domenica 20 ottobre 2013

strage di Gorla - 20/10/1944

Nella mattinata del 20 ottobre 1944  una formazione di quaranta velivoli americani rilascia nel sobborgo Milanese di Gorla una mortale pioggia di bombe. La scuola elementare Francesco Crispi viene centrata in pieno: Centottantaquattro bambini, la direttrice, quattordici maestre, un'assistente sanitaria e quattro bidelli perdono la vita tra le macerie. 
Testimonianza, ancora una volta, di come quando gli eccidi li compiono gli americani, tutto è lecito, perdonabile, dimenticabile...anche se si tratta di innocenti anime dai 7 ai 12 anni d'eta, senza alcuna colpa e con un'intera vita, tutto un futuro davanti. 
Alla commemorazione che ogni anno si svolge a Milano, presso  nessuna televisione, nessuna presenza di fantocci in giacca e cravatta, nessuna lacrima in mondovisione...verità scomode, che a nessuno conviene rendere note, e che tanto meno vanno riportare nei libri di scuola.
A quanto pare la colossale menzogna qual'è l'eguaglianza democratica, si dimostra tale anche per chi non c'è più: esistono infatti, morti che vale la pena di ricordare, e altri che si possono anche dimenticare.
Piccoli angeli di Gorla, a voi va il saluto di chi non scorda i delitti di coloro che, con la pretesa di liberarci, hanno massacrato, predicando pace e amore, la nostra gente.


Testimonianza di Maria Francesca Fontana

"Quel mattino mi recai a scuola come ogni giorno (frequntavo la quarta elementare) e alle 11,30 suonò la sirena di "piccolo allarme". Ci avviammo subito verso il rifugio in cantina, ma, una volta nell'atrio, cominciò a suonare il "grande allarme" che la signora De Benedetti (mia insegnante morta nell'episodio) interpretò come "cessato allarme", mandandoci fuori verso casa. Appena fuori dalla scuola sentii qualcuno gridare "Eccoli la!" ed alzando lo sguardo scorgemmo gli aerei in formazione nel cielo sopra di noi. Restammo alcuni secondi a guardare lo spettacolo, poi la gente cominciò a gridare ed a scappare e i miei compagni di classe tornarono nel rifugio della scuola mentre io, disubbidendo, mi avviai di cosa verso casa. Dopo pochi metri cominciarono a piovere le bombe. Non sentii alcun rumore, ma mi trovai in mezzo ad un caos incredibile: polvere dappertutto, buio pesto come di notte, pezzi di calcinacci e di muri che volavano, gente che gridava. Facevo fatica a respirare e mi sentivo scoppiare i polmoni ma continuavo a correre.

Stavo per arrivare a casa quanto sentii un forte strattone ad un braccio perchè a pochi metri da me era caduta una bomba e lo spostamento d'aria mi aveva strappato la cartella dalle mani (la trovammo il giorno seguente che galleggiava nel cratere piena d'acqua per la rottura delle tubature), uccidendo un uomo che giungeva in bicicletta. Finalmente arrivai nell'androne di casa dove era pieno di gente che si faceva medicare dalla portinaia (aveva la cassetta del pronto soccorso) perchè anche il tram era stato colpito, le rotaie divelte. Ero spaventatissima, ma anche curiosa di notizie dei miei famigliari e compagni, ma restavo ad aspettare nel portone. Poco dopo arrivò mio padre che alla mia vista mi abbracciò piangendo a dirotto e mia madre con mio fratello, che quel giorno erano fuori, che manifestarono nello stesso modo la gioia di vedermi. Ero felice che fossimo ancora tutti insieme.
Mio padre mi disse che aveva cercato come un disperato fra i corpi estratti dalle macerie della scuola e che l'intera costruzione era crollata uccidendo tutti i miei compagni. Allora pensai alla mia compagna di banco Marina Della Valle e a tutti gli altri (di cui ora purtroppo non ricordo i nomi) e piansi. Il giorno dopo girovagai come intontita a guardare cio che rimaneva del quartiere. Non c'era piu acqua nè luce nè gas. Nella via Pirano era rimasta in piedi solo la mia casa e quella del civico quattro.
La scuola, un cumulo di macerie, era piena di genitori che cercavano i propri figli tra i corpi che venivano allineati e, man mano che venivano riconosciuti, messi in casse di legno grezzo con una targhetta con il nome. Venivano poi caricate su camion militari (alcune, ricordo, avvolte nella bandiera tricolore) e portate in Chiesa per il funerale comunitario, erano decine e decine. Là c'erano tutti i miei compagni e questo mi riempiva di sgomento ancor più che l'essere sopravvissuta. Ricordo che di Elena Conte (frequentava la seconda classe) non fu più ritrovato nemmeno il corpo. Quell'anno noi sopravvissuti, una trentina, finimmo l'anno scolastico presso i locali di una circolo ricreativo che era stato risparmiato; si chiamava 'il Boschetto'."



Nessun commento: