Pubblichiamo un articolo tratto dalla rivista "Heliodromos" sulla straordinaria vita e carriera di Ginafranco Fini. Riteniamo doveroso farlo a scanso di qualsiasi equivoco. Il solco che separa questa iniziativa e i destri neconservatori leccapiedi, è della stessa misura di quello che ci separa dai loro omonimi di sinistra più o meno radical più o meno chic.
Diversi ambienti della destra politica ma non soltanto questi, dato che i comportamenti “evolutivi” hanno assunto aspetti paradossalmente scandalosi, sono rimasti perplessi e amareggiati per i disinvolti riposizionamenti politici di Gianfranco Fini. Tanti generosi militanti d’ogni età hanno rivissuto le disillusioni, che notoriamente i politici del nostro tempo danno a quanti mal pongono fiducia e attese per un autentico rinnovamento di questo nostro paese. Nel caso di Fini bisognava possedere una buona dose d’ingenuità, per aspettarsi mete ideali da chi, per naturale inclinazione, ha sempre seguito, e inseguito, eventi politici e personali concordanti esclusivamente con i suoi limiti culturali e la sua sfrenata ambizione. Sotto quest’aspetto, quello che differenzia Fini da un rozzo avventuriero della politica come Antonio Di Pietro è il modo felpato e circospetto delle sue scelte. Ripercorrendo alcune delle tappe più indicative della sua fortunata ascesa politica, è difficile ritrovare suoi personali contributi di originalità e spessore politico, il suo successo lo ha costruito con cauta scaltrezza seguendo le orme di personaggi politicamente molto più dotati di lui. Con il sostegno di Almirante, malgrado Fini fosse per consensi il quarto degli eletti nella direzione del Fronte della Gioventù, diventa segretario giovanile e, in seguito, erede designatoalla segreteria del M.S.I. La svolta politica realizzatesi con il passaggio del M.S.I. in A.N. è stata culturalmente concepita dal prof. Fisichella e politicamente e organicamente realizzata da Giuseppe Tatarella; Fini ne divenne il segretario perché, essendo culturalmente neutro, come ebbe a dire lo stesso Tatarella (cfr. Heliodromos N. 17), sembrò la persona tollerabile dalle diverse anime culturali confluite nel nuovo partito; al seguito e sulle orme di Berlusconi, infine, realizza il massimo della sua scalata politica, diventando nel 2001 vicepresidente del Consiglio dei Ministri e ministro degli Esteri e poi ancora, con le ultime elezioni del 2008, sempre al seguito di Berlusconi, presidente della Camera dei deputati. Anche le sue vicende personali non brillano per trasparenza e lealtà. Daniela Di Sotto, la sua prima moglie, ha dichiarato di aver subito l’umiliazione di apprendere dai giornali la decisione di Fini di avviare un nuovo rapporto con l’attuale compagna. Sergio Mariani, il primo marito di Daniela, in una intervista apparsa in www.collettivamente.it, insieme ad una serie di penose vicissitudini che lo indussero a tentare il suicidio, dice: “Vivevamo insieme sotto lo stesso tetto, ma Daniela e Gianfranco avevano cominciato una relazione clandestina nella casa di una dipendente del Secolo”, … “Se Daniela quando eravamo ancora sposati si è innamorata di Fini non ha nessuna colpa, il sentimento non si può gestire. Il problema non sta nel tradimento dell’amore, ma nell’errore di Fini: il tradimento dell’amicizia, di un vincolo di comunità”.
Considerando nell’insieme l’ascesa politica di Fini e le modalità con cui si sono svolte le sue vicende personali, ci viene da pensare ad una delle commedie più ardite di Molière, nella quale l’autore con vigore esprime la reazione di una visione sana ed equilibrata della vita contro ogni deformazione ipocrita e interessata. Il commediografo francese, con un abile gioco linguistico fra la sua lingua e quella italiana, intitola questa sua commedia Tartufe, il nome che noi diamo al tubero che cresce sotterraneo, sotto intendendo però che questo parassita nella sua lingua è indicato con il termine Truffe, che, a sua volta, foneticamente rimanda al senso fortemente negativo che ha nella lingua italiana. Com’è noto Molière in questa sua commedia ci traccia la figura di un essere che con fare compunto e servizievole riesce a farsi accettare da una famiglia perbene, a divenire il consigliere ascoltato, finché con le sue arti fa diseredare il figlio, si fa promettere dal suo protettore la figlia e la dote, e poi tenta di fare arrestare quello stesso a cui tutto deve. È l’immagine universale dell’impostore senza scrupoli, che maschera con arte il suo cinismo. In realtà il comportamento di Tartufo si rispecchia molto nel comportamento di Fini all’interno d’AN e nel rapporto con Berlusconi. Dopo la morte di Tatarella, l’unico fra i maggiori dirigenti di quel partito che potesse tenerlo in soggezione, conoscendone i limiti e i vizi, Fini inizia a sfogliare come un carciofo AN da tutti quelli che per qualità personali e senso d’autonoma dignità potessero tenerlo in ombra. Il primo a soccombere è lo stesso cofondatore d’AN, il prof. Fisichella, il quale abbandona il partito non sentendosi sostenuto, avendone i titoli culturali, nelle sue legittime aspirazioni istituzionali che invece Fini, con l’indispensabile sostegno di Berlusconi, rimette a se stesso.
Utilizzando in maniera cinica e consueta questo metodo di mettere all’angolo per costringere a lasciare, e sbarrando senza preavviso e d’autorità le candidature degli uomini di maggiore rilievo politico e consenso elettorale, egli ha disboscato il partito dalle migliori risorse umane, solo in Sicilia, fra i tanti, il senatore Vito Cusimano, l’on Enzo Trantino, l’on. Enzo Fragalà, l’on. Nello Musumeci; sono veramente tante le persone con alle spalle una lunga storia d’impegno e di servizio ideale che sono stati emarginati da Fini, perché ingombranti rispetto alla sua pochezza politica e alla sua sfrenata ambizione. Ha colto nel segno quel nobiluomo del prof. Silverio Bacci, quando lo ha definito: "un piazzista falso ed intrigante dentro il nostro mondo… uomo senza anima". (Orientamenti, n. 1-2. a. VI, Roma 2003).
Eliminati dal partito gli arbusti, sono rimasti i cespugli, gente senza alcun merito, uomini cavi e servizievoli, come Urso e Ronchi; questo ultimo difatti ha toccato il ridicolo dichiarando: "Lealtà e onestà intellettuale sono il dato caratteriale di Gianfranco Fini" (Il Giornale, 14 aprile 2010). Completano le forze finiane le tre marie, Carmelo Briguglio, Italo Bocchino e Fabio Granata, i quali, posti politicamente da lui in posizioni molto sopra delle loro reali capacità, rappresentano nello stesso tempo la forza apparente e la debolezza reale di Fini; Fabio Granata, addirittura, preso dalle vertigini per le posizioni raggiunte sotto la protezione di Fini, ha perso il senso del limite, tanto da anticipare una sua “eventuale” candidatura a governatore della Sicilia (sic!).
Dal neofascismo al neo-antifascismo
La società moderna è caratterizzata da una innegabile chiusura individualistica ed egocentrica, e da un’insensata spinta al cambiamento, che spesso pone le persone che lavorano a inumane leggi di mercato, facendole trasmigrare da un’attività lavorativa all’altra, con conseguenze non semplici di adattamento psicologico e tecnico, superabili solo in forza della necessità di sopravvivenza. Ebbene – ci chiediamo -, se nel passaggio da un impiego lavorativo all’altro s’incontrano sofferenze e disagi, pur trattandosi di aggiornare competenze operative e atteggiamenti mentali, com’è possibile modificare radicalmente idee costruite in conformità ad una visione della vita e del mondo, elaborate negli anni mediante studi, riflessioni ed esperienze culturali che coinvolgono gli aspetti più intimi dell’essere? In questo mondo moderno senza fede e principi, non ci stupiamo se si assiste addirittura a tentativi di “nobilitare” la labilità e superficialità del più ignobile trasformismo culturale e politico. Per esempio, l’ex comunista Giuliano Ferrara ha giustificato le sue attuali posizioni liberali dicendo: “Solo gli imbecilli non cambiano idea”; a lui si potrebbe rispondere con un più saggio detto orientale: “Niente di più stupido di un uomo intelligente”, ma preferiamo essere meno sbrigativi. Egli da razionalista qual è, non si rende conto dell’irrazionalità della sua proposizione giustificativa; un razionalista intelligente dovrebbe avere idee così razionalmente fondate da non consentirgli ripensamenti, oppure è così imbecille da non sapere elaborare i processi cognitivi in maniera “chiara e distinta” come gli suggerisce il suo Cartesio. Nel caso di Fini abbiamo assistito ad un trasformismo tanto spudorato quanto ottuso, e per lui, in fondo, com’è già evidente, la causa del suo inarrestabile declino. Già Craxi, il quale si era reso ben conto che il cosiddetto arco costituzionale era un artificio politico del P.C.I. avviò una prima fase dello sdoganamento del M.S.I. Fini, seguendo la sua congenita attitudine all’ingratitudine mista alla sua pochezza politica, gli diede il ben servito e assecondò demagogicamente il giustizialismo di “mani pulite”, incapace di capire chi politicamente n’avrebbe tratto profitto. Nonostante la sua miopia politica, Fini ebbe la fortuna della discesa in campo di Silvio Berlusconi che completò il processo di sdoganamento e lo fece, conseguentemente, crescere elettoralmente. Mentre maturava, finalmente, una duplice legittimazione politico- culturale, in virtù di vari studi, come quelli di Renzo De Felice e della sua scuola e di onesti lavori revisionisti come, fra i tanti, quelli di Gianpaolo Pansa, cioè, mentre si indeboliva l’antifascismo ideologico e strumentale, per avere spazio nel dibattito culturale un più attento, sebbene critico, giudizio storico sul fascismo, Fini nel novembre 2003, dopo quattro anni di sollecitazioni nell’anticamera, compie il suo viaggio in Israele. Da lì, passando compiaciuto sotto le forche caudine dell’estremismo sionista di Sharon, apre con le sue indecorose e vili dichiarazioni la fase di rifondazione di un neo antifascismo ancora più immotivato e acido del precedente. Per lui si può ben citare, e qui lo facciamo opportunamente, Ezra Pound: “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui”. L’affermazione secondo la quale la R.S.I. è da includere nelle “pagine vergognose della storia”, non solo, resterà per sempre il suo marchio squalificante, ma la più ignobile delle espressioni verso i combattenti e i tanti giovani che con il loro estremo sacrificio riscattarono l’onore di questa italietta.
Ci sono vari aspetti del fascismo che vanno rivisti alla luce di un giudizio serio e severo, ma la R.S.I. resta l’evento più indicativo, più doloroso e nello stesso tempo più fulgido della nostra storia; senza il riscatto dell’onore, l’ombra dell’infamia e del tradimento avrebbe accompagnato gli italiani che antepongono la dignità all’opportunità. Francesco Cossiga, che certo non è privo d’esperienza politica e di fiuto per le “qualità” umane, dice di Fini che “non potrebbe amministrare neppure un condominio di quattro appartamenti” e poi precisa: “È il preferito dal centrosinistra per come si è schierato sul caso Englaro, se non si è circonciso, mentalmente lo è, manca solo che si iscriva all’Associazione partigiani” (Ansa 11/03/2009). Una verifica di questa circoncisione mentale l’abbiamo avuta appena qualche mese addietro, quando Fini ha dichiarato, con l’entusiasmo del neofita, che bisogna perseguire non soltanto l’antisemitismo ma anche l’antisionismo, perché dietro di esso si cela il pregiudizio razziale. Anche qui riemerge la sua povertà culturale. Fini evidentemente non conosce le posizioni di moltissimi ebrei ortodossi, i quali sono in prima linea nel sostenere quanto il sionismo contribuisca ad alimentare l’antiebraismo. Purtroppo con Fini siamo di fronte a un essere non solo senza cultura e senza anima, ma anche arrogante, invidioso, vendicativo e opportunista. È proprio vero che ciò che un essere è potenzialmente alla nascita, egli continuerà ad essere lungo il corso della sua esistenza individuale; ognuno secondo la propria natura. Sono queste convinzioni che ci fanno auspicare un suo declino politico, perché abbiamo ben chiaro che un essere di tal specie nocerebbe al Paese e alle istituzioni, come ha nuociuto al partito e agli uomini che lo avevano accolto. Ritornando all’immagine di Tartufo, non possiamo non completarla con un adagio assai esplicito: “Nell’oscurità, il pidocchio è peggio di una tigre”, ma alla luce del giorno – aggiungiamo noi – un pidocchio è solo un pidocchio.
Bruno Del Re
Estratto da Heliodromos, n. 22 - 21 aprile 2010.
http://www.heliodromos.it/
Considerando nell’insieme l’ascesa politica di Fini e le modalità con cui si sono svolte le sue vicende personali, ci viene da pensare ad una delle commedie più ardite di Molière, nella quale l’autore con vigore esprime la reazione di una visione sana ed equilibrata della vita contro ogni deformazione ipocrita e interessata. Il commediografo francese, con un abile gioco linguistico fra la sua lingua e quella italiana, intitola questa sua commedia Tartufe, il nome che noi diamo al tubero che cresce sotterraneo, sotto intendendo però che questo parassita nella sua lingua è indicato con il termine Truffe, che, a sua volta, foneticamente rimanda al senso fortemente negativo che ha nella lingua italiana. Com’è noto Molière in questa sua commedia ci traccia la figura di un essere che con fare compunto e servizievole riesce a farsi accettare da una famiglia perbene, a divenire il consigliere ascoltato, finché con le sue arti fa diseredare il figlio, si fa promettere dal suo protettore la figlia e la dote, e poi tenta di fare arrestare quello stesso a cui tutto deve. È l’immagine universale dell’impostore senza scrupoli, che maschera con arte il suo cinismo. In realtà il comportamento di Tartufo si rispecchia molto nel comportamento di Fini all’interno d’AN e nel rapporto con Berlusconi. Dopo la morte di Tatarella, l’unico fra i maggiori dirigenti di quel partito che potesse tenerlo in soggezione, conoscendone i limiti e i vizi, Fini inizia a sfogliare come un carciofo AN da tutti quelli che per qualità personali e senso d’autonoma dignità potessero tenerlo in ombra. Il primo a soccombere è lo stesso cofondatore d’AN, il prof. Fisichella, il quale abbandona il partito non sentendosi sostenuto, avendone i titoli culturali, nelle sue legittime aspirazioni istituzionali che invece Fini, con l’indispensabile sostegno di Berlusconi, rimette a se stesso.
Utilizzando in maniera cinica e consueta questo metodo di mettere all’angolo per costringere a lasciare, e sbarrando senza preavviso e d’autorità le candidature degli uomini di maggiore rilievo politico e consenso elettorale, egli ha disboscato il partito dalle migliori risorse umane, solo in Sicilia, fra i tanti, il senatore Vito Cusimano, l’on Enzo Trantino, l’on. Enzo Fragalà, l’on. Nello Musumeci; sono veramente tante le persone con alle spalle una lunga storia d’impegno e di servizio ideale che sono stati emarginati da Fini, perché ingombranti rispetto alla sua pochezza politica e alla sua sfrenata ambizione. Ha colto nel segno quel nobiluomo del prof. Silverio Bacci, quando lo ha definito: "un piazzista falso ed intrigante dentro il nostro mondo… uomo senza anima". (Orientamenti, n. 1-2. a. VI, Roma 2003).
Eliminati dal partito gli arbusti, sono rimasti i cespugli, gente senza alcun merito, uomini cavi e servizievoli, come Urso e Ronchi; questo ultimo difatti ha toccato il ridicolo dichiarando: "Lealtà e onestà intellettuale sono il dato caratteriale di Gianfranco Fini" (Il Giornale, 14 aprile 2010). Completano le forze finiane le tre marie, Carmelo Briguglio, Italo Bocchino e Fabio Granata, i quali, posti politicamente da lui in posizioni molto sopra delle loro reali capacità, rappresentano nello stesso tempo la forza apparente e la debolezza reale di Fini; Fabio Granata, addirittura, preso dalle vertigini per le posizioni raggiunte sotto la protezione di Fini, ha perso il senso del limite, tanto da anticipare una sua “eventuale” candidatura a governatore della Sicilia (sic!).
Dal neofascismo al neo-antifascismo
La società moderna è caratterizzata da una innegabile chiusura individualistica ed egocentrica, e da un’insensata spinta al cambiamento, che spesso pone le persone che lavorano a inumane leggi di mercato, facendole trasmigrare da un’attività lavorativa all’altra, con conseguenze non semplici di adattamento psicologico e tecnico, superabili solo in forza della necessità di sopravvivenza. Ebbene – ci chiediamo -, se nel passaggio da un impiego lavorativo all’altro s’incontrano sofferenze e disagi, pur trattandosi di aggiornare competenze operative e atteggiamenti mentali, com’è possibile modificare radicalmente idee costruite in conformità ad una visione della vita e del mondo, elaborate negli anni mediante studi, riflessioni ed esperienze culturali che coinvolgono gli aspetti più intimi dell’essere? In questo mondo moderno senza fede e principi, non ci stupiamo se si assiste addirittura a tentativi di “nobilitare” la labilità e superficialità del più ignobile trasformismo culturale e politico. Per esempio, l’ex comunista Giuliano Ferrara ha giustificato le sue attuali posizioni liberali dicendo: “Solo gli imbecilli non cambiano idea”; a lui si potrebbe rispondere con un più saggio detto orientale: “Niente di più stupido di un uomo intelligente”, ma preferiamo essere meno sbrigativi. Egli da razionalista qual è, non si rende conto dell’irrazionalità della sua proposizione giustificativa; un razionalista intelligente dovrebbe avere idee così razionalmente fondate da non consentirgli ripensamenti, oppure è così imbecille da non sapere elaborare i processi cognitivi in maniera “chiara e distinta” come gli suggerisce il suo Cartesio. Nel caso di Fini abbiamo assistito ad un trasformismo tanto spudorato quanto ottuso, e per lui, in fondo, com’è già evidente, la causa del suo inarrestabile declino. Già Craxi, il quale si era reso ben conto che il cosiddetto arco costituzionale era un artificio politico del P.C.I. avviò una prima fase dello sdoganamento del M.S.I. Fini, seguendo la sua congenita attitudine all’ingratitudine mista alla sua pochezza politica, gli diede il ben servito e assecondò demagogicamente il giustizialismo di “mani pulite”, incapace di capire chi politicamente n’avrebbe tratto profitto. Nonostante la sua miopia politica, Fini ebbe la fortuna della discesa in campo di Silvio Berlusconi che completò il processo di sdoganamento e lo fece, conseguentemente, crescere elettoralmente. Mentre maturava, finalmente, una duplice legittimazione politico- culturale, in virtù di vari studi, come quelli di Renzo De Felice e della sua scuola e di onesti lavori revisionisti come, fra i tanti, quelli di Gianpaolo Pansa, cioè, mentre si indeboliva l’antifascismo ideologico e strumentale, per avere spazio nel dibattito culturale un più attento, sebbene critico, giudizio storico sul fascismo, Fini nel novembre 2003, dopo quattro anni di sollecitazioni nell’anticamera, compie il suo viaggio in Israele. Da lì, passando compiaciuto sotto le forche caudine dell’estremismo sionista di Sharon, apre con le sue indecorose e vili dichiarazioni la fase di rifondazione di un neo antifascismo ancora più immotivato e acido del precedente. Per lui si può ben citare, e qui lo facciamo opportunamente, Ezra Pound: “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla o non vale nulla lui”. L’affermazione secondo la quale la R.S.I. è da includere nelle “pagine vergognose della storia”, non solo, resterà per sempre il suo marchio squalificante, ma la più ignobile delle espressioni verso i combattenti e i tanti giovani che con il loro estremo sacrificio riscattarono l’onore di questa italietta.
Ci sono vari aspetti del fascismo che vanno rivisti alla luce di un giudizio serio e severo, ma la R.S.I. resta l’evento più indicativo, più doloroso e nello stesso tempo più fulgido della nostra storia; senza il riscatto dell’onore, l’ombra dell’infamia e del tradimento avrebbe accompagnato gli italiani che antepongono la dignità all’opportunità. Francesco Cossiga, che certo non è privo d’esperienza politica e di fiuto per le “qualità” umane, dice di Fini che “non potrebbe amministrare neppure un condominio di quattro appartamenti” e poi precisa: “È il preferito dal centrosinistra per come si è schierato sul caso Englaro, se non si è circonciso, mentalmente lo è, manca solo che si iscriva all’Associazione partigiani” (Ansa 11/03/2009). Una verifica di questa circoncisione mentale l’abbiamo avuta appena qualche mese addietro, quando Fini ha dichiarato, con l’entusiasmo del neofita, che bisogna perseguire non soltanto l’antisemitismo ma anche l’antisionismo, perché dietro di esso si cela il pregiudizio razziale. Anche qui riemerge la sua povertà culturale. Fini evidentemente non conosce le posizioni di moltissimi ebrei ortodossi, i quali sono in prima linea nel sostenere quanto il sionismo contribuisca ad alimentare l’antiebraismo. Purtroppo con Fini siamo di fronte a un essere non solo senza cultura e senza anima, ma anche arrogante, invidioso, vendicativo e opportunista. È proprio vero che ciò che un essere è potenzialmente alla nascita, egli continuerà ad essere lungo il corso della sua esistenza individuale; ognuno secondo la propria natura. Sono queste convinzioni che ci fanno auspicare un suo declino politico, perché abbiamo ben chiaro che un essere di tal specie nocerebbe al Paese e alle istituzioni, come ha nuociuto al partito e agli uomini che lo avevano accolto. Ritornando all’immagine di Tartufo, non possiamo non completarla con un adagio assai esplicito: “Nell’oscurità, il pidocchio è peggio di una tigre”, ma alla luce del giorno – aggiungiamo noi – un pidocchio è solo un pidocchio.
Bruno Del Re
Estratto da Heliodromos, n. 22 - 21 aprile 2010.
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