mercoledì 16 ottobre 2013

Datemi la guerra!

Ah, per me, dico, datemi la guerra! È meglio cento volte della pace, come il giorno è migliore della notte; la guerra è cosa viva, movimento, è vispa, ha voce, è piena di sorprese. La pace è apoplessia, è letargia: spenta, sorda, insensibile, assonnata, e fa mettere al mondo più bastardi che non uccida uomini la guerra.

 William Shakespeare, Coriolano: atto IV, scena V 

martedì 15 ottobre 2013

Friedrich Nietzsche - in memoriam



"No. La vita non mi ha disilluso. Di anno in anno la trovo invece più ricca, più desiderabile e più misteriosa - da quel giorno in cui venne a me il grande liberatore, quel pensiero cioè che la vita potrebbe essere un esperimento di chi è volto alla conoscenza - e non un dovere, non una fatalità, non una frode. E la conoscenza stessa: può anche essere per altri qualcosa di diverso, per esempio un giaciglio di riposo o la via ad un giaciglio di riposo; oppure uno svago o un ozio; ma per me essa è un mondo di pericoli e di vittorie, in cui anche i sentimenti eroici hanno le loro arene per la danza e per la lotta. "La vita come mezzo della conoscenza" - con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere."


Friedrich Nietzsche, 15-10-1844, 15-10-2013

lunedì 14 ottobre 2013

Ai confini del nero, presentazione editoriale [recensione]

Ieri si è svolta, in una splendida sala sul mare a Civitavecchia, la presentazione dell’ultima fatica di Mario Merlino, “ai confini del nero”. L’evento vedeva coinvolte nell’organizzazione più realtà militanti: oltre ad Azionepuntozero, hanno dato il loro apporto anche la Comunità militante Raido, Il Fascio Etrusco di Cerveteri, Casa d’Italia Colleverde e l’Associazione Culturale Leonidas. Un esperimento, inaugurato con la presentazione di ieri e che proseguirà in futuro. Esso nasce nel segno di una collaborazione per rendere più regolari i momenti di incontro, (importanti opportunità di dialogo e confronto) e che sottolinea come, seppur con diverse declinazioni, la maturità di confrontarsi lavorando per delle piccole iniziative consente la conoscenza e la coincidenza della disposizione d’animo, il cosiddetto “atteggiamento interno”, così caro a Rutilio Sermonti.
Dopo le parole del responsabile di Azionepuntozero, che ha introdotto la presentazione ringraziando i presenti e i relatori – in particolar modo i combattenti e l’Ausiliaria della RSI tra il pubblico - la parola è stata presa da Roberto Rosseti, giornalista rai, che ha introdotto il contenuto del testo.
Nel suo intervento, quest’ultimo ha tratto spunto da alcune parti del libro  per ricollegarsi attraverso anche alcuni aneddoti personali, alla lotta del singolo contro la sovversione del mondo moderno, ovvero il seguire sempre e comunque quella voce interna che guida le proprie scelte e che permette di non essere travolti nel decadimento costante ed irreversibile della società conformistica e livellatrice. Per fare ciò, sostiene il giornalista, occorre rimanere fermi ogni giorno, senza cedimenti e senza compromessi, seguendo sempre il sentiero anticamente segnato da quelle “pietre miliari” che immutabili, ferme e impassibili, fungono da punto di riferimento imprescindibile e che permettono di non perdere mai la direzione giusta, da seguire nel lungo cammino che porta ognuno al compimento del proprio destino. In conclusione Rosseti scandendo la citazione latina “ etiamsi omnes, ego non” (anche se tutti, io no) ricorda come di insidie, in un mondo come quello di oggi dove tutti vanno nella direzione opposta, ce ne sono molte, ed è per questo che si deve, sentendosi  forti della propria diversità, rimanere inflessibili e dritti in un mondo in rovina.

Roberta Di Casimirro ha poi continuato elogiando lo scritto del professor Merlino, eleggendolo come sua opera migliore, in quanto in grado di offrire un notevole coinvolgimento emotivo che trascina il lettore, specialmente colui che è in grado di coglierne gli aspetti profondi. I vari episodi, sono fortemente collegati tra di loro, ed ognuno di essi porta un insegnamento prezioso, da apprendere e attualizzare nel nostro agire quotidiano. Roberta ha sottolineato come fondamentale sia, ancor prima di preoccuparsi di non tradire gli altri, stare ben attenti a non tradire sé stessi, e nell’essere sempre coerenti nel pensiero e nell’azione. Questa continua verifica di sé e rettificazione porta a intraprendere un percorso interiore volto a scavare, a cercare sé stessi. Un percorso che non si interrompe mai, senza pause. Per fare ciò occorre spogliarsi delle ideologie che sono solamente rifugi, ripieghi nel quale l’uomo tende a infilarsi dandosi in questo modo una giustificazione per il suo agire lascivo, vile, scorretto.  Occorre uscire dalla soffocante gabbia imposta dal conformismo ed affrontare la verità, iniziando a lottare contro il mondo esterno. Sempre mantenendosi fermi, dare sempre il meglio di sé in ogni cosa che si fa, contro tutto e contro tutti.
In conclusione, la parola è passata all’autore Mario Michele Merlino - in abbigliamento “alternativo” per l’occasione (con tanto di “sobria” cravatta) - come sempre eccentrico e scanzonato che ha alternato accenni ad alto contenuto dottrinario con qualche piacevole pausa ironica. Nel  suo intervento ha sottolineato come ogni episodio narrato nel libro parli di persone realmente esistite (tranne in un caso) o ancora esistenti, però rielaborate liberamente, secondo il suo stile che si abbandona volentieri al piacere dello scrivere in libertà. Ciò non toglie il grande insegnamento che ogni storia (cinque in tutto) contiene, tutte comunque legate da un filo conduttore che vede ogni protagonista seguire il proprio destino, rendendo grande il proprio animo compiendo le giuste scelte. Scelte dettate dalla stessa visione del mondo, quella Weltanschauung che non ammette compromessi, di abbassarsi al patteggio.  Il Prof. Merlino ha poi auspicato che il lettore debba cogliere nei personaggi descritti il comune sentire che ne determina le azioni di chi combatte l’estrema battaglia del sangue contro l’oro, della Tradizione contro la sovversione. Un sentimento di appartenenza, dunque, che nel cuore di coloro che si sono spogliati dalle zavorre delle ideologie moderne, alimenta il fuoco di un’azione  che esclude ogni forma di tornaconto o soddisfacimento personale, così come ogni sorta di auto giustificazione e debolezza.  Merlino ha poi sottolineato il proprio elogio a tutte le comunità per l’occasione concessagli, ribadendo che  occasioni come quelle di ieri sono la testimonianza che la speranza nel trionfo della Verità è ancora viva, e che come una fiaccola ardente continua a portare luce in un mondo sempre più immerso nell’oscurità.

Un pranzo legionario, come da consuetudine, ha infine chiuso la positiva giornata vissuta interamente … “ai confini del nero”!

domenica 13 ottobre 2013

Su Priebke, a Santa Marinella, si agitano avvoltoi e sciacalli

Ci saremmo voluti risparmiare ulteriori considerazioni intorno al caso Priebke, già la storia relativa alle esequie negate e all'impedimento del legittimo ricongiungimento della salma a quella della moglie, morta anni fa, dovrebbe già bastare ed avanzare. Del resto se si dovessero celebrare funerali in chiesa solo per coloro che debbono andare in paradiso a giudizio dei viventi, le chiese sarebbero chiuse da un pezzo.
Evidentemente però, intorno a tali vicende, avvoltoi e sciacalli non possono proprio fare a meno di agitarsi.

Bisogna Essere degli Stronzi, per sporcare dei muri privati con scritte che non hanno senso.

Bisogna Essere dei dementi, per non amare Santa Marinella, sporcarla e porla al centro di vicende che con essa nulla hanno a che fare.

Bisogna essere dei cani, per non avere il giusto rispetto di un morto, per non avere il rispetto dovuto alle vittime delle Fosse Ardeatine.

Bisogna Essere degli schifosi, per "approfittare" della morte del Capitano Erich Priebke, per inneggiare allo"juden raus", facendo coincidere la morte di un uomo con tali slogan.



Bisogna Essere Dei Vermi, per andare in giro di sabato sera, magari in preda ai fumi dell'alcool o della droga, per associare nomi, vicende, slogan, per sentirsi dei ribelli.

Bisogna Essere Dei Malriusciti, se si va a fare delle scritte su una persona di cui probabilmente non se ne è mai conosciuto l'onore seppur nel travaglio delle proprie responsabilità.

Bisogna Essere Degli Arnesi del Nemico, se si scrive "nostro esempio" e poi - vermi schifosi - non conoscete nemmeno il modo in cui si scrive il suo nome.


Però, si potrebbe essere anche dei provocatori, degli utili idioti, dei depistatori, dei generatori di odio e, su questo, si potrebbe anche rifletterci su.

Poi però ci sono anche vigliacchetti di quart'ordine, che su facebook e in particolare su info@comune fanno i coraggiosissimi che campano su queste vicende per fare gli indignati e per dare per scontato che chi ha fatto le scritte sia di Santa Marinella.
Questi invertebrati - per i quali è sempre pronta una dose di calci in culo - danno del boia (probabilmente in memoria dei propri antenati partigiani comunisti, titini, senza Dio), danno del lurido (probabilmente tenendo a mente le infamie perpetrate sotto le insegne di cui si fa vanto) e dell'infame (in memoria dei propri compagni pentiti delatori da commissariato), ad Erich Priebke, cioè ad un morto.
Un Capitano della SS morto. Non solo.
Con lo spirito delle spie, dei codardi e dei profittatori, chiedono indagini, come nello stile del perfetto animo sbirresco, timoroso e pavido. Certo, su facebook è facile a fare i "matti".

Verrà il tempo nel quale, con le dovute misure, si ristabilirà la verità.
Per ora, si sappia che tra chi - avvoltoio e sciacallo - approfitta di queste vicende per mettersi alla ribalta è preferibile che se ne stia in disparte. Noi non amiamo piagnucolare interventi delle forze dell'ordine.
La memoria è una cosa seria, dell'una e dell'altra parte, nel rispetto delle parti però e su questo non ammettiamo compromessi.

Riposi in Pace, Capitano.



sabato 12 ottobre 2013

E' morto il Capitano Erich Priebke, non un rinnegato

“Una sola cosa conta: avere una vita valida, affinare la propria anima, aver cura di essa in ogni momento, sorvegliarne le debolezze ed esaltarne le tensioni, servire gli altri, spargere attorno a sè felicità ed affetto, offrire il braccio al prossimo per elevarsi tutti aiutandosi l’un l’altro. Compiuti questi doveri, che significato ha morire a trenta o a cento anni, sentir battere la febbre nelle ore in cui la bestia umana urla allo stremo degli sforzi? Che si rialzi ancora,  malgrado tutto! Essa è là per donare la sua forza sino al logoramento. L’anima solo conta e deve dominare tutto il resto. Breve o lunga, la vita vale soltanto se noi non avremo da vergognarcene nel momento in cui occorrerà renderla” (Leon Degrelle, Militia)


L'avvocato Paolo Giachini, difensore di Erich Priebke: "Ha saputo essere coerente, tenere duro. Non si è messo a piagnucolare. Ha saputo fare anche delle autocritiche, ma non ha fatto il rinnegato e questo gli fa onore"


venerdì 11 ottobre 2013

Quello strano colpo di Stato firmato Alba Dorata

Come sempre, non si può permettere che un partito che affermi l'identità di una Nazione alzi troppo la testa. Ecco subito pronte accuse ridicole, false testimonianze, prove inesistenti per incarcerarne gli esponenti: solite manipolazioni democratiche, volte a sopprimere una legittima opposizione politica che comincia a fare troppo rumore...

È davvero una strana inchiesta quella che ha portato al giro di vite contro Alba Dorata, il partito nazionalista greco accusato dalla magistratura ellenica di essere una associazione a delinquere. I fatti sono noti: il 17 settembre il rapper di sinistra Pavlos Fyssas è stato ucciso al termine di una rissa nata in un locale per futili motivi. L’assassino è stato accusato di essere un simpatizzante di Alba Dorata. Poiché, tuttavia, persino nella Grecia governata con pugno di ferro dalla troika la responsabilità penale è ancora individuale, occorreva trovare un modo per estendere un’indagine in grande stile dal presunto simpatizzante a tutto il movimento. L’indagine sulla morte di Fyssas si è quindi intersecata con la messa sotto accusa dell’intera Chrysì Avgì come associazione eversiva dedita alla violenza sistematica. La rissa in cui è morto il rapper avrebbe quindi avuto una regia lucida le cui responsabilità arriverebbero sino al leader stesso del terzo partito di Grecia.
In un crescendo di allarmismi non si capisce quanto fondati, il blitz contro oltre trenta esponenti del movimento nazionalista è stato spiegato addirittura con la necessità di sventare un golpe in atto. Come è stata giustificata questa accusa enorme? L’inchiesta si struttura su almeno quattro livelli.
1) Il governo greco sarebbe stato innanzitutto allertato da un’informativa dei servizi segreti greci e israeliani. L’informativa faceva riferimento al 28 settembre come la data prevista per il colpo di stato. Da qui l’accelerazione della repressione. Trattandosi di informative riservate, di servizi segreti, di indiscrezioni non confermate, è difficile saperne di più. L’efficienza dei servizi segreti israeliani non è certo in discussione, così come, però, una loro tendenza alla “informativa facile” quando si tratta di colpire Stati o movimenti ritenuti pericolosi (vedi le rassicurazioni sulla responsabilità siriana nell’attacco chimico del 21 agosto, sulle prime prese come oro colato dalle potenze occidentali e in seguito ritenute sempre meno affidabili). Su questo livello, tuttavia, sono possibili solo congetture. Ma questo vale anche per i “colpevolisti.
2) Si è anche parlato di infiltrazioni di Alba Dorata nelle forze di polizia. Sul punto, tuttavia, è difficile dire di più rispetto alla nota ufficiale del ministro della Difesa Dimitris Avramopoulos: “Non c’è stato alcun coinvolgimento o partecipazione nella gestione attiva delle forze speciali delle forze armate da parte di membri di Alba dorata”. Dato che il governo greco non è esattamente amico di Chrysì Avgì, una dichiarazione di una tale nettezza appare definitiva. Di sicuro si sa che una percentuale vicina al 50% dei poliziotti greci avrebbe votato per Alba Dorata alle elezioni parlamentari greche del giugno 2012. Il che, avendo ancora gli appartenenti alle forze dell’ordine greche dritto di voto, non è peraltro una colpa.
3) C’è poi la tesi del “doppio livello”: Alba Dorata avrebbe una struttura politica e una militare. A testimoniare tale tesi, le confessioni di alcuni “pentiti”, rigorosamente anonimi, che hanno raccontato le loro scomode “verità” sul volto reale del movimento. Si è parlato di squadre paramilitari pronte all’azione e di sedi piene i “catene e manganelli”. Un golpe fatto a catenate? La ricostruzione dei pm ha inoltre teorizzato il doppio livello facendo riferimento allo statuto che prevede espressamente la separazione delle due attività (politica e attivistica). Eversivi e pure idioti, questi greci che scrivono sullo statuto di celare gruppi paramilitari dietro la facciata politica. Gli stessi pm hanno sottolineato che questa struttura organizzativa sarebbe identica dal 1989. E ci hanno messo ventiquattro anni per scoprirli?
4) La prova più surreale del preteso golpe è infine quello che fa riferimento all’attività web di militanti e simpatizzanti. È stata data molta rilevanza, anche sui media italiani, all’articolo scritto da Ourania, figlia di Mikalioliakos, leader di Alba dorata, sul portale del partito: “Chiedete a voi stessi quanto siete disposti a sacrificare e quanto effettivamente avreste da perdere. Chiedete a voi stessi fin dove siete disposti ad andare. Sì, pochi sanno esattamente cosa voglio dire. Chiedetevi se si può perdere tutto, ma proprio tutto, per un’idea, la nostra idea. Basta chiedere a se stessi. Si può essere uno di noi, si può vivere solo per un’idea? Posso? Possiamo?”. Se questo è un invito al golpe, poteva certo essere più esplicito e meno retorico. E forse anche più riservato (ma l’idea del golpe annunciato via internet fa il paio con quella dell’ala paramilitare messa a verbale nello statuto). Qualche giornale ha anche parlato dei gruppi “militaristi” a cui sarebbe iscritto su Facebook il comandante in pensione Sotiris Tziakos, il capo designato della Grecia post-golpe. Caspita, un ex militare che segue pagine militariste: quando si dice uno scoop…
Insomma, a una prima occhiata, l’idea di un imminente colpo di stato nazionalista non regge. Tanto più che fare un golpe è un’impresa mica da ridere. Servono contatti reali, qualificati con l’esercito, non qualche trombone in pensione o qualche celerino manesco. Servono armi che non siano l’arsenale adatto a una scaramuccia fra ultras. Serve una organizzazione paramilitare interna ferrea, e qui ci si scorda che solo pochissimo tempo fa Alba Dorata era un partito dall’1% e che è improbabile che la crescita di consensi sia dovuta all’ingresso di frotte di soldati politici pronti a tutto. Qualche dubbio, del resto, devono averlo gli stessi giudici istruttori che dopo un lungo interrogatorio hanno incriminato quattro deputati di Alba Dorata ma hanno disposto il rilascio di altri tre in libertà vigilata (Kasidiaris, Panagiotaros e Michos). Pericolosi eversivi rimessi in libertà dopo pochi giorni di carcere?
In attesa di avere reali elementi concreti per giudicare la fondatezza di accuse che per ora sembrano un po’ campate per aria, resta da capire a che punto sia la democrazia in Grecia. È in effetti strano, al di là di qualsiasi giudizio di valore, che uno Stato messo in ginocchio dai diktat di organizzazioni sistematicamente sottratte al voto popolare possa mettere in piedi su basi tanto fragili un giro di vite contro il terzo partito del Paese. Le stesse garanzie formali previste dall’ordinamento greco sembrano essere state sospese: in Grecia, come da noi, vige l’immunità parlamentare ma il ministro degli interni Nikos Dedias ha scritto una lettera al Procuratore della Corte Suprema Euterpi Koutzomani, per chiedere di sospenderla per i deputati di Alba dorata, definendoli membri di un’organizzazione criminale. È la prima volta in Grecia, dal 1974, che alcuni deputati vengono arrestati senza che decada l’immunità parlamentare. Ad Atene, forse, un golpe c’è già stato, ma non per mano di Alba Dorata…


Documenti per il Fronte della Tradizione, fascicolo n.10 - Fascismo e sovversione

"Grazie al metodo democratico che concede alle masse lo pseudo potere di eleggere i propri rappresentanti, il governo giunge nelle mani di pochi uomini corrotti e a loro volta corruttori. Nel sistema democratico l'uomo politico è colui che riesce con mezzi spesso illeciti ed immorali ad estorcere il voto ad un certo numero di persone inidonee a giudicare ciò che sia bene e ciò che sia male per la "cosa pubblica", cioè per lo Stato..."


martedì 8 ottobre 2013

Rolando Rivi: una storia da conoscere e far conoscere

Sui media mainstream, dell'Angelus del Papa si sono solo ascoltate le parole relative alla tragedia di Lampedusa. Della Vicenda del Beato Martire Rolando Rivi, ammazzato dai partigiani comunisti all'età di 14 anni, nemmeno un cenno. Come è solito ....

Il 7 gennaio 2006 alle ore 16,00 è iniziato ufficialmente a Modena, nella Chiesa di S. Agostino, il processo di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio Rolando Rivi, Seminarista morto Martire a 14 anni, ucciso per mano di partigiani comunisti, nel bosco di Piane di Monchio, nell’Appennino Modenese. 

Non conoscevo Rolando Rivi. Alcuni amici mi hanno invitato ad assistere alla cerimonia di apertura del processo di beatificazione così, sabato 7 gennaio assieme ad alcuni li loro, siamo partiti alla scoperta di questo giovane Martire e della sua storia. Alla fine della giornata ci siamo accorti che, conoscere Rolando Rivi, più che una scoperta, è stato un incontro, non solo per noi adulti ma anche per i nostri figli.

Il processo canonico di beatificazione e canonizzazione ha avuto inizio con il giuramento del vescovo di Modena e del Tribunale, in una Chiesa barocca che, a stento, conteneva centinaia di fedeli arrivati da ogni regione. Anche il nostro Vescovo, S. E. Mons. Luigi Negri, ha partecipato con un messaggio inviato a S. E. Mons. Cocchi Vescovo di Modena, di cui se ne ripropone una parte:

“Rolando Rivi è per me uno dei segni più singolari che la Provvidenza ha usato per ricordare a tutta la Chiesa che il nostro cuore deve stare di fronte a Cristo come quello di un bambino, con una totalità che gli ha consentito di subire il martirio, credo con tanta paura, ma con una certezza ed una letizia che hanno giudicato e giudicano ancora oggi i suoi assassini.
Da lui, piccolo ma gigantesco frutto della fede e della carità del vostro popolo, dobbiamo imparare, all’inizio di questo terzo millennio, nello svolgersi talora tormentato della nostra missione, la sua radicale semplicità ed il suo coraggio di fronte al mondo”.

La storia di Rolando Rivi si inserisce in uno dei capitoli più odiosi della nostra storia, quello della guerra civile dell’immediato dopoguerra e, inevitabilmente, ci fa ricordare dei 130 sacerdoti che tra il 1944 e il 1947 furono uccisi in odio alla fede cattolica (cfr “Storia dei preti uccisi dai partigiani” di Roberto Beretta – Piemme 2005).
La sentenza del tribunale emessa dalla corte di Appello di Firenze nel 1952 contro gli imputati dell’omicidio, afferma che il seminarista fu ucciso perché rappresentava “un ostacolo all’espansione locale del comunismo”. 
Oggi i resti di Rolando Rivi si trovano all’interno dell’antica Pieve di San Valentino di Castellarano dove furono traslati il 29 giugno 1997. E’ stato sorprendente constatare come sulla tomba ci siano sempre persone a pregare, a chiedere una grazia. Sono passati oltre 60 anni e la presenza di questo ragazzo è ancora viva a testimoniare come l’amore a Cristo fino al martirio, “Io sono di Gesù”, non conosce limite temporale e parla ancora oggi a ciascuno di noi.
Una vita semplice la sua, determinata dalla propria identità cristiana, testimoniata con tenacia fino alla fine: quando gli chiesero di sputare sul crocefisso e di togliersi la tonaca rifiutò; venne spogliato della veste talare, picchiato. Chi si oppose all’esecuzione dichiarò che la sentenza definitiva fu proclamata con le seguenti parole: «Uccidiamolo, avremo un prete in meno».
Ecco, in breve, il racconto della sua vita.
Rolando Rivi era nato a San Valentino di Castellarano (Re) il 7 gennaio 1931, da Roberto Rivi e Albertina Canovi. Cresciuto in un clima sereno e venne educato cristianamente dalla sua famiglia.
Decisamente vivace e intelligente nella primavera del 1942 confidò al suo parroco, Don Olinto Marzocchini, di volersi fare prete; ad ottobre dello stesso anno entrò nel Seminario minore di Marola (Carpiteti – Reggio Emilia). 
Nel giugno del 1944 il Seminario fu occupato dai tedeschi così i ragazzi e i sacerdoti furono mandati a casa. Rolando Rivi continuò a trascorrere le sue giornate studiando e vivendo da seminarista, continuando ad indossare la veste talare nonostante fosse pericoloso per il clima di odio generato dal fanatismo ideologico che aveva portato un gruppo di partigiani comunisti, durante l’estate di quello stesso anno, a picchiare, in un agguato notturno, Don Olinto Marzocchini. 
“…Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù” così dava ragioni a chi lo pregava di essere prudente e di non indossare l’abito talare.

Il 10 aprile del 1945, dopo aver partecipato alla Messa, tornò a casa, prese i libri e si recò a studiare nel boschetto poco distante, come era solito fare. A mezzogiorno i genitori, non vedendolo tornare, andarono a cercarlo ma trovarono un biglietto con scritto: “Non cercatelo. Viene un momento con noi, partigiani”. Alcuni partigiani comunisti, dopo averlo fatto marciare per 19 chilometri, lo portarono in un loro rifugio dove, dopo tre giorni di torture, lo uccisero con due colpi di pistola mentre in ginocchio, sul bordo della fossa che gli avevano fatto scavare, pregava per i suoi genitori.
Il padre di Rolando, Roberto Rivi, accompagnato dal parroco Don Alberto Camellini, che aveva sostituito Don Olinto Marzocchini, dopo varie ricerche riuscirono a farsi dire dai partigiani dove era il corpo del ragazzo. Chi aveva premuto il grilletto dichiarò “E’ stato ucciso qui, l’ho ucciso io, ma sono perfettamente tranquillo”. Lo ritrovarono sotto un filo di terra; era la sera del 14 aprile 1945.


Autore: Santucci, Simonetta  Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele
Fonte: CulturaCattolica.it

lunedì 7 ottobre 2013

USA: menzogne e sangue per controllare i destini del mondo

Condensate nell'articolo pubblicato qui di seguito, troviamo un'impressionante serie di verità che il mondo moderno assoggettato e narcotizzato si rifiuta di vedere. Confrontiamo dopo la lettura la nostra storia, la storia di quell'Europa che fu patria di secolari civiltà fondate su valori incrollabili, e che giorno dopo giorno vediamo morire sotto i colpi della globalizzazione, del consumismo, del mercantilismo materialista, e del colonialismo made in USA. Chi sono, gli States, per poterci insegnare la cultura e imporci uno stile di vita? guardare al nostro passato ed attuarne attraverso i giusti metodi, per quanto possibile nel mondo odierno, i principi . Salviamo la nostra Tradizione, salviamo l'Europa.

AMERICA,
un paese che pretende di controllare i destini del mondo
Di Gianfredo Ruggiero

 L'America è comunemente conosciuta come la patria della libertà, come la nazione che più di ogni altra ha contribuito all'affermazione della democrazia nel mondo.
Il suo modello di società considerato dai suoi estimatori come l' unico in grado di assicurare a tutti pace e benessere e di stabilire un nuovo ordine mondiale basato sugli ideali di concordia e fratellanza. Ma è proprio così? Siamo proprio sicuri che questa immagine sia reale e non un quadro dipinto ad arte?

Partiamo dalle origini. Nel nuovo mondo venivano spediti direttamente dalle carceri europee i delinquenti di ogni risma, gli ergastolani, gli emarginati e gli avventurieri pronti a tutto. Puritani fanatici e vogliosi di rinverdire i fasti della Santa Inquisizione, cattolici perseguitati dai protestanti, ebrei vittime dei pogrom, affamati, asociali e spostati di ogni sorta. Da tutto ciò nasce la "civiltà" americana.

Ha mosso i primi passi massacrando i pellerossa per sottrarre loro la terra, lasciandoli morire di fame, di inedia e di alcolismo dopo averli ristretti in riserve sempre più piccole e prive di pascoli, la loro unica fonte di nutrimento. è diventata potente con il lavoro degli schiavi africani strappati con la forza alla loro terra e trattati alla stregua di animali domestici su cui esercitare diritto di vita e di morte. Si sono dovuti attendere gli anni '60 per porre fine alla vergognosa segregazione razziale in vigore in molti Stati USA.
Durante il secondo conflitto mondiale l' America ha massacrato milioni di civili inermi nei bombardamenti a tappeto delle città  tedesche. Ad Amburgo come a Dresda perirono, bruciati vivi dagli ordigni incendiari o mitragliati dal volo radente dei caccia, oltre duecentomila civili, per poi completare l' opera con le bombe atomiche gettate su due delle più popolose città  del Giappone.
I prigionieri tedeschi della Wehrmacht, ragazzi di 15 e 16 anni, rinchiusi nei campi di concentramento americani e inglesi venivano volutamente lasciati morire di fame, di malattie e di stenti. Costretti a scavarsi con le mani delle buche dove ripararsi dal freddo o dal sole cocente, sotto lo sguardo indifferente degli aguzzini alleati pronti ad uccidere al primo segno di insofferenza.

A guerra finita i "liberatori"si girarono dall' altra parte quando i partigiani massacravano i fascisti o presunti tali, familiari compresi. Quando riempivano le fosse comuni con i corpi straziati dei giovani soldati e delle ausiliarie, spesso violentate prima di essere barbaramente uccise, arresisi dopo il 25 aprile.
Nel dopoguerra, dopo averci distrutto le città con i bombardamenti terroristici, l'America, con il piano Marshall, ha investito in Italia grandi capitali per farci diventare una sua docile e redditizia colonia. Al riguardo si parla tanto degli aiuti americani, ma si dimenticano gli enormi contributi, veramente disinteressati, provenienti dall' Argentina. Ogni giorno navi stracolme di ogni cosa hanno fatto la spola tra il Paese di Evita Peron e l'Italia, ma di questo nessuno ne parla.

In Vietnam per stanare i Vietcong gli americani non esitarono a bruciare con le bombe al napalm interi villaggi con le persone dentro. Tali operazioni venivano cinicamente chiamate "disinfestazioni".

Negli anni settanta e ottanta l'America ha sostenuto le più sanguinose dittature militari sia in sud America, dove la CIA ha organizzato e finanziato i più cruenti colpi di stato, sia in Grecia e in Turchia con i regimi dei colonnelli. Salvo poi disconoscerli dopo che ebbero fatto il lavoro sporco o essere diventati poco utili ai suoi disegni geopolitici.

L'Iraq, per giungere ai giorni nostri, era uno Stato sovrano, retto da una dittatura non tanto diversa da quella che possiamo trovare nei Paesi islamici amici dell'America come l'Arabia Saudita e gli Emirati arabi, e sicuramente meno feroce di quella cinese con la quale l'amministrazione americana (e l'Italia) intrattiene ottimi rapporti d'affari. Le varie etnie e religioni coesistevano pacificamente (l'ex vice di Saddam Aziz era cristiano) anche grazie al pugno di ferro del Rais. Con gli americani non c'è più un edificio in piedi, neppure i luoghi di culto sono risparmiati e lo spettro della guerra civile è sempre alle porte. Per non parlare dell'economia divenuta totalmente dipendente dall'America dopo che questa si è impadronita del suo petrolio.
Sotto le macerie delle loro abitazioni, distrutte dalle bombe a stelle e strisce, sono morte 160 mila persone e almeno 30 mila bambini; un'intera città, Falluja, è stata bombardata giorno e notte con ordigni al fosforo che hanno bruciato vivi e
corroso migliaia di uomini, donne, vecchi e bambini; ai posti di blocco i soldatini di Obama dal grilletto facile uccidono decine di persone al giorno (come è successo al nostro povero Calipari). Nelle carceri americane dei paesi occupati (vedi Guantanamo) la tortura non è una novità.
In Afghanistan, per rimanere nel campo delle guerre preventive, con l’occupazione è ripresa con vigore la produzione di oppio che serve, beffardamente, a finanziare la resistenza talebana e a drogare la gioventù americana.

L'America conserva un poco invidiabile primato, quello di essere la prima produttrice, esportatrice e utilizzatrice al mondo di armi di distruzione di massa, una vera e propria democrazia a mano armata: dalle bombe atomiche gettate sul Giappone, che ancora oggi mietono vittime a causa delle radiazioni, alle armi chimiche utilizzate in Vietnam e Iraq e per finire agli ordigni all'uranio utilizzati nei Balcani, causa primaria delle morti per cancro tra la popolazione e tra gli stessi soldati, molti dei quali italiani.

Il business degli armamenti rappresenta una voce primaria del bilancio USA: le armi americane sono esportate in tutto il mondo, ovunque vi siano focolai di guerra. Nei paesi poveri scarseggiano il cibo e le medicine, ma non le pallottole made in Usa. Non è un caso che negli ultimi vent'anni la fame del mondo invece di diminuire è aumentata ed è tutt'ora in costante crescita, come la diffusione delle armi.

Le guerre si fanno per vendere armi" afferma il Santo Padre riferendosi alla smania d'intervento in Siria del presidente americano Obama (premio Nobel per...la pace).
Venuta meno la minaccia sovietica ci saremmo aspettati un progressivo disimpegno militare americano in Europa, invece la Nato (leggi America) ha mantenuto sul nostro suolo il suo enorme apparato bellico (113 basi, di cui alcune nucleari, oltretutto mantenute con i nostri soldi). A quale scopo? Per difenderci dalla Svizzera o per rimarcare, anche militarmente, il nostro stato di impotenza e di dipendenza dagli USA? Anche in campo economico l'America si esprime al meglio condizionando con la sua spregiudicata finanza le economie dei popoli. Infatti le due più spaventose crisi, quella del 1929 e quella attuale, hanno avuto origine a Wall Street, dalle operazioni speculative della borsa americana.

La cultura e lo stile di vita americani sono intrisi di violenza: un' arma non si nega a nessuno, neppure agli adolescenti (vedi le ricorrenti stragi nelle scuole e nei campus universitari). Nei sobborghi delle città americane, all' ombra degli sfavillanti grattacieli, l'emarginazione, la violenza e l'alcolismo sono di casa. La stessa cinematografia imperniata sui gangsters, sui cow boys che uccidono gli indiani e sulla forza bruta del potere. Non è un caso che l'America è oggi l'unico paese del mondo occidentale a praticare la pena di morte. Come nei tanto osteggiati Paesi islamici e nelle peggiore dittature comuniste e militari.

L'America è sicuramente un grande Paese sotto il profilo economico e, soprattutto, militare, ma dal punto di vista umano e civile non ha proprio nulla da insegnarci. E rattrista vedere i nostri politici e intellettuali di destra, ma anche di sinistra, guardare con simpatia e ammirazione all'America, come se noi europei, maestri di cultura e civiltà, noi europei, che abbiamo insegnato al mondo a camminare, non fossimo in grado di sviluppare un nostro modello di società , ancorato ai nostri valori di umanità  e di giustizia sociale.

EUROPA RISORGI!

Gianfredo Ruggiero, presidente Circolo Culturale Excalibur Varese