mercoledì 18 settembre 2013

Sabra e Chatila, trentun' anni dopo..


Dalle invenzioni sull'odierna Siria, alle stragi del passato. Il filo diretto delle menzogne d'oggi e delle stragi dimenticate di ieri. I grandi poteri internazionali celano i propri orrori dietro la maschera falsa della democrazia portatrice di libertà, e di una globalizzazione che dovrebbe vederci tutti ben chinati di fronte al dio denaro.
Nel silenzio di chi nasconde i veri crimini contro l'umanità, riecheggiano le voci delle donne e dei bambini di Sabra e Chatila....

" (..) Ed eccoci di nuovo qui, a Sabra e Chatila. Due giorni dopo l’attentato, tra la notte del 16 e la mattina del 18 settembre, l’esercito israeliano supportato dagli americani oltre che dalle Forze Libanesi (la coalizione di governo diretta da Gemayel) usano il pretesto dell’assassinio per perpetuare uno dei massacri più truculenti degli ultimi decenni. Alla periferia di Beirut, proprio nel campo di profughi palestinesi, le squadre cristiano-sioniste compiono un massacro senza precedenti. Nelle vie strette ed intricate del sobborgo libanese, l’incursione militare provoca la  morte di migliaia di persone (le stime parlano di 3.500 civili). Sul carattere politico degli squadristi la versione ufficiale racconta che ha sporcarsi le mani di sangue sarebbero state le milizie cristiane, nonostante nel 1982 l’area fosse monitorata dall’esercito israeliano. È noto, infatti, come gli israeliani oltre ad essere presenti durante le incursioni a Sabra e Chatila, siano stati i veri mandanti assieme ai vertici nordamericani. Recentemente, in un articolo intitolato “il massacro che poteva essere evitato”, apparso sul New York Times, Seth Anziska, ricercatore alla “Columbia Univerity, è riuscito a raccogliere dei documenti storici i quali contengono le conversazioni tra le elite statunitensi ed israeliane avvenute in quel periodo. Tra questi è spuntato un documento del 17 settembre 1982, che racconta l’incontro avvenuto tra il ministro della Difesa Ariel Sharon e l’americano Morris Draper, consigliere del presidente sulle questioni mediorientali.  “Se avete paura di trovarvi implicati in quest’operazione non ci sono problemi, basta che gli Stati Uniti smentiscano ogni tipo d’implicazione o conoscenza del massacro, e noi confermeremo le smentite” avrebbe detto il ministro israeliano al suo interlocutore, e ciò starebbe a significare, come afferma l’autore, che Tel Aviv fosse al corrente fin dall’inizio dei massacri in corso.
Dopo la strage, il silenzio della comunità internazionale è assordante. Solo il 25 settembre, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni condanna i massacri sionisti, ma gli Usa votano contro, consolidando quell’alleanza sacra tra Washington e Tel Aviv, che negli anni a venire lavorerà a congiuntamente nella destabilizzazione del Medio Oriente. Nessuna commissione ufficiale d’inchiesta, nessun colpevole realmente identificato e giustiziato. Nessun eco nei media occidentali su quel massacro che ha devastato la coscienza di quei rifugiati che dal 1952 vivono e crescono nella miseria. Qualche parola la spende solo Sandro Pertini, all’epoca Presidente della Repubblica italiana. Affermerà il 31 dicembre del 1983 “io sono stato nel Libano. Ho visto i cimiteri di Sabra e Chatila. È una cosa che angoscia vedere questo cimitero dove sono sepolte le vittime di quell’orrendo massacro. Il responsabile dell’orrendo massacro è ancora al governo in Israele. E quasi va baldanzoso di questo massacro compiuto. È un responsabile cui dovrebbe essere dato il bando dalla società”. Nessun bando dalla società per Ariel Sharon, (nonostante Israele abbia riconosciuto la sua responsabilità indiretta) che trent’anni dopo la strage è ancora impunito. E a trent’anni dall’accaduto, per i rifugiati di Sabra e Chatila, non è cambiato nulla. La comunità internazionale li ha già dimenticati. Noi no. Testimoniare è un obbligo."

Tratto da un'articolo pubblicato sul quotidiano nazionale Rinascita

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