domenica 31 marzo 2013

Socializzazione delle imprese: leggi d'avanguardia nel mondo

I comunisti che controllavano il CLNAI, come primo atto ufficiale, addirittura il 26 aprile, proprio mentre si continuava a sparare e mentre era iniziato “l’olocausto nero”, abolirono la “Legge sulla Socializzazione”. E questo per ripagare ...i grandi industriali che avevano finanziato la Resistenza. Fu il “capolavoro” di Mario Berlinguer, il padre di Enrico, il grande capitalista, super proprietario terriero. Era iniziata la grande beffa ai danni dei lavoratori. [cit. D.S.]
 
 
“La Socializzazione non è se non la realizzazione italiana, romana, nostra, effettuabile del socialismo; dico nostra in quanto fa del lavoro il soggetto unico dell’economia, ma respinge la livellazione inesistente nella natura umana e impos...sibile nella storia”.
(Mussolini – 14 ottobre 1944).

Il teorico e storico della dottrina cattolica Don Ennio Innocenti, che tanti anni ha dedicato allo studio e all’insegnamento, ha scritto che il problema affrontato da Mussolini nell’ultimo decennio della vita “fu quello di far entrare il corporativismo nelle imprese per elevare il lavoratore da collaboratore dell’impresa a partecipe alla gestione e alla proprietà e quindi ai risultati economici della produzione. E aggiunge: “Durante la R.S.I. fu emanato un decreto che prevedeva la socializzazione delle imprese. E’ stato questo, sostanzialmente, il messaggio che Mussolini ha affidato al futuro. E’ un messaggio in perfetta armonia con la Dottrina Sociale Cattolica, che è e resterà sempre radicalmente avversa sia al capitalismo sia al social-capitalismo. In quest’ultimo messaggio mussoliniano di esaltazione del lavoro noi ravvediamo qualcosa di profetico”.
L’idea di un “socialismo effettuabile” sorse in Mussolini già nel 1914, quando uscì dal Partito Socialista, organismo velleitario e ciarliero, e la sviluppò nell’immediato dopoguerra.

Leggi d’avanguardia
In questo secondo dopoguerra è stato scritto e detto che l’idea mussoliniana della Socializzazione “fu un tardivo espediente per ingannare le masse lavoratrici”. E’ una delle tante menzogne, fra le mille e mille, di un regime corrotto e inetto terrorizzato dal dover affrontare un serio confronto con lo Stato che lo aveva preceduto.
Tutta l’attività del Governo Mussolini fu un susseguirsi costante di decreti e leggi di chiara finalità sociale, all’avanguardia, non solo in Italia, ma nel mondo.
Quelle leggi, di cui i lavoratori italiani ancora oggi godono i privilegi, sono quelle volute da Mussolini nei suoi vent’anni di governo. Qualsiasi confronto con quanto fatto dai governi di quest’ultimo dopoguerra risulterebbe stridente.
Da tutto ciò si evince il motivo per il quale i governi che seguirono nel dopoguerra, per evitare un democratico confronto, sono stati costretti a creare una cortina di menzogne e contestualmente varare leggi antidemocratiche e liberticide, quali le “Leggi Scelba”, “Legge Reale”, e “Legge Mancino”.
I principi essenziali dell’ordinamento corporativo sono espressi e ordinati dalla “Carta del Lavoro” che vide la luce il 21 aprile 1927. La “Carta del Lavoro” portava il lavoratore fuori dal buio del medioevo sociale per immetterlo in un contesto di diritti dove i rapporti fra capitale e lavoro erano, per la prima volta nel mondo, previsti e codificati.
In un articolo di fondo apparso alcuni anni or sono su “Il Giornale d’Italia”, fra l’altro si leggeva: “La nascita dello Stato corporativo rappresentò il tentativo di superare i limiti del cosiddetto Stato liberare e l’incubo dello Stato sovietico. Il secondo conflitto mondiale infranse l’esperimento in una fase che era già cruciale a causa dell’isolamento internazionale provocato dalle sanzioni e dall’autarchia.
Il Diritto Corporativo tende a porre l’Uomo al centro della società postulando principi dei quali citiamo alcuni tra i più caratterizzanti:
1)ridimensionamento dello strapotere dei padroni attraverso la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa;
2)partecipazione dei lavoratori agli utili dell’impresa;
3)partecipazione dei lavoratori alle scelte decisionali, onde evitare chiusure di aziende o licenziamenti improvvisi senza che ne siano informati per tempo i dipendenti, i quali sono interessati a trovare altre soluzioni atte a non perdere il posto di lavoro;
4)intervento dello Stato attraverso suoi funzionari, immessi nei Consigli di Amministrazione, allorquando le imprese assumono interesse nazionale, a maggior difesa dei lavoratori;
5)diritto alla proprietà in funzione sociale, cioè lotta alle concentrazioni immobiliari e diritto per ogni cittadino, in quanto lavoratore, alla proprietà della sua abitazione;
6)diritto alla iniziativa privata in quanto molla di ogni progresso sociale contro l’appiattimento collettivista e le concentrazioni capitaliste;
7)edificazione di una giustizia sociale che prelevi il di più del reddito ai ricchi e lo distribuisca fra le classi più povere attraverso la Previdenza Sociale, l’assistenza gratuita alla maternità e all’infanzia, le colonie marine e montane per bambini poveri, l’assistenza agli anziani, il dopolavoro per i lavoratori, i treni popolari, e via dicendo;
8)eliminazione dei conflitti sociali attraverso la creazione di un apposito Tribunale del Lavoro in base al principio che se un cittadino non può farsi giustizia da sé, altrettanto deve valere per i conflitti sociali; evitare scioperi e serrate che tanti danni provocano alle parti in causa ed alla collettività nazionale;
9)abolizione dei sindacati di classe, ormai ridotti a cinghie di trasmissione dei partiti che li controllano, e creazione dei sindacati di categoria economica con conseguente modifica del Parlamento in una Assemblea composta da membri eletti attraverso le singole Confederazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori;
10) attuazione, particolarmente nel Mezzogiorno, della bonifica integrale che togliendo ai latifondisti le terre incolte, vengano rese produttive e quindi distribuite in proprietà gratuita ai contadini poveri.
Questi enunciati, che risalgono ai primi anni ’30, non sono che il logico sviluppo di quelli formulati nel 1919 e che ritroveremo espressi, ancor più lapidariamente, nel “Manifesto di Verona”.
 
La Socializzazione
Una logica successione che partì dal lontano 1914 e approdò alle “Leggi sulla Socializzazione” nella Repubblica Sociale Italiana.
Sin dalla seduta del Consiglio dei Ministri del 27 settembre 1943 (quindi a pochissimi giorni dalla sua liberazione), Mussolini fra l’altro dichiarava che “la Repubblica avrebbe avuto un pronunciatissimo contenuto sociale”; e il 29 settembre, ancor più esplicitamente “un carattere nettamente socialista, stabilendo una larga socializzazione delle aziende e l’autogoverno degli operai”.
La Socializzazione si poneva come strumento per una più ampia trasformazione dello Stato così come era nel pensiero fascista: socializzare l’economia per socializzare lo Stato.
Questo disegno può risultare ancora più chiaro leggendo uno stralcio della Relazione che accompagnò il “Decreto Tarchi”, (Tarchi fu Ministro dell’Economia): “(…) la civiltà tende ad un nuovo ciclo nel quale l’uomo riassumerà il ruolo di protagonista della propria storia e del proprio destino in funzione della sua personalità estricantesi in attività concrete sociali, cioè nel lavoro. Sotto tale profilo l’affermazione programmatica che riconosce il lavoro come soggetto dell’economia (…)”.
Ecco, allora, prendere forma la dottrina della società come era intravista da Saint Simon, da Owen, da Mazzini: concezioni vilipese dal bolscevismo, ma ben focalizzate dal “socialismo effettuabile” di Mussolini, riportate nel “Manifesto di Verona” e ufficializzate nella dichiarazione programmatica del 13 gennaio 1944 e nel decreto legislativo dell’11 febbraio seguente.
La Borsa di Milano, che era ben vitale nella Repubblica Sociale, il 13 gennaio, all’annuncio dei provvedimenti sulla Socializzazione, accusò il giorno dopo una caduta dell’indice generale: da 854 a 727 punti. Dopo un periodo di stasi, quando il 13 febbraio furono emanati i Decreti sulla Socializzazione, l’indice generale scese a 567 punti. Poi, però, ad iniziare da marzo, riprese a salire fino a toccare, il 6 giugno 1944, il ragguardevole livello di 1745 punti.
Certamente il Paese, che sopportava oltre quattro anni di guerra e diversi mesi di lotta intestina, ben difficilmente poteva attuare, in tempi rapidi, un così ambizioso progetto di trasformazione dello Stato. Progetto, però, che come disse Mussolini a Milano, “qualunque cosa accada, è destinato a germogliare”.
Giustamente l’avvocato Manlio Sargenti ha osservato: “Purtroppo questo progetto non si è avverato. Gli italiani hanno dimenticato quella che costituiva la più originale, la più innovatrice proposta della loro storia recente. L’hanno dimenticata quelli stessi che si sono considerati gli epigoni dell’idea del Fascismo e della Repubblica Sociale”.
Prima di concludere, è importante citare gli articoli che costituiscono la base della nostra lotta politica: articoli che, ovviamente, a tanta distanza dalla loro promulgazione possono essere ritoccati lì dove è necessario, ma il cui spirito dovrebbe rimanere inalterato.
Art. 9) Base della Repubblica Sociale Italiana e suo progetto primario è il lavoro, manuale, tecnico, intellettuale, in ogni sua manifestazione.
Art. 10) La proprietà privata, frutto del lavoro e del risparmio individuale, integrazione della personalità umana, è garantita dallo Stato. Essa però non deve diventare disintegratrice della personalità fisica e morale di altri uomini, attraverso lo sfruttamento del loro lavoro.
Art. 12) In ogni azienda (industriale, privata, parastatale, statale) le rappresentanze dei tecnici e degli operai coopereranno intimamente – attraverso una conoscenza diretta della gestione – all’equa ripartizione degli utili tra il fondo e la riserva, il frutto del capitale azionario e la partecipazione degli utili stessi da parte dei lavoratori (…).
Gli articoli non menzionati sarebbero ugualmente meritevoli di essere ricordati, ma quelli sopra richiamati alla memoria da soli caratterizzano lo spirito del “Manifesto di Verona”.
L’attuazione della “Legge sulla Socializzazione” trovò enormi difficoltà causate sia dagli industriali, per ovvi motivi; sia dai tedeschi, timorosi che la resistenza passiva da parte degli industriali danneggiasse la produzione bellica; e da parte dei comunisti, che ormai plagiavano i lavoratori, timorosi che la Socializzazione li scavalcasse a sinistra.
Se ci sei batti un colpo
Questa situazione di stallo persistette sino a quando Concetto Pettinato, che Mussolini stesso aveva definito “la nostra più importante mente giornalistica”, creò un caso clamoroso. Un suo articolo del 1944 pubblicato su “La Stampa” (di cui Pettinato era direttore), con il titolo: “Se ci sei batti un colpo”, diede una sferzata e costrinse a mettere in atto quelle leggi sulla Socializzazione che, come abbiamo visto, erano già approvate in sede legislativa, ma rimaste inoperanti
. Mussolini ruppe gli indugi e autorizzò l’entrata in vigore del Decreto del febbraio ’44 a partire dal giugno dello stesso anno.
A causa della drammatica crisi che attraversava il Paese, Mussolini ritenne opportuno attuare la Socializzazione per gradi, iniziando dalle imprese editoriali.
La situazione stava precipitando, ma nelle imprese socializzate si riscontrò un notevole incremento della produzione. A dicembre 1944 Nicola Bombacci programmò una serie di comizi e conferenze fra le imprese socializzate e, tra queste, visitò la Mondatori, traendone sorpresa ed emozione.
A seguito di ciò, inviò una lettera a Mussolini nella quale, fra l’altro, scrisse: “Ho parlato con gli operai che fanno parte del Consiglio di gestione, che ho trovato pieni di entusiasmo e compresi di questa loro missione, dato che gli utili, dopo questi primi mesi è di circa 3 milioni”.
La guerra volgeva ormai alla fine e, come ha scritto Amicucci ne “I 600 giorni di Mussolini”: “Mussolini voleva che gli anglo-americani e i monarchici trovassero il nord d’Italia socializzato, avviato a mete sociali molto spinte; voleva che gli operai decidessero nei confronti dei nuovi occupanti e degli antifascisti, le conquiste sociali raggiunte con la R.S.I.. Proprio a questo scopo il 22 marzo 1945 il Consiglio dei Ministri decise che si procedesse entro il 21 aprile, alla Socializzazione delle imprese con almeno100 dipendenti e un milione di capitale.
Ma il giorno precedente quella data gli eserciti invasori ruppero il fronte a Bologna e dilagarono nella pianura Padana.
Era la fine.
I comunisti che controllavano il CLNAI, come primo atto ufficiale, addirittura il 26 aprile, proprio mentre si continuava a sparare e mentre era iniziato “l’olocausto nero”, abolirono la “Legge sulla Socializzazione”. E questo per ripagare i grandi industriali che avevano finanziato la Resistenza. Fu il “capolavoro” di Mario Berlinguer, il padre di Enrico, il grande capitalista, super proprietario terriero.
Era iniziata la grande beffa ai danni dei lavoratori.

Leon Degrelle - omaggio


Leon Degrelle, in memoriam - 31/03/1994

"Solo coloro che hanno fede sfidano e rovesciano il destino!
Credeteci! E lottate!
Il mondo, lo si perde o lo si prende! Prendetelo!
Nel deserto umano, in cui belano tanti montoni, siateci leoni!
Forti come loro! E come loro intrepidi!
E che v’aiuti l’Iddio!
Salve, camerati! "


sabato 30 marzo 2013

PEPPE...PRESENTE!

Giuseppe (Peppe) Dimitri - 30/03/2006

Giustizia per Ponzio Pilato! [di Rutilio Sermonti]


Da romano quale mi vanto di essere, desidero assumere la difesa di Ponzio Pilato, quell’ottimo uomo e onorato funzionario, che viene ingiustamente vituperato, come ormai da secoli accade per l’azione sottile dell’ebraismo rabbinico, che – facendo scempio delle risultanze evangeliche – cerca di liberarsi dell’accusa di deicidio scaricandola sui Romani, e su quello in particolare.

Cominciamo col porre in chiaro che, all’epoca del processo a Gesù, la Giudea non era provincia romana, bensì “federata”. Il rappresentante del proconsole di Cesarea (come era il procuratore Pilato) aveva quindi giurisdizione politico-militare soltanto sui delitti di infedeltà a quel “foedus”, mentre, per tutti gli altri, e a maggior ragione quelli di sacrilegio contro la legge mosaica, la Competenza esclusiva era dell’autorità locale ebraica, e cioè del Sinedrio. Infatti, quando le guardie del Sinedrio (non i soldati romani!) arrestarono Gesù, cercarono di farlo condannare da Pilato con l’accusa di sedizione contro Roma.
Pilato interrogò accuratamente l’imputato, e la sua sentenza fu: “Io trovo quest’uomo immune da colpa”. Mi sembra un’assoluzione, o sbaglio? E anche in seguito, insistendo gli ipocriti accusatori che Egli si sarebbe proclamato re, chi rispose loro: “Ma il suo regno non è di questa Terra”? Fu proprio Ponzio Pilato.
E la narrazione evangelica continua. Quando sentì che il presunto delitto di sedizione politica, a carattere continuativo, sarebbe iniziato in Galilea, Pilato (probabilmente ben lieto in cuor suo di liberarsi di quegli austeri scocciatori), esattamente applicando il rito vigente, si dichiarò incompetente per territorio e rimise la causa al tetrarca di Galilea, Erode Antipa. Ebbene – registra l’evangelista – quando anche Erode dichiarò Gesù innocente “da quel giorno Pilato ed Erode, che erano prima in pessimi rapporti, divennero amici”. Quindi, la convinzione dell’innocenza del Cristo coinvolgeva Pilato anche sentimentalmente, al punto che la comune appartenenza al “partito innocentista” valeva anche a cancellare una precedente personale antipatia.
Ma il procuratore non si fermò li. Si impegnò per salvare Gesù anche al di là del proprio dovere istituzionale tanto da compromettere il proprio “cursus honorum”, al quale si sa quanto i Romani tenessero.
Consideriamo l’episodio della pasqua ebraica nella sua vera luce, coerentemente ai rievocati precedenti. Era tradizione che, in quel giorno, il popolo potesse graziare un condannato a morte. I condannati erano due: Gesù Nazareno e un certo Barabba, ladrone da strada e assassino. Pilato sapeva bene che Gesù era molto popolare (non poteva essergli sfuggita la domenica delle palme, proprio in Gerusalemme), e sapeva anche che il sinedrio lo odiava per quello e per la sua severa accusa contro la maggioranza di Farisei e Sadducei.
Si illuse quindi che, ricorrendo al popolo, egli sarebbe riuscito – senza violare la legge – a strappare il perseguitato dalle grinfie del suoi nemici. Sottovalutava l’astuzia o la perfidia dei vertici ebraici, che, prevedendo la sua mossa, avevano provveduto a far affluire per tempo nella non grande piazza una folta schiera di loro servitori e clienti, con istruzioni ben precise: Accadde così che, contro ogni logica, il risultato della “consultazione popolare” fu “Libera Barabba!”, sebbene Pilato fosse ricorso anche all’astuzia di far comparire il suo protetto in pubblico conciato in modo “teatralmente” idoneo (dice bene Sisto) a muovere a compassione.
Pilato, allora, costatata l’impossibilità di smuovere la marmaglia lì sotto dal proprio partito preso, grida “io sono innocente del sangue di questo giusto.”
Affermazione, quella, certo inconciliabile con l’ipotesi che egli stesso lo avesse condannato poco prima a morte e spiegabile soltanto col fatto che la condanna fosse stata pronunziata da “altri”, e che lui, Pilato, fosse – com’era – giuridicamente impotente ad impedirne l’esecuzione. Potete del resto passare alla lente d’ingrandimento i quattro vangeli, e non vi troverete il minimo cenno, non dico a una condanna di Cristo pronunziata da Pilato, ma neppure di una sua minima espressione che non fosse in Sua difesa, mentre più volte il testo dichiara che il Sinedrio, ad ogni costo, “voleva la sua morte”. Fu dunque il sinedrio, non Pilato, il giudice che condannò Gesù, e su questo non possono sussistere dubbi, essendo addirittura …Vangelo.
E arriviamo alla famosa “lavata di mani”. Si tratta di una patente mistificazione, che nessuno sembra avvertire. E le mistificazioni non sono mai casuali. Sta di fatto che solo pochi secoli dopo il fatto, al pubblico gesto di Pilato si attribuiva generalmente e pacificamente il significato di disinteressarsi, di tirarsi fuori vilmente e alibisticamente, tanto da usare comunemente l’espressione “lavarsene le mani” nel senso di estraniarsi da qualcosa, di sfuggire a una responsabilità. E’ un grossolano falso. Per un romano del primo secolo, il lavaggio delle mani (acqua lustrale) era un atto di purificazione.
Orbene, ci si purifica da qualcosa di indegno, di sporco, di impuro. E, se il gesto viene volutamente compiuto in modo pubblico, in presenza di altre persone, come Pilato volle che fosse, esso implica un’offesa gravissima alle medesime, una esplicita dichiarazione che il contatto con loro ci abbia contaminato, trattandosi di cosa ignobile, come certamente appariva a Pilato il complotto dei Farisei e loro complici contro il “giusto” Nazareno.
Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum – ordinò fosse scritto sulla tabella infissa al patibolo, e quando i sinedriali gli chiesero di modificarlo in “preteso re” fu irremovibile: “Quello che ho scritto, ho scritto!”.
È poco noto, ma la cosa, unita all’inaudito sfregio della catinella, procurò al procuratore un petulante ricorso ebraico all’imperatore, che valse al nostro la rimozione dall’incarico, essendosi giudicata prevalente la ragion di Stato che si mantenessero buoni rapporti con le autorità locali dei “federati”. Ci vollero altri quarant’anni perché Domiziano facesse quel che il modesto Pilato aveva, quel giorno tremendo, tanta voglia di fare!
Hanno fatto di lui il simbolo dell’indecisione, della pusillanimità, dell’incoerenza, mentre i suoi atti furono ineccepibili sia giuridicamente che umanamente. Vorrei proprio vedere, al suo posto, quelli che usano con disprezzo il verbo “pilateggiare”. Hanno fatto di lui l’aguzzino del Signore, quando egli lo difese persino quando i Santi Apostoli lo avevano abbandonato.
Perciò non condivido le idee di coloro che vorrebbero affibbiare a quel nostro degno antenato anche la taccia di positivista ante litteram oppure di sciocco. Essi risentono, si rifletta, della figura spregevole di Pilato confezionata dai veri deicidi. Gesù – della cui statura sovrumana il Romano aveva chiaramente avuto, se non conoscenza, almeno sentore – si dichiara a lui testimone della verità. E Pilato, come qualunque persona di una certa levatura, che non avesse assistito alla predicazione nei tre anni decorsi, gli chiese a quale verità alludesse. Non mi sembra proprio che occorra attribuire il silenzio di Gesù, piuttosto che alla materiale impossibilità di spiegare tutto a un pagano con una frase, o allo stato di estrema prostrazione fisica in cui si trovava, a un tacito rimprovero, né di dare alla domanda posta un senso… pirandelliano. Non mi risulta punto, infatti, che vi fosse la pena capitale per una mancanza di riguardo verbale a un qualsiasi funzionario dell’impero, né che i Romani, che hanno insegnato il diritto a tutto il mondo, sparassero pene di morte isteriche a casaccio. No, il perché del silenzio di Gesù lo sa solo Lui e così continui ad essere.
Quel che mi preme, è correggere l’ingiusto giudizio negativo su Ponzio Pilato, cittadino romano, e questo proprio alla luce dei vangeli.
Non si tratta di una mia peregrina opinione, dato che, nel calendario dei Cristiani Copti, il 25 giugno è dedicato a un Santo di nome Ponzio Pilato.
Tratto da Raido n. 26 – Contributi per il Fronte della Tradizione

lunedì 25 marzo 2013

Incontro con i Combattenti della RSI – Civitavecchia 24 Marzo 2013











“23 marzo | 1919 – 2013. Dopo più di 90 anni ai cialtroni democratici diamo ancora filo di torcere. Rifacendoci direttamente o indirettamente, attualizzandone il messaggio, alle origini della rivoluzione fascista. Nel mondo una cosa del genere non si è mai vista. Il nostro sorriso e' la vostra sconfitta, il nostro stesso esistere, il vostro terrore, avanti per la Rivoluzione!”

All'insegna di questo incipit, l’incontro di ieri con i combattenti della Repubblica Sociale Italiana si è dimostrato ancora una volta un momento imprescindibile per fare il “pieno” di quelle energie solari indispensabili per coloro che con audacia continuano ad essere impegnati nella guerra latente contro la sovversione. Appuntamenti di questo genere, non sono, come abbiamo già ripetutamente ribadito, commemorazioni passiste in salsa nostalgica, bensì virile affermazione di quei principi eterni che hanno caratterizzato il vivere di quella generazione di italiani che, di fronte al tradimento dell’8 settembre, ha risposto saldamente con la fedeltà e il sacrificio per l’Idea. Ore 11 di domenica mattina, quasi cinquanta persone, aria primaverile al solito “ultimo avamposto”: si tarda un po’ ad iniziare perché i Combattenti e l’ausiliaria Gina presenti, dispersi nella sala, si perdono piacevolmente e comprensibilmente in un lungo buongiorno e nello scambiarsi reciproci saluti. Dopo non molto, però ecco tutti accomodati sulle sedie,  dietro al tavolo, da “relatori” rimangono solamente tre persone, anche se lo spirito con la quale essi si sono rivolti ai presenti era quello, come solitamente avviene in occasione come queste, di una riflessione tranquilla e discorsiva, quasi una chiacchierata, ma con spunti e temi che toccano sempre l’essenziale, il semplice e il vero. Ovviamente il primo ringraziamento è andato a tutti coloro che hanno confermato la loro presenza e in special modo ai Combattenti: Pedrini, Dal Piaz, Lazzarotto, Cohen, Niglio ed all’Ausiliaria Romeo, agli ospiti di Roma e della Toscana, nonché ai molti ragazzi presenti.
Una piccola, ma come sempre, precisa e diretta introduzione di Massimiliano - come responsabile di Azione Punto Zero, ha ricordato l’importanza di questi momenti al fine della trasmissione della memoria storica e di quel sentire, fondato nel tempo dall’onore, la fedeltà, la fratellanza, di coloro che nel momento del dovere verso la Patria non si sono tirati indietro. Subito dopo i saluti di rito, a cura di Dario della comunità militante, è seguita invece, una breve presentazione della nostra azione (chi siamo e le attività che svolgiamo, dove operiamo, etc) a cui subito è seguito un appassionato intervento del Professor Mario Merlino, rigorosamente senza microfono.

Il Prof. Merlino ha ricordato la comunanza aristocratica nello spirito, di coloro che fanno propri i principi della Tradizione e che per tale natura non possono che essere una minoranza, elitaria, con il dovere di guidare i destini di un Popolo. Con quel modo tutto suo, canzonante e provocatorio all’apparenza, in realtà esaustivo ed essenziale il Prof. Merlino ha analizzato quella che è la vera storia, ripercorrendo attraverso citazioni e frequenti collegamenti a opere filosofiche e letterarie, quelli che sono i punti cardine di un fascismo capace di imporsi e dare, avendo alla radice determinati valori  e una determinata organicità complessiva dello Stato. Non solo, esso sa dare  un futuro ai giovani, esaltandone le peculiarità singole, a vantaggio di un bene comune. Patrimonio che, grazie a chi ha lottato e non ha ceduto alle lusinghe di un diabolico e camuffato mondo democratico, ha permesso la trasmissione generazionale e la continuità dell’Idea, e della fede in essa.

A seguire è intervenuto il combattente Stelvio Dal Piaz che è solito rivolgersi agli ascoltatori in piedi, accompagnando con il corpo il suo intervento, ma che  stavolta è rimasto per forza di cose, “legato” alla sedia. Non per questo le sue parole sono risultate meno incisive, anzi. Ha tenuto ad essere presente all’incontro e per questo gliene siamo grati.  Nel suo intervento, ha esposto con uno stile schietto le ragioni dell’attuale stato caotico dell’Italia partendo, questa volta, dalle contraddizioni giuridiche della stessa Costituzione del 1947, tra l’altro modificata più di sessanta volte nel corso degli anni a dimostrazione del suo effimero e limitato valore temporale. Preso come non mai da uno sconforto misto a rabbia per lo squallore e la miseria di una società finta,  costruita su un castello di carte e fondata sulla menzogna ed il ricatto, ha esposto attraverso un’analisi e una critica di alcuni articoli della costituzione le evidenti contraddizioni di un sistema liberal-democratico fondato sul falso.  E proprio il tentativo di un totale soffocamento e una eliminazione definitiva di tutto ciò che era il Fascismo o che solo lo ricordava , secondo Dal Piaz, ha generato  la scintilla di chi, sentendosi morire soffocato, ha “serrato i ranghi” e mantenuto fieramente la posizione, non cedendo di un millimetro al cataclisma democratico dei partiti destinato ad affievolire e intorpidire gli animi. Di contro ad un’analisi pessimistica della modernità, Stelvio contrappone la luce vivida della speranza riposta nei giovani appartenenti alle varie comunità sparse per l’Italia e nella consapevolezza che le sofferenze dei Combattenti, i loro patimenti sono serviti a passare il testimone della Verità. Essa a portata di mano ma è destinata solo a chi apre il cuore ed è in grado, attraverso il sacrificio, la fratellanza, la semplicità di far prevalere il giusto e l’ordine, di contro al falso e al caos oramai regnanti. Proprio la consapevolezza di stare dalla parte del Vero è la certezza che il giorno del giudizio in cui la maschera  democratica verrà giù, sarà il momento della vera Libertà. La conferenza si è conclusa con un intervento a sorpresa di un altro combattente della RSI, Mario Cohen, che ha proposto ulteriori argomenti di riflessione su quella che una volta era l’Italia della Repubblica Sociale.

Dopo i ringraziamenti finali del responsabile di Azione Punto Zero è seguito un pranzo legionario che ha consentito ai presenti di familiarizzare e di condividere in uno spirito comunitario questo importante momento di gioia. Tra chiacchiere, risate e brindisi, per concludere piacevolmente una domenica simbolo di congiunzione, comunione e continuità generazionale. La catena, nonostante gli svariati tentativi di rottura è ancora salda, la congiunzione tra coloro che hanno resistito e coloro che animano la speranza di una rivolta è sempre forte, e momenti di ritrovo come questi garantiscono che è possibile trovare una via forte e sicura per la battaglia contro la marea di fango montante. Siamo inoltre rimasti colpiti dal fatto che chi ha passato una vita senza mollare un centimetro, riponga fiducia e speranza in comunità come la nostra.. e quindi noi possiamo garantire che non molleremo e continueremo giorno dopo giorno, sacrificio dopo sacrificio a sottrarre energie alla macchina gigante e inarrestabile della modernità, per la riaffermazione della Verità e della Giustizia che possono essere espresse solo attraverso le nostre idee e i nostri simboli.

“La nostra forza nasce dall'essere la verità, la loro paura nasce dall'avere la menzogna”
Stelvio Dal Piaz

Hanno dato la vita per noi, per la nostra dignità, per poterci far camminare a testa alta. Probabilmente ci hanno immaginato nel loro ultimo sospiro prima di essere uccisi da un plotone di esecuzione. Abbiamo il dovere di essere all'altezza del compito. Mai con la democrazia liberal-capitalista, mai con il sistema dei partiti! Onoriamo i Combattenti con la presenza, con la gioia della militanza facciamo vedere loro, che c'è ancora chi ha voglia di restare in piedi in un mondo di rovine e che non hanno lottato invano … 
Azione Diretta > AzionePuntoZero

giovedì 21 marzo 2013

Domenica!

Onoriamo i Combattenti con la presenza..
Facciamo vedere loro con la presenza che c'è ancora chi ha voglia di restare in piedi in un mondo di rovine,
e che non hanno lottato invano ..

azione diretta.....
AzionePuntoZero!


martedì 19 marzo 2013

FUORI DALLE TASTIERE!

Roberto Bacheca [Sindaco di Santa Marinella]: "Bello azione punto zero [...] però nn attacca striscioni abusivi ....come ho visto oggi sulle plance elettorali..."
Attacchini maledetti, sostenitori abusivi ci fanno gli scherzi, facitori di striscioni a tradimento, tutto a nostra insaputa, ci vogliono spingere nell'illegalità, nell'uso e nell'abuso! Azione Punto Zero > FUORI DALLE TASTIERE!




lunedì 18 marzo 2013

RITORNO IN ISTRIA..


domenica 17 marzo 2013

Il giorno di San Patrizio

In questo giorno, teniamo da parte le questioni aperte sulle quali si potrebbe disquisire in eterno. Pensiamo piuttosto a chi a sacrificato la vita, o tutt'ora lotta, per la libertà della propria terra.

“Io difendo il diritto divino della nazione irlandese all’indipendenza sovrana, e credo in essa, così come credo nel diritto di ogni uomo e donna irlandese a difendere questo diritto con la rivoluzione armata.
Anche se nell’Irlanda del Nord non ci fossero centomila disoccupati, la miseria delle paghe griderebbe vendetta per gli enormi profitti della classe dominante e capitalistica, che prospera con le ferite, il sudore e le fatiche del popolo.
Non c’è nulla nell’intero arsenale militare inglese che riesca ad annientare la resistenza di un prigioniero politico repubblicano che non vuole cedere; non possono e non potranno mai uccidere il nostro spirito.”  (Bobby Sands)

venerdì 15 marzo 2013

Educazione Siberiana [il film - recensione]

Nel suo ultimo film “Educazione siberiana”, Gabriele Salvatores, premio Oscar con “Mediterraneo”, racconta una storia di fede e violenza, di amicizia e di crimine. Ma, sotto questa trama, si dipanano grandi interrogativi sulla formazione della coscienza, sul senso ultimo delle cose e sul destino dell'uomo. Siamo stati a vederlo e con l'estensore della recensione ne abbiamo conversato amabilmente a cena.


[Recensione a cura di Caterpillar]

Il film è la storia di ragazzi che passano dall'infanzia all'adolescenza, all'interno di una comunità di "Criminali Onesti" siberiani, così come loro stessi amano definirsi, rappresentando, attraverso un microcosmo molto particolare, una storia universale che, al di là delle implicazioni sociali, acquista un significato metaforico che riguarda tutti noi.

Solo Gabriele Salvatores può e vuole fare il cinema che tutti abbiamo sognato da ragazzini e non quello autoriale di chi s’è dimenticato d’esserlo stato, bambino. Non si ferma mai in un posto, non cerca mai la sicurezza di ciò che ha già sperimentato, va sempre dove non è stato. Lo fa anche in questo caso, con Educazione Siberiana, facendosi accompagnare dalla prosa secca e feroce di Nicolai Lilin, che quel modo di sopravvivere e crescere in Transnistria l’ha sperimentato davvero, a somiglianza di molti altri adolescenti educati alle durezze della vita dall’angustia dei tempi toccati loro in sorte, che gli hanno però insegnato il rispetto della tradizione, l’attaccamento ai valori, il senso della pedagogia familiare, anche se orientata verso l’apprendimento di una mentalità criminale. Un impietoso atto d’accusa contro la nostra società sazia e indifferente, narcisista e cinica. 

Diciamolo subito, il regista napoletano di nascita e milanese d’adozione, riesce subito a disinnescare quella curiosa malattia che coglie molti nel cinema italiano portandoli a uniformarsi a un unico stile di racconto e a un rigido conformismo di contenuti da salotto più o meno radical chic. Salvatores spariglia le carte portandoci nell’ex Unione Sovietica e raccontandoci  di due bambini, poi adolescenti che crescono in Transnistria, regione della Moldavia Occidentale, nella comunità criminale locale più povera e cattiva, quella degli Urca siberiani, deportati ai tempi di Stalin in quella zona remota dell'Unione Sovietica: un'etnia povera molto religiosa e insieme ribelle, in cui vigono regole ferree di comportamento…
A far da filo rosso (sangue) è Nonno Kuzya, un John Malkovich invecchiato e ieratico che custodisce le regole della morale indigena, difendendole dalla modernità di un impero caduto, quello sovietico. Odia divise e banchieri, gli usurai e chi accumula più denaro di quanto gli sia necessario (e infatti quello che viene rubato va nascosto in giardino e mai tenuto in casa), è una sorta di guru-patriarca che detta le regole dell’etica e dell’estetica del suo popolo, tra coltelli e tatuaggi, insegnando a vivere al nipote Kolyma. Accanto a lui c’è Gagarin  un outsider in una terra di emarginati. Uno che ha un cuore diviso tra la lealtà di un affetto invincibile verso l’amico di sempre e l’inquietudine che lo corrode. Una bomba a orologeria e autodistruttiva, uno che può far crollare un sistema di valori costruito in secoli di devozione e omicidi, vendette e fede.

Salvatores parte da loro due per raccontare un impero morente, quello sovietico, e un nichilismo invadente che lo sostituisce, prova a mostrare la globalizzazione che prova a sporcare pure la criminalità più o meno organizzata, a colpi di chili di eroina.
Il cineasta non cerca sovrastrutture, ma l’emotività e l’azione. C’è politica e storia nel suo cinema, perché cresce e si intravede naturalmente in un tragico romanzo di formazione che non fa sconti a nessuno, persino in quella storia d’amore tenerissima e sbagliata di Kolyma e la giovane  disadattata Xenia.
Il film si apre in un esterno, con un branco di lupi che vaga compatto in mezzo alla neve: la scena è concitata, si sente il gelo, si sente la fame del branco. Pochi istanti dopo la scena si fa intima: dentro una casa, alla luce delle candele, nonno Kuzja prega davanti a un altare. Prega la Madonna, «Santa Madre del Santissimo Iddio», raffigurata da due icone russe: una tradizionale, l'altra con due pistole. Accanto, un crocefisso e altre figure votive. Ma anche armi, pugnali. E la preghiera è insolita: si chiede protezione e perdono per loro, «onesti criminali», benedizione per le armi e le traiettorie dei proiettili, nella concezione di essere strumenti dell'ira di Dio. «La picca è come la croce, lei ti accompagna per tutta la nostra vita », dice a Kolima nonno Kuzja, mentre gli insegna a colpire a sangue freddo, ma al contempo a proteggere i deboli, i disabili, (che gli Urca chiamano i “voluti da Dio”), gli anziani e le donne, in un mix paradossale e insieme autentico di pedagogia ed etica criminale. La fede, qui, non è mai disgiunta dalla lotta, dalla giustizia anche con le armi. E, come c'è il sangue, c'è tanto Dio in Educazione siberiana. Perché, come ci insegna l’Apostolo delle Genti, Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20).

Un racconto generazionale che diventa film di guerra, un Romanzo Criminale che sì, senza sfuggirgli di mano, si mischia a una sorta di Meglio gioventù rovesciata.
Le redini della strana spiritualità materialistica della comunità comandata da Kuzja, la poetica dei tatuaggi che scrivono sui corpi le storie di ognuno (e che Kolyma, in carcere, imparerà a disegnare e leggere: nella realtà è Lilin il suo consulente), la forza di voci incattivite che cacciano, cantando, l’autorità sono tutte nella potenza immaginifica di un regista che non si stanca mai di narrare nuovi mondi. E in quei due ragazzi, alla fine, si vede l’amicizia tra lo stesso Salvatores e Lilin, che si evince dalle interviste oltre che dal film stesso. 




martedì 12 marzo 2013

Angelo Mancia vive e lotta..presente!


In memoria, 12 marzo 1980 - 12 marzo 2013

"Ci voleva un fatto eclatante, infatti in quei giorni numerose abitazioni di militanti del MSI furono
bombardate dal tritolo sovversivo e sempre per puro caso non ci furono danni alle persone. Bisognava colpire un simbolo, una persona che non aveva mai avuto paura di loro, qualcuno che aveva sempre risposto in prima persona alle loro provocazioni, con il coraggio della lotta a viso aperto, incurante del numero degli avversari e sicuro della propria fede, uno che non si sarebbe mai piegato se non a causa di un colpo di pistola! Avevano trovato quella persona, quel "fascista di razza" (così lo definirono nel volantino di rivendicazione), era Angelo Mancia, segretario della sezione Talenti, dipendente del "Secolo d'Italia", rappresentante sindacale aziendale (RSA) della CISNAL. 
Stava uscendo di casa, poco dopo le 8:30 di quel 12 marzo, come ogni giorno diretto al lavoro, come addetto ai servizi esterni del "Secolo" e della Direzione Nazionale del Partito; ad attenderlo c'erano i suoi assassini, appostati dietro un furgone blu posteggiato davanti al cancello di via Tozzi 10,da dove Angelo stava uscendo, avvicinandosi al proprio motorino.
Bastò un attimo per rendersi conto di quanto stava succedendo. Visti i terroristi, Angelo cercò rifugio nel portone di casa, non fece in tempo, il fuoco assassino dei comunisti lo raggiunse alla schiena; non contenti, gli assassini spararono ancora, alla nuca, volevano essere sicuri di non aver fallito anche questa volta."

fonte: lafiammacanicattì.it


lunedì 11 marzo 2013

Il reclutamento dei militanti

Il Capo di Cuib - Il reclutamento dei militanti
Punto 36.
Quando recluta i suoi militanti, il capo di cuib deve stare attento a scegliere gli elementi più idonei forniti di alto senso della dignità. I disonesti, i litigiosi, quelli che danno scandalo, i boriosi, i vantoni, i superbi, i paurosi, i vili devono esser lasciati fuori dell'organizzazione. E, per esser sicuri che nessuno di questi elementi possa entrare nell'organizzazione, in nessun villaggio il numero dei legionari potrà superare la metà del numero degli abitanti del villaggio stesso. Una volta completato il numero dei legionari, nessuno potrà più essere accolto nell'organizzazione, ma dovrà soltanto aspettare che si liberino dei posti. In ogni caso, l'organizzazione deve essere preservata da coloro che non possono vivere senza litigare. Non appena un militante del cuib non riuscirà ad andar d'accordo con gli altri militanti, egli dovrà lasciare l'organizzazione, presentando le proprie dimissioni. Meglio pochi e vivere in fratellanza completa in un'unità perfetta, piuttosto che molti e combatterci fra di noi.
Il capo di cuib cercherà di salvaguardare l'organizzazione dagli agenti provocatori e dalle spie mandate dai politicanti democratici e dagli imbroglioni di mestiere.

domenica 10 marzo 2013

TIBET SARAI LIBERO!

Il 10 marzo 1959 il risentimento dei tibetani, dal 1950 sotto il giogo della repressione cinese, sfociò in un’aperta rivolta popolare. L’esercito di Pechino stroncò la rivolta nel sangue: 87.000 civili tibetani furono uccisi e migliaia furono incarcerati. Il Dalai Lama fu costretto a lasciare il Tibet e chiese asilo politico in India.


Tibet, una voce della Tradizione che urla contro al mondo, 
attraverso le autoimmolazioni, la sua protesta contro un' asfissiante occupazione...ma sembra non essere ascoltata. 
La libertà negata ad un popolo e il tentativo di distruggerne le radici 
e la linfa attraverso violenze e corruzioni, 
ascoltiamo le voci di coloro che si sono sacrificati... 
Tibet libero!

In uscita!


"Indirizzi per l'Azione Tradizionale.
Scritti di educazione e formazione militante"

RAIDO

76 pp. - 8,00 €

In uscita il 16 Marzo 2013



Massimo Morsello - in memoria 10/03/2001

MASSIMINO, PRESENTE!






















"..Scordammo la casa e il suo caldo com'era per il caldo più freddo di una fredda galera 

e uccidemmo la noia annoiando la morte e vincemmo soltanto cantando più forte 

e ora siamo lontani, siamo tutti vicini e lanciamo nel cielo i nostri canti assassini 

e ora siamo lontani, siamo tutti vicini e lanciamo nel cielo i nostri canti bambini."






giovedì 7 marzo 2013

Festa di San Giuseppe a Santa Marinella, ci risiamo!


Uno strano gruppo di interessi, associazioni e operatori ha preso in ostaggio l’evento.


Come ormai da qualche anno a questa parte, sembra che i festeggiamenti per il Patrono di Santa Marinella siano un affare privato di un comitato di cui, non se ne sa nulla. Pare che tutto debba svolgersi in sordina, per non disturbare chi, di fatto, se ne è preso l’appalto con annessi e connessi. Il caso vuole che già da qualche gtempo a questa parte, sui social network, fossero iniziate a girare insistentemente delle domande sulla esistenza o meno di un comitato festeggiamenti, da chi fosse composto, se avesse pubblicizzato e promosso la partecipazione per l’organizzazione. Niente di niente, top secret, nemmeno i nostri informatori erano conoscenza di chi stesse organizzando la festa. Si vagheggiava a riguardo solo il nome dell’affannatissimo Assessore Boelis. Quasi per incanto proprio oggi, un proclama stampa dell’amministrazione comunale(!), informa che “il catalogo è pronto”. In un tourbillon di ovvietà, come recita il comunicato “le festività si svolgeranno da Sabato 16 a Martedì 19 Marzo presso le Vie e le Piazze del Centro Storico della città. Spettacoli musicali e di cabaret, sportivi e teatrali a fare da contorno al tradizionale mercatino. Giostre e tradizionale mercatino per le vie del Centro durante i giorni di festeggiamento. Gran finale, lo spettacolo dei fuochi d’artificio in Passeggiata.” Non vogliamo entrare specificatamente nel merito delle proposte artistiche, anche se nei radiosi anni di questa gestione ci sono cose che fanno rabbrividire, il problema è: chi decide, a che titolo, scegliendo quali proposte e scartando quali? E ancora, chi sceglie chi deve gestire gli stand del mercatino, quali operatori garantiscono qualità alla festa e quelle terribili giostre, quegli intrattenimenti che appartengono ad una sciatteria senza un minimo di respiro culturale,chi le ha decise? La sommità dei contenuti e del respiro per la festa del Santo Patrono, l’Assessore Boelis la raggiunge comunque nella dichiarazione di ringraziamento: “Abbiamo cercato in questi anni, in particolar modo da quando sono stato nominato assessore al Turismo, di valorizzare e promuovere la festività del Santo Patrono, come suggerisce la tradizione. E’ senza dubbio uno dei più bei programmi per San Giuseppe, dove si incrociano spettacoli musicali, di cabaret, eventi sportivi, animazione, e degustazione”. 

Capiamo che siamo in periodo elettorale, doveroso dunque far diventare un’opera d’arte anche uno sgorbio, ma di coraggio ce ne vuole. Una festa del Patrono che relega la dimensione religiosa ad una Processione e alla Santa Messa, non è suggerita dalla tradizione. Senza una dimensione profonda, un invito alla partecipazione – prima dell’evento, per prepararlo - un radicamento, una identità con le proprie radici culturali del territorio, la festa del Patrono è ridotta ad una sagra paesana come tante altre. Sarebbe ora che il Comitato Festeggiamenti – se esiste, venisse allo scoperto, per dare voce e possibilità di costruire a coloro che vogliono collaborare. Ancor di più, occorrerebbe darlo alle autorità religiose che debbono sovraordinare tutto l’avvenimento. Altrimenti, la chiamassero festa del Comune o degli amici dell’amministrazione, con Kebabbari, cineserie e spettacoli avvilenti. Non è più tempo di trattare i cittadini come sudditi con l’anello al naso, forse ancora negli uffici di Via Rucellai non hanno colto il fatto che il vento è cambiato e che non è più tempo di canzoni napoletane e balletti russi per incantare la gente.

Indossa lo spirito Spartano, con Herrenklub!


mercoledì 6 marzo 2013

Acca Larentia, non è una lapide.....


Il 4 marzo rassegne stampa diffondevano la notizia della riapertura delle indagini su un fatto di sangue risalente agli anni ’70, in particolare l’articolo alla pagina 147 di televideo RAI recitava: “Riaperte le indagini su strage di Acca Larentia”. Nulla di strano, se non per alcune perversioni giornalistiche.  Infatti, la mistificazione di fatti e parole, propinata a dosaggio controllato e a “disco continuo” da parte degli organi di dis-informazione, obbliga ad una piccola analisi del testo, per dimostrare il genuflettismo, la pecoroneria, la sciatteria etica e l’assoluta assenza di spina dorsale di certi scribacchini da trenta denari. Nell’articolo breve e scarno è descritto un “fattaccio” di strage, proprio di omicidi plurimi, alla ribalta alla fine degli anni ’70, mai dimenticato, ma sempre diminuito, vituperato, confrontato “con ragioni, sì, giuste”, come se un accaduto simile fosse da dover essere assurto, per forza, per “carità pacifista”, a mera targa commemorativa da affiggere.
Purtroppo, le menzogne hanno le gambe corte ed hanno la proprietà di stimolare la ricerca del vero, la realtà delle parole e dei fatti e, mostrano la faccia e le terga di coloro che, senza vergogna e senza onore, si autocollocano nel serraglio a loro confacente, quello della piccineria e dell’ignavia che, da lungo tempo, ammorba l’Italia e l’Europa “democraticizzata”. Dunque, si osservi la frase: “…un terzo attivista Stefano Recchioni morì alcune ore più tardi negli scontri che seguirono i delitti, forse per mano di un carabiniere”.  In effetti, fu a sparare il capitano dei Carabinieri Edoardo Sivori, ora generale e fondatore del Partito delle Aziende – Piccole e Medie Imprese, non un carabiniere, uno qualsiasi, che uscì anche indenne dal processo, nonostante le prove fossero state a suo sfavore.
Si osservi ora la frase finale dell’articolo: “Il pm ha riaperto anche l'inchiesta sulla morte del giovane di sinistra Valerio Verbano”. Un “politically correct” in chiusura, una menzione ed un confronto “con le ragioni, sì giuste”. Oggi si è riaperta un’indagine del genere? Stiamo con le antenne dritte ..... 

Il Corsaro Nero



03/03/2013 19:49
RIAPERTE INDAGINI SU STRAGE ACCA LARENTIA
Rai          RIAPERTE INDAGINI SU  STRAGE ACCA LARENTIA 

Sono state riaperte a Roma le indagini sulla strage di Acca Larentia in cui il 7 gennaio 1978 furono uccisi due militanti del Fronte della Gioventù,Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, 19 e 18 anni. Un terzo attivista, Stefano Recchioni, morì alcune ore più tardi negli scontri che seguirono i delitti, forse per mano di un carabiniere. Il fascicolo aperto dal pm Amelio è al momento contro ignoti. Si valuterà se con più sviluppate teniche investigative è possibile sviluppare nuovi accertamenti. Il pm ha riaperto anche l'inchiesta sulla morte del giovane di sinistra Valerio Verbano.

è ora di fare i conti con la Storia..

Purtroppo la cosiddetta area è afflitta – consapevolmente o meno – da un tipo patologico di nostalgismo che crea anche pigrizia mentale. Dopo queste elezioni niente sarà come prima. IntellIgenza politica porta a comprendere che siamo al “giorno dopo”; forze alternative possono sopravvivere e divenire punto di riferimento solo se hanno un progetto sostenuto da cultura politica che parta dalla realtà tragica della situazione attuale, situazione che il risultato del lento evolversi di una pagina scritta nel lontano febbraio 1947 (trattato di pace ) . Tutto il resto è vaniloquio. Il popolo italiano nella sua interezza deve fare i conti con la Storia, senza divisioni o partigianerie.


Stelvio Dal Piaz