giovedì 3 settembre 2015

Campo di Formazione Militante 2015 – recensione

 
 


Tante persone soddisfatte si lamentano sempre, trovano tutto sgradevole: non sanno mai rallegrarsi sinceramente di nulla! Tutto sembra loro noioso perché non si donano mai, perché accolgono ogni istante, in cui occorrerebbe offrire una parte di sé stessi, con l’intenzione ben ferma di dare solo l’indispensabile, e anche questo a malincuore. Tutto è questione di donare. Gli uomini felici sono coloro che donano”. 
Ecco, queste semplici parole del generale Léon Degrelle basterebbero per descrivere lo spirito con il quale si vive il Campo di Formazione Tradizionale, organizzato ogni estate alle pendici del vulcano Etna.
Anche quest’anno è arrivato il momento di partire per la Sicilia, direzione Etna: sacco a pelo, valigia, zaino con tutto l’occorrente necessario – e nulla di più, per partire leggeri, dentro e fuori, con l’indispensabile – per affrontare una settimana dura e gioiosa, intensa, di lavoro ma soprattutto di approfondimenti, riflessioni e sana vita comunitaria.
Si arriva e già si respira tra i camerati un clima diverso, un’armonia che non è propria di questo mondo; si avverte subito la differenza rispetto a quella frenesia e a quell’agitazione che costantemente caratterizzano la vita di tutti i giorni. “No, qui non è così”: è questo il primo pensiero che ti passa per la mente dopo aver vissuto una giornata scandita secondo un “ritmo” assolutamente inedito per chi è abituato alla solita routine cittadina.
 

Può sembrare un paradosso allora – ma non è così – il fatto che con entusiasmo e grande volontà ci si alzi alle 5:30, si lavori sotto il sole, in squadre gerarchicamente organizzate e riunite sotto un proprio stendardo come un’insegna di legione, si mangi tutti insieme senza quell’ansia dell’orario, perché ”non si è sulla terra per mangiare in orario”, ricordarlo non guasta mai; e dopo aver cantato, vissuto momenti di vita comunitaria  si va a dormire in quello che per una settimana è il nostro “albergo” ovvero una camerata spartana con letti a castello e bandiere gloriose sui muri, che rappresenta il necessario, ciò che ci serve, perché quest’esperienza insegna anche questo: ”l’essenzialità”.
Ecco che l’indomani, seppur con sole 5 ore di sonno ci si sveglia più carichi del giorno precedente, con un’energia nuova: è straordinario andare a dormire sentendosi ricaricati” e non “svuotati”, come avviene solitamente nelle nostre case la sera quando si va a letto: qui non si hanno pensieri superflui, si ha la consapevolezza di essersi donati e di aver fatto ciò che doveva esser fatto e l’unico pensiero che può venirti poco prima di addormentarti è quello di donarti di più di quanto hai fatto nel giorno passato, proprio secondo il motto del sacrificio “Risparmia l’altro”. E’ cosi che qui si trascorrono le giornate, in modo del tutto rivoluzionario”, come d’altronde è lo spirito con cui affrontiamo l’ascesa al cratere dell’Etna, come ci indica J. Evola: “Coloro che, in fondo, può dirsi che mai ritornano alla pianura, di quelli per i quali non vi è più né l’andare né il tornare, perché la montagna è nel loro spirito, perché il simbolo è diventato realtà, perché la scorza è caduta. La montagna per essi non è più novità d’avventura, né romantica evasione, né sensazione contingente, né eroismo per l’eroismo, né sport più o meno tecnicizzato.
 
 
Essa si lega invece a qualcosa che non ha principio né fine e che, conquista spirituale inalienabile, fa ormai parte della propria natura, come qualcosa che si porta con sé ovunque a dare un nuovo senso a qualsiasi azione, a qualsiasi esperienza, a qualsiasi lotta della vita quotidiana“. 
Montagna, che rappresenta la metafora ideale di quello che è il nostro percorso e soprattutto di quella che è la battaglia più grande, ovvero quella contro noi stessi. Dopo aver caricato lo zaino con quel necessario che ci servirà per l’escursione – e tutti con la stessa razione di acqua e cibo, per educarci al controllo su noi stessi e per sentirci ancor di più uniti – partiamo da poco più di 1000mt di altitudine per arrivare fino ai 3300mt.
 
Dopo una notte passata nell’ultimo rifugio prima della vetta, sotto un luminoso manto di stelle e riscaldati da vigoroso vino rosso, ascendiamo mentre il sole annuncia i primi bagliori.
 
Arriviamo in vetta stanchi, perché i 2000mt di dislivello si fanno sentire, ma al tempo stesso consapevoli di aver affrontato una nuova prova, utile per la conoscenza di noi stessi, dei nostri limiti, ma anche formativa, perché abbiamo vinto la stanchezza e la fatica del corpo con la lucidità della mente e la perseveranza; e anche se per qualche momento nella mente sono passati pensieri come “ma chi me lo fa fare” oppure “non ce la faccio”, vedendo il camerata affianco si è trovata quella forza di volontà, quella tensione e così si è arrivati in vetta, non per sentirsi dire ““ bravo““ per un appagamento del proprio ego.
 
 
Oltre all’escursione, alle conferenze di approfondimento e di confronto, ai cineforum, il Campo non può dirsi concluso senza quel momento sportivo ed agonistico che è rappresentato dai “Ludi”.
 
 
 
Giochi in cui, con una cameratesca competitività le squadre di lavoro, ognuna con il suo drappo, si affrontano in prove fisiche, di forza ed abilità come ad esempio la lotta con atterramento e il tiro alla fune, o come il percorso, che comprende la corsa, il lancio di un tronco d’albero e una goliardica corsa con la carriola. E cosi tra una sfida e l’altra si giunge alla conclusione anche di questo momento di vita comunitaria, in cui prevale la Lealtà, il Coraggio e la Forza.
 
 
 
E mentre il Campo sta per avviarsi al termine, dopo alcune riflessioni e alcuni spunti interessati di confronto, ciò che emerge maggiormente è la consapevolezza di come quest’esperienza non sia – e non debba essere – fine a se stessa, ma come piuttosto lo spirito, il sacrificio, la lotta e la gioia con cui si è affrontata questa settimana debbano caratterizzare le nostre giornate future, al ritorno nella nostra vita quotidiana, sapendo di esser chiamati ad una dura prova, che in fondo è quella di diventare “Vir” uomini nel senso più vero del termine, portatori di principi eterni e immutabili, come sosteneva Seneca: “Soltanto i degni e i prodi sono stati scelti per tali compiti, mentre i vili e i deboli possono essere lasciati alla vita comoda”. Il compito dunque è quello di esportare quella tensione e quel fuoco che abbiamo appreso qui, in modo tale da far sì che quel motto “Il campo tutto l’anno” possa accompagnarci fino al prossimo appuntamento “qui”, a casa, sull’Etna.

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