'effetto di questo mondo capitalistico e autodivoratore.
“Foxconn, condizioni di
lavoro disumane”, la denuncia di un giornalista infiltrato
Una fucina di progresso. La fabbrica dei sogni,
delle meraviglie. La Foxconn International Holdings, la più grande
multinazionale in fatto di componenti elettronici, con un giro d’affari da
circa 60 miliardi di dollari e più di 1 milione e 200 mila dipendenti, è il
colosso taiwanese dove nascono e vengono assemblati tutti gli esemplari del
marchio di Steve Jobs, dagli iPad agli iPhone, fino alla neonata versione 5 del
famoso smartphone. Ma dal 2009 la Foxconn è stata spesso tristemente citata
sulle pagine di cronaca a causa di una serie di suicidi che hanno coinvolto i
suoi dipendenti, stressati dall’iperlavoro e dalle cattive condizioni di vita.
A ulteriore testimonianza dello scandalo, arriva il reportage di un giornalista
cinese dello Shanghai Evening Post: fingendosi un operaio è entrato nella
fabbrica di Tai Yuan, nella provincia cinese dello Shanxi, e ha pubblicato un
diario della sua esperienza. Dieci giorni da “incubo” fra notti insonni,
mobbing, scarafaggi e disumani tour de force nel polo tecnologico
d’avanguardia.Condizioni igieniche al limite. Per il lancio del suo ultimo
“gioiello” l’azienda informatica statunitense di Cupertino ha richiesto di
elevare al massimo il grado di efficienza dei suoi poli di produzione per
arrivare a immettere sul mercato una media di 57 milioni di iPhone 5 all’anno.
Una cifra considerevole. Che richiede qualche sacrificio ai lavoratori. Ma il
coraggioso giornalista ha potuto constatare da vicino l’esatto significato che
il termine ’sacrificio’ assume all’interno della sede cinese della Foxconn. “La
prima notte nel dormitorio è stato un incubo”, si legge nel reportage. “Il
dormitorio intero puzza di spazzatura: un misto di odore di immondizia, sudore,
sporco. Fuori da ogni stanza ci sono accatastati rifiuti non buttati”. E
ancora: “Quando ho aperto il mio armadio, ho visto sgusciare fuori scarafaggi e
le lenzuola che vengono distribuite ad ogni nuovo lavoratore sono sporche e
piene di cenere”. Prima di partire con la produzione vera e propria il
giornalista ha dovuto fare qualche giorno di rodaggio. “Il giorno dopo la firma
del contratto, in cui si fa molta attenzione ai doveri dei lavoratori e meno ai
suoi diritti, ci hanno riunito in una sala e siamo stati informati della storia
della società Foxconn, delle politiche e delle misure di sicurezza”, scrive il
reporter cinese. “Potrebbe non piacervi il modo in cui verrete trattati -
avrebbe detto un istruttore - Ma vi assicuro che è per il vostro bene”.
Qualcuno avrebbe anche chiesto delucidazioni sulla vicenda dei suicidi. Gli
incaricati della gestione del personale “non hanno evitato l’argomento” scrive
il reporter, “ma lo hanno liquidato in poche parole”. “Qualcuno ha detto che le
condizioni cattive di vita e di lavoro sarebbero responsabili dell’alto tasso
di suicidi all’interno della fabbrica”, racconta ancora nel diario. “Ho notato
che tutte le finestre del dormitorio hanno grate metalliche che fanno sentire i
dipendenti in prigione”. Finalmente il giorno dell’ingresso nella fase
produttiva. Dopo i giorni di apprendistato il giornalista arriva alle macchine.
“Abbiamo raggiunto l’ingresso del piano di produzione. Se il metal detector
alla porta d’ingresso trova il lavoratore in possesso di qualsiasi materiale
metallico, come la fibbia della cintura, orecchini, macchine fotografiche,
telefoni cellulari, lettori mp3, l’allarme suona e viene licenziato sul posto”.
È quanto accaduto ad un dipendente che portava con sé un cavo di ricarica Usb.
E una volta a lavoro non ci si può fermare, neanche per un minuto: “Un nuovo
lavoratore che sedeva di fronte a me era esausto e si è fermato per qualche
minuto”, ha raccontato il giornalista. “La vigilanza lo ha notato e lo ha
punito chiedendogli di stare in un angolo per 10 minuti, come a scuola”. Il
giornalista ha lavorato initerrottamente tutta la notte, fino alle 6 di
mattina. Secondo i suoi calcoli, i lavoratori di Foxconn devono marchiare 5
dispositivi - la parte posteriore - al minuto. Si parla di 3mila ogni 10 ore di
lavoro. “Ciascuna linea di produzione può arrivare a produrre 36mila parti in
mezza giornata - scrive il reporter cinese - è spaventoso”. E al termine della
giornata lavorativa di 10 ore un supervisore avrebbe detto: “Chi vuole restare
a lavorare fino alle 5 del mattino? Siamo tutti qui per fare soldi! Lavoriamo
più sodo! Dovete sentirvi onorati di partecipare alla produzione di un oggetto
così prezioso come l’iPhone 5!”. Ma il compenso totale per due ore
supplementari di lavoro sarebbe di soli 27 yuan, poco più di 2 euro.
Fonte: Repubblica.it, 13 settembre 2012
Tratto da: Laogai Research Foundation Italia Onlus
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