domenica 6 ottobre 2013

Ai confini del nero - presentazione editoriale

Azione Punto Zero, in collaborazione con

Centro Studi Raido - Roma, Il Fascio Etrusco – Cerveteri,
Casa D’Italia - Colleverde, Roma



Domenica 13 Gennaio alle ore 11
Presso la Sala della Repubblica dei Ragazzi
In Via Aurelia sud, 84 a Civitavecchia Roma



Organizzano
la presentazione editoriale dell'ultima opera letteraria del Prof. Mario Merlino,



“Ai confini del Nero”



Oltre alla presenza dell’autore saranno presenti
La Dott.ssa Roberta Di Casimirro, regista Rai
Roberto Rosseti, giornalista Rai 



La giornata si concluderà con un pranzo per il quale è necessaria la prenotazione


Mario M. Merlino: ‘Ai confini del nero’

Ho davanti a me, su questa scrivania, dove arrangio anche questo ‘pezzo’, l’ultimo dei miei figli (forse, più esattamente, un ennesimo me stesso ove contemplarmi e compiacermi)… Ai confini del nero, il suo titolo con la copertina grigio-scura e la fotografia realizzata da Simone e ridefinita da Marco. Copertina nata mentre si percorreva la via Tiburtina, poco dopo il complesso carcerario di Rebibbia. Ad altro era rivolta la nostra attenzione, poi questo edificio alto scheletro dismesso senso di abbandono fine di un mondo desolazione (Bakunin rilevava che nello spirito della distruzione si annidano già le premesse dell’edificazione; Nietzsche, filosofo e poeta dal linguaggio asciutto ed abissale ammoniva che ‘là dove ci sono sepolcri, là vi sono resurrezioni’).

Ora del tramonto, tripudio e incendio di luci gioco di ombre… L’ora in cui per il filosofo Platone si addensano i pensieri e Giulio Cesare invita, nel silenzio della tenda, di prendere tavoletta e stilo e misurare quanto e come si è vissuto il giorno. Poi Martin Heidegger annota, dopo aver trascorso la notte ospite di un suo ex allievo, mentre, su Friburgo, le bombe alleate si divertono a devastare, annientare, radere al suolo quanto di cultura tedesca ed europea aveva sfidato per secoli il mondo: ‘Il tramontare è diverso dal perire. Ogni tramonto resta al sicuro nel sorgere’.

Una copertina che può apparire decadente, con la mia immagine da hippie che non favorisce i colori dell’arcobaleno le api che succhiano il polline le formichine laboriose i bambini che saltellano sul marciapiede… Forse una provocazione, non so. Però non è così: ho sempre a mente il testimone che Robert Brasillach ci ha lasciato, poco prima di essere portato davanti al plotone d’esecuzione, a conclusione di Lettera a un soldato della classe ’40 quella fierezza e quella speranza a cui abbiamo tentato di tenere fede. E la gioia di vivere, senza la quale non vi sarebbe premio, la fierezza finirebbe in testardaggine e la speranza in illusione…

Dunque la copertina si offre al mio sguardo e, se fossi capace di usare lo skanner (?), l’avreste anche voi… beh, magari venite a qualche prossima presentazione o l’ordinate in libreria… mi darete ragione. La luce che filtra e colora d’una calda aurea atmosfera il luogo abbandonato alla nientità non può evocare funerei pensieri, lande desolate, malevoli storie. E la luce del sole, pur nel volgersi alle ore della sera, ben corrisponde a quella luce che pervade le storie che compongono il contenuto del libro. Cinque in tutto, come furono in Atmosfere in nero, con qui delle dediche più lunghe e un fuori programma tutto personale.

Chi sono i protagonisti di questa raccolta se non, salvo in un caso, persone esistite o ancora esistenti, pur nell’arbitraria rielaborazione di un momento della propria esistenza. Il vero il verosimile la libertà dello scrittore. E ci insegnano che si può avere un animo grande. Si può scegliere, comunque e nonostante tutto, con uno scatto di reni, un attimo di follia, per un sì o per un no e magari senza sapere cosa si cela dietro l’uno o l’altro. Intensità o durata… Negli ultimi anni dietro la cattedra avvertivo l’astrattezza delle idee dei concetti delle teorizzazioni delle visioni sistematiche protese ad essere onnicomprensive e finire per essere divoratrici dell’esistente. E, al contrario, la vecchia storia piena di aneddoti, di uomini e di donne, e dei filosofi che abbracciano i ronzini percorrono le vie di Koenigsberg con il medesimo passo e alla medesima ora cercano l’immortalità bevendo la polvere del ferro limato…

Abbandoniamo il mio libro al suo destino… Ogni lettore lo renderà a se stesso con la propria sensibilità attenzione interesse oppure lo respingerà fuori dal proprio mondo. Era forse per questo che Socrate non volle avere nulla a che fare con la parola scritta e Platone rimprovera il dio egizio Toth per aver insegnato agli uomini l’uso della scrittura. Avremmo trovato la nostra strada anche su un libro dalle pagine bianche… Eppure, eccomi qui a scrivere, scrivere per vincere la morte, scrivere per sentirmi meno solo, scrivere per lanciare ponti verso gli altri la natura e, chissà, qualche oscura divinità, scrivere per vanità per dispetto per riderci sopra o per rabbia, per essere fedele ai ‘confini del nero’ dove ho collocato ‘la torre del nostro orgoglio e della nostra disperazione’.

Mario M. Merlino
fonte: http://www.ereticamente.net

sabato 5 ottobre 2013

Nanni De Angelis - in memoriam

23 anni fa cadeva in cella "piccolo Attila". La tua lotta vive in noi...Nanni, Presente!

Nanni De Angelis. 5/08/1980 - 5/08/2013


venerdì 4 ottobre 2013

8 MAGGIO 1945: LA FUCILAZIONE DI KARLSTEIN


A Bad-Reichenhall, una cittadina poco distante da Salisburgo, è presente la testimonianza di una tragica storia troppo poco conosciuta. Nel maggio 1945, un gruppo di dodici francesi appartenenti alla divisione della Waffen-Grenadier delle SS “Charlemagne”, facenti parte della Legion des Volontaires Francais (volontari arruolatosi a fianco della Wehrmacht nella lotta contro il bolscevismo) e protagonisti della disperata ed estrema difesa di Berlino, furono internati nella caserma degli Alpenjager della piccola località tedesca, dopo essersi consegnati al nemico.
In seguito alla notizia dell’arrivo sul posto di truppe francesi della seconda divisione corazzata comandata dal Leclerc, essi tentarono una rapida fuga, ma vennero sorpresi. Il generale chiese loro il motivo per il quale indossassero una divisa tedesca, pur essendo francesi: in risposta essi gli fecero notare che il rimprovero giungeva da una persona che vestiva la divisa americana. Reputato quest’ultimo fatto come un atteggiamento insolente, essi vennero condannati a morte senza processo.
La terribile esecuzione ebbe luogo l’8 maggio nell’adiacente Karlstein, in una radura, non fu effettuata tutta in volta bensì in gruppi di quattro, di modo che, ad eccezione del primo gruppo, le SS potessero veder morire davanti ai loro occhi i propri Camerati. Tutti rifiutarono di indossare la benda e caddero coraggiosamente gridando “vive la France!”.
I corpi furono sepolti sul posto e quattro anni più tardi, nel 1949, furono riesumati e trasportati al cimitero di Bad Reichenhall, dove ancor oggi riposano. Nel luogo della sepoltura, sul muro, vi sono quattro lapidi: La prima porta i nomi di 4 tra i caduti (Paul Briffaut, Robert Doffat, Serge Krotoff, Jean Robert) più l’indicazione che otto sono sconosciuti, accanto all’emblema della divisione; la seconda il tricolore francese e il motto “Il tempo passa, il ricordo resta”. Nella seguente è inciso il Giglio di Francia con dodici fiori a ricordo dei dodici fucilati, più la dedica “Ai dodici valorosi figli della Francia che l’8 maggio 1945 a Karlstein da prigionieri furono uccisi dal vincitore senza processo”; l’ultima, più recente, una lapide nera con croce a sinistra e ascia bipenne a destra, reca la scritta in francese “essi in ginocchio fecero il giuramento.. Camerati presenti!”

Il loro sacrificio ci ricorda oggi l’altissimo Valore di uomini che, andando oltre il patriottismo e il sentimento nazionalistico, sono partiti volontari in nome di un’Idea comune che sentivano in dovere di difendere fino al costo della vita. Essa, oggi arde e vive nel cuore di chi sente l’appartenenza ad un Europa che affonda le proprie radici in una secolare storia. Essi hanno dunque donato loro stessi nell’estrema lotta del sangue contro l’oro, della visione organica, verticale e gerarchica contro la visione particolaristica, orizzontale e livellatrice, e pur non avendo un legame di parentela stretta col popolo tedesco, ne superarono le divergenze in nome di un bene
più alto.
Allo stesso tempo, palesa la codardia di chi, prostrato al potente, sentendosi vincitore e in grado di decretare sentenze senza alcun rispetto e senza morale, ha fucilato i propri connazionali costringendoli oltretutto alla sofferenza di veder cadere i propri fratelli uno dopo l’altro. Non ci vuole molto a capire che se questi sono i gesti di chi si proclama portatore di amore e libertà, qualcosa non torna…
Ogni anno si svolge al cimitero una cerimonia in ricordo di questi uomini, esempio di un amore incondizionato, che hanno incarnato pienamente l’Imperium svincolandosi dai paletti imposti da un patriottismo che solitamente acceca gli occhi che, se lucidi, aprono ad orizzonti più vasti, appartenenti ad una Tradizione universale che accomuna nella lotta gente proveniente da ogni angolo d’Europa.

Un equipaggio di AzionePuntoZero di passaggio a Bad-Reichenhall, ha voluto rendere onore ai camerati caduti con un presente: in questo modo, ai dodici valorosi va anche la nostra memoria, e il pensiero che il loro esempio è testimonianza che la possibilità di una vera Europa unita esiste, e che le voci possono, nonostante le diverse lingue, unirsi in un solo coro invocante una rivolta contro la sovversione del mondo moderno.



venerdì 27 settembre 2013

C'hanno detto "Ragazzi, qualcuno si era sbagliato, adesso tutto cambia, viva il libero mercato".

Ma c'è qualcosa che stuona in questo ragionameno,

qualcosa che non perdona, qualcosa che resta nel vento.

 Saranno le voci di molti che ci hanno già lasciato,

 e non mi pare siano morti gridando "viva il libero mercato".

 

mercoledì 25 settembre 2013

"I Proscritti" di Ernst Von Salomon: la rivolta contro la decadenza morale del primo dopoguerra

Pubblichiamo un passo de "I Proscritti" di Ernst Von Salomon, di cui oggi cade l'anniversario di nascita . 
In quest'opera autobiografica, vengono descritti gli anni della nascita della repubblica di Weimar: anni di crisi morale profonda, dove viene calpestato ogni valore e annullato il senso profondo d'identità delle genti tedesche. Le disorientate giovani generazioni si ribellano, e tra essi, il protagonista che si arruola nelle Freikorps per dar voce a quella eroica rivolta dello Spirito Europeo e contrastare il tramonto dell'occidente. 

"Era già sera quando mio fratello mi condusse in un locale dove era solito incontrare degli amici: un circolo di uomini, alcuni più, altri meno giovani,
che occupavano il loro posto nella vita e si muovevano ed esprimevano con infinita sicurezza. Chiuso in un silenzio ostinato, ascoltavo i discorsi e la musica. Il locale era gremito, aveva pareti nude, di una tinta opaca e i pilastri lisci che mandavano un luccichio metallico. Sulla pedana c' erano dei suonatori con strani strumenti neri con un quantità di tasti d' argento.
Per innumerevoli domeniche, sospeso alla finestra della cella, avevo testo l' orecchio ai suoni confusi che arrivavano da un punto qualunque della città, forse un concerto sulla passeggiata cittadina, lontano dalle mura e, così almeno me lo figuravo, ascoltato da una folla estiva.
La musica che ascoltavo ora in quel cafè era forte e stranamente miagolante: si riduceva in fondo solo al ritmo e ricordava vagamente Grieg. L' ascoltai incuriosito, domandandomi se era ingenua o raffinata,poi mi arrabbiai perchè non era ne l' una ne l' altra, era semplicemente incomprensibile. Non ero affatto preso dalla musica come avevo sognato, e dubitavo di possedere anche un briciolo di comunicativa. 
Ogni tanto l' uomo che era sul podio direttoriale, un personaggio in frac, assai elegante e sicuro di se, afferrava un imbuto di latta e se ne serviva per mugolare nella sala, con espressioni rapite, qualcosa che doveva avere un effetto inebriante poiché i visi nudi di molte donne prendevano un' espressione nervosa, agitata, sensuale, e le loro gambe e le loro spalle si mettevano a sussultare. Poi cantò un negro e tutti i visi si voltarono verso di lui.
Sebbene la piena delle mie sensazioni mi confondesse, continuavo a starmene comodamente adagiato in una morbida poltrona. 
Bevvi un caffè che mi sembrò stranamente caldo e mi sforzai di accogliere in me tutto ciò che mi si offriva. I signori discutevano da dietro i loro occhiali brillanti, cerchiati di tartaruga, di politica, di automobili e di donne. Udii cose che mi erano completamente estranee e che mi sconcertarono, ma che fui costretto a credere, dal momento che se ne parlava con tanta disinvoltura e sicurezza. Sentivo, bruciando di vergogna, la mia assoluta insufficienza. Avrei fatto volentieri una quantità di domande, ma non essendo in grado di discorrere con gli altri su tutte quelle cose, mi sentivo in uno stato di inferiorità. Ero pieno fino a scoppiare dell' avventura della completa assenza di avventure; ogni volta che volevo pronunziare una parola mi tratteneva il timore di non poter uscire dal mondo circoscritto nel quale avevo vissuto fino allora. Tutti avrebbero fatalmente capito dal mio modo di esprimermi, pensavo, di qual mondo speciale di trattasse. Ciò non ostante, ero divorato da una voglia bruciante di parlare. Volevo formulare delle domande, volevo arrivare, attraverso quale caos di parole e di opinioni, fino a una qualche sostanza, volevo correre all' assalto per spezzare il cerchio dove ero imprigionato, ma ogni mio slancio era un salto contro un nastro di gomma.
Ma in realtà quelle persone così sicure di se non erano anche loro in certo modo incatenate? Riuscivano forse a varcare i loro limiti? Conoscevano l' avventura del sacrificio di se che solo da il diritto di spezzare i vincoli? Era questa la libertà che sognavo? Tutto ciò che quegli individui dicevano non era in fondo distorto ed unilaterale nella sua apparente versatilità? chi di loro era cosciente dell' istante in cui viveva? Chi di loro aveva costruito la sua vita come si dovrebbe costruirla se si fosse veramente liberi? In realtà avevano tutti una commuovente, sazia scontentezza mentre la mia bruciava e trafiggeva.
Il bilancio dei miei cinque anni era infondo attivo. Non l' avrei sopportato, diversamente. Ma non dovevo cader preda dello spirito borghese che è rigido, forse capace di movimento ma non vivo. E io dovevo vivere, vivere! Ero stato troppo tempo immobilizzato perchè potessi aspettare ancora di vivere. La legge della monotonia, che mi aveva dominato cinque anni, aveva sotto di se anche quei signori intelligenti, furbi, agitati. Ma in me c' erano fermenti che mi vietavano il passaggio da ceppi in altri ceppi; che mi lanciavano dalla paralisi nell' infinito, nella gioia, nell' inflessibilità: cose che sono al disopra delle parole.
Uscimmo finalmente e attraversammo la città vecchia. Mentre nelle strade principali sfavillavano lumi brillanti, qui la luna pendeva su comignoli aguzzi, contorti, e i gatti scivolavano con le code alzate sui tetti. Ciò che vedevo mi appariva irreale nella sua realtà e appunto per ciò provavo un senso di benessere. Non potevo più sopportare linee rette, e proprio quella confusione, inondata dal chiarore lunare che pur gettando ombre raddolciva ogni cosa, quella molteplicità che sola animava il cielo, mi davano poco a poco pace e sicurezza. Ero libero. Cinque anni della mia vita erano sommersi ed obliati."

Ernst Von Salomon

lunedì 23 settembre 2013

(neo)Fascismo e tradimento

Un articolo interessante, da leggere e riflettere, che ben chiarisce il perché prima di sparare sentenze a destra e a manca, e sbandierare ai tradimenti, bisogna imparare ad essere giudici severi di sé stessi e delle proprie azioni.
Nel cosiddetto “ambiente” (cosiddetto di Destra) è spesso un gran vociare di “tradimenti” vari, visto che va sempre di gran moda la gara a chi è più intransigente e ortodosso. Il più grande, a detta di molti, quello di Fiuggi: la cosiddetta svolta del Msi in Alleanza Nazionale (1995).
Lasciando da parte il fatto che non ci è chiaro di quale “tradimento” si parli, visto che il Msi – camerati caduti ed alcune rare personalità a parte… – non è mai stato un vero movimento nazional-rivoluzionario, e perciò identico nella sostanza alla sua successiva evoluzione (An), quello che vogliamo qui evidenziare è come il “tradimento” sia una sorta di costante del (neo)fascista.
Ebbene si. Perché se si inorridisce per la svolta aennina bollandola come scelta eretica e infame, e prendendola come riferimento del tradimento maximo per eccellenza, allora bisognerebbe fare un pochino di più ampia autocritica richiamandosi alla precedente esperienza Fascista (con la F maiuscola) per capire dove – per così dire – Fiuggi o tutti gli altri “tradimenti”, piccoli e grandi, traggano origine storica e… antropologica.
Il tradimento del 25 luglio, che costò a Mussolini e all’Italia umiliazioni e dolori profondi, non è il tradimento pour excellence della storia fascista. Nemmeno l’8 di settembre, tanto più che, in quel caso, a macchiarsene non furono dei fascisti.
Il tradimento dei tradimenti fu quello dei tantissimi giovani fino a quel momento allevati dal Regime come fucina d’élite e futuri quadri dirigenti dello Stato fascista. Ci riferiamo a quel vasto mondo giovanile che, per anni, animò l’ambiente interno al triangolo: “Guf”-”Scuola di Mistica Fascista”-”Littoriali”. La denuncia, che non è nostra e non è di oggi, ha avuto in Nino Tripodi e nel suo libro-denuncia “Italia fascista in piedi!” il suo massimo paladino. Tripodi che fu littore e fu “gufino” (appartenente cioè ai Guf, i Gruppi Universari Fascisti) racconta con dovizia di particolari il tradimento di quella generazione che fece dell’intransigenza e della (allora di moda) “bonifica integrale” i propri cavalli di battaglia. Forse non erano veramente di “battaglia”, bensì di “Troia” (i cavalli, si badi bene, e non “figli di…”!), fatto sta che quei giovani così solerti e accaniti animatori delle riviste del tempo (ufficiali e controllate dal Pnf), battaglieri polemisti e vivaci intellettuali, così solerti al richiamo di Marte distruggitore e dello Stato Totalitario, Gerarchico e Corporativo, finirono in molti, quasi tutti, riciclati nel successivo regime democratico. Non come esponenti di terzo o quart’ordine, ma come “prima linea”: Aldo Moro, Amintore Fanfani, Paolo Emilio Taviani, come anche i Guttuso e tanti altri nomi oggi un pò meno noti, venivano tutti dai Littoriali (una sorta di “Oscar” – ci sia passato il paragone… – della cultura fascista giovanile).
Ma, già allora, mentre c’erano i littori bravi solo a parole, c’erano quelli che, davvero, andavano fino in fondo, e coerentemente, alternavano all’impegno “culturale” anche quello militare, andando a servire in Africa Orientale, e poi in Spagna, fino alla Guerra Mondiale vera e propria. E, guarda caso, proprio quelli meno solerti a partire per la guerra, saranno poi quelli più rapidi e convinti nello smobilitare la camicia nera per prendere la tessere del Psi o del Pci clandestini. Magari retrodatando di qualche mese il tesseramento, giusto per non risultare ancora troppo in odore di Fascismo.
I peggiori, però, li troviamo proprio in seno alla Scuola di Mistica Fascista. A fianco dei migliori, della vera élite, infatti, troviamo gli Zangrandi, i Gatto, ed altri che erano membri effettivi della Scuola. Quella stessa Scuola che declamava, animata dai Giani e dai Pallotta, la necessità «di avere coraggio», covò senza saperlo diverse serpi in seno. Serpi al punto che, per rifarsi una verginità politica, non esitarono a dare alle stampe copiose pubblicazioni a partir dagli anni ’60, in cui smentivano in maniera puerile e fantasiosa, ogni loro legame col Regime mussoliniano.
Ecco la lezione, dunque. Se a Fiuggi è stato possibile un “tradimento” – posto il fatto che vale quanto già detto sopra…- è solo perché dalla lezione magistralmente offerta (in negativo) da quella generazione di imboscati e doppiogiochisti non si è tratto nulla. Non v’è stato alcun processo a quella generazione e, soprattutto, il verdetto non è stato recepito da chi è venuto dopo. Questo potrebbe così sintetizzarsi: prima di invocare la “bonifica integrale” verso questo o quello, bisognerebbe avere la forza di invocare l’intransigenza verso se stessi, misurandola realmente e non solo a parole. Un insegnamento tanto semplice quanto dimenticato.
Molti dei “mistici” – e sappiamo su quali esempi viventi ed energie potevano contare allora quei giovani – furono solo degli abili virtuosi della parola, fautori di sofismi mussoliniani e nulla più. Eppure, leggendo quelle loro pagine, chi vi scorgerebbe il seme del tradimento e dell’antifascismo? Sono righe magistrali e profonde. Ma sono nulla senza l’esempio e, infatti, alla prova dei fatti questi giovani si rivelarono per quello che erano: banderuole pronte a cambiar di direzione, appena fosse cambiato il vento.
Noi cosa avremmo fatto al loro posto? Il 25 luglio avremmo tradito? E’ questa la domanda che deve assillarci, “disperatamente”, ogni giorno. Fanaticamente e profondamente rispondere ogni giorno non alla mattina quando ci si alza, ma alla sera, quando è possibile fare i conti con quello che si è realmente fatto durante il giorno. Rispondere con l’intransigenza di un supremo giudice, il cui verdetto è “si” oppure “no”, mettendo al bando il condizionale ed il “forse”. Solo così potremo approcciarci, con «intelletto d’amore», per usare le parole di Arnaldo, a queste grandi figure del passato con la certezza di poter dire “Non ho tradito”.

Andreia Nikelaos
fonte: AzioneTradizionale.com

giovedì 19 settembre 2013

E' come guerriero che fai l'amore e come amante che fai la guerra


E' amore solo quello del guerriero pieno della vastità del deserto, e, nell'imboscata attorno ai pozzi, chi fa dono della vita è solo l'amante che ha saputo amare, perché altrimenti l'offerta del proprio corpo non è né un sacrificio né un dono fatto per amore. Poiché se chi combatte non è un uomo ma un automa e una macchina distruttrice, dov'è dunque la grandezza del guerriero? Io non vi scorgo altro se non un lavoro mostruoso d'insetto. E se colui che accarezza la moglie non è che un'umile bestia sulla lettiera, dov'è dunque la grandezza dell'amore?
Non conosco nulla di veramente grande se non nel guerriero che depone le armi e culla il bambino, o nello sposo che fa la guerra.
Non si tratta di oscillare da una verità all'altra, non si tratta di una cosa valida soltanto per un determinato tempo. Ma di due verità che non hanno valore se non congiunte. E' come guerriero che fai l'amore e come amante che fai la guerra.

Antoine de Saint-Exupéry, Cittadella

mercoledì 18 settembre 2013

Sabra e Chatila, trentun' anni dopo..


Dalle invenzioni sull'odierna Siria, alle stragi del passato. Il filo diretto delle menzogne d'oggi e delle stragi dimenticate di ieri. I grandi poteri internazionali celano i propri orrori dietro la maschera falsa della democrazia portatrice di libertà, e di una globalizzazione che dovrebbe vederci tutti ben chinati di fronte al dio denaro.
Nel silenzio di chi nasconde i veri crimini contro l'umanità, riecheggiano le voci delle donne e dei bambini di Sabra e Chatila....

" (..) Ed eccoci di nuovo qui, a Sabra e Chatila. Due giorni dopo l’attentato, tra la notte del 16 e la mattina del 18 settembre, l’esercito israeliano supportato dagli americani oltre che dalle Forze Libanesi (la coalizione di governo diretta da Gemayel) usano il pretesto dell’assassinio per perpetuare uno dei massacri più truculenti degli ultimi decenni. Alla periferia di Beirut, proprio nel campo di profughi palestinesi, le squadre cristiano-sioniste compiono un massacro senza precedenti. Nelle vie strette ed intricate del sobborgo libanese, l’incursione militare provoca la  morte di migliaia di persone (le stime parlano di 3.500 civili). Sul carattere politico degli squadristi la versione ufficiale racconta che ha sporcarsi le mani di sangue sarebbero state le milizie cristiane, nonostante nel 1982 l’area fosse monitorata dall’esercito israeliano. È noto, infatti, come gli israeliani oltre ad essere presenti durante le incursioni a Sabra e Chatila, siano stati i veri mandanti assieme ai vertici nordamericani. Recentemente, in un articolo intitolato “il massacro che poteva essere evitato”, apparso sul New York Times, Seth Anziska, ricercatore alla “Columbia Univerity, è riuscito a raccogliere dei documenti storici i quali contengono le conversazioni tra le elite statunitensi ed israeliane avvenute in quel periodo. Tra questi è spuntato un documento del 17 settembre 1982, che racconta l’incontro avvenuto tra il ministro della Difesa Ariel Sharon e l’americano Morris Draper, consigliere del presidente sulle questioni mediorientali.  “Se avete paura di trovarvi implicati in quest’operazione non ci sono problemi, basta che gli Stati Uniti smentiscano ogni tipo d’implicazione o conoscenza del massacro, e noi confermeremo le smentite” avrebbe detto il ministro israeliano al suo interlocutore, e ciò starebbe a significare, come afferma l’autore, che Tel Aviv fosse al corrente fin dall’inizio dei massacri in corso.
Dopo la strage, il silenzio della comunità internazionale è assordante. Solo il 25 settembre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni condanna i massacri sionisti, ma gli Usa votano contro, consolidando quell’alleanza sacra tra Washington e Tel Aviv, che negli anni a venire lavorerà a congiuntamente nella destabilizzazione del Medio Oriente. Nessuna commissione ufficiale d’inchiesta, nessun colpevole realmente identificato e giustiziato. Nessun eco nei media occidentali su quel massacro che ha devastato la coscienza di quei rifugiati che dal 1952 vivono e crescono nella miseria. Qualche parola la spende solo Sandro Pertini, all’epoca Presidente della Repubblica italiana. Affermerà il 31 dicembre del 1983 “io sono stato nel Libano. Ho visto i cimiteri di Sabra e Chatila. È una cosa che angoscia vedere questo cimitero dove sono sepolte le vittime di quell’orrendo massacro. Il responsabile dell’orrendo massacro è ancora al governo in Israele. E quasi va baldanzoso di questo massacro compiuto. È un responsabile cui dovrebbe essere dato il bando dalla società”. Nessun bando dalla società per Ariel Sharon, (nonostante Israele abbia riconosciuto la sua responsabilità indiretta) che trent’anni dopo la strage è ancora impunito. E a trent’anni dall’accaduto, per i rifugiati di Sabra e Chatila, non è cambiato nulla. La comunità internazionale li ha già dimenticati. Noi no. Testimoniare è un obbligo."

Tratto da un'articolo pubblicato sul quotidiano nazionale Rinascita

martedì 17 settembre 2013

Commemorazione dei Caduti di Rovetta - ROMA 15/09/2013

Leggere di un fiato, la lunga lista dei 43 giovani e giovanissimi, (tra i 15 e i 22 anni) trucidati barbaramente dai partigiani a Rovetta, mozza il fiato e fa salire un enorme nodo alla gola, assieme ad un sentimento di  rabbia indescrivibile. Azionepuntozero, finalmente insieme alla Delegazione del Raggruppamento Combattenti e Reduci RSI - Continuità Ideale del Lazio, non manca alla commemorazione, tenutasi domenica mattina al cimitero del Verano, di quei valorosi legionari che hanno sacrificato la propria vita per la Patria. Organizzata dall'Ass.ne Reduci 1^ Legione 'M' d'Assalto Tagliamento - Comitato Onoranze Caduti di Rovetta, la cerimonia si è tenuta alla Tomba dei Caduti dopo il corteo d'ingresso. Nei vari  interventi susseguitisi, da parte di numerosi Combattenti RSI (ha colpito in particolar modo quello di Stelvio Dal Piaz) è emerso un impietoso paragone dell’Italia d’oggi, inerme e sottomessa il cui prodotto sono le nuove generazioni disorientate e schiave delle mode, con l’Italia d’allora, un'altra Italia nella quale i giovani avevano davanti a sé degli obbiettivi, un futuro, e dentro di loro c’era l’orgoglio di esser nato in un Paese dalla secolare e illustre Tradizione. Essi erano pronti a vestire le divise militari già da giovanissimi, e non lo facevano perché obbligati, ma perché consapevolmente fieri di poter contribuire alla lotta per la vittoria della propria Nazione. Il sacrificio delle 43 valorose anime non è caduto nel vuoto, ma si staglia alto nel cielo, come monito e testimonianza di vita.
Un messaggio indelebile che la gioventù che non ha voluto piegarsi lascia a coloro che ancora, diversificandosi dagli altri, sono in grado di coglierlo nel baratro oscuro della società d’oggi. La lettura dell’elenco dei nomi, ognuno scandito dal “presente!” simboleggia che i ragazzi di Rovetta vivono e lottano ancora, al fianco di chi cerca ancora, oggigiorno, la sconfitta del regime democratico liberal-capitalista.
Di seguito la Santa Messa, il rancio legionario, presso un ristorante nella zona

Dopo la cerimonia ed i saluti, l’equipaggio di AzionePuntoZero ha voluto rendere onore anche ad altri camerati caduti, sepolti al Verano, lasciando fiori, rose e memoria ai loro sepolcri.

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giovedì 12 settembre 2013

L'impresa di Fiume - 12/09/1919


L'impresa Fiumana di 94 anni fa, vide D'Annunzio, a capo di circa duecento volontari (numero poi aumentato considerevolmente lungo il tragitto), in massima parte Granatieri, partire da Ronchi e irrompere senza praticamente incontrare resistenza, a Fiume. Qui il poeta instaurò una reggenza che durò 15 mesi: un' oasi di slancio e ardimento nell' Italia martoriata e malconcia del primo dopoguerra...

« Italiani di Fiume! Nel mondo folle e vile, Fiume è oggi il segno della libertà; nel mondo folle e vile vi è una sola verità: e questa è Fiume; vi è un solo amore: e questo è Fiume! Fiume è come un faro luminoso che splende in mezzo ad un mare di abiezione... Io soldato, io volontario, io mutilato di guerra, credo di interpretare la volontà di tutto il sano popolo d'Italia proclamando l'annessione di Fiume. »
(Dal discorso tenuto da D'Annunzio il 12 settembre dal Palazzo del Governo di Fiume)