Il fiore di ciliegio, di un candore puro, è un lampo magnifico e doloroso: compare a primavera e dura finché il primo vento ne fa scempio, strappandone i petali e disperdendoli irrimediabilmente. Un’immagine naturale, riscontrabile attraverso l’osservazione, che è stata tuttavia impressa con particolare cura in uno dei tanti simboli efficacissimi di cui la cultura nipponica è ricca. Così la meraviglia ghermisce il lettore di “Addio ciliegi in fiore”, quando l’equipaggio di Yamato, sul punto di tuffarsi nel suo viaggio senza ritorno, si ferma come un corpo solo, per un attimo fuggente, a guardare i ciliegi fioriti sulla costa. E’ la foto di una giovinezza che guarda per l’ultima volta una primavera.
Yamato era la corazzata ammiraglia della flotta imperiale giapponese durante l’ultimo conflitto mondiale. Il 6 aprile del 1945, scortata dai resti della flotta, fu spedita in una missione suicida nel disperato tentativo di forzare il blocco di Okinawa ed impedire il bombardamento terroristico del suolo giapponese, reso possibile dall’invasione dell’isola da parte delle forze statunitensi. A bordo della Yamato, imbarcato come ufficiale, c’era anche il giovanissimo Yoshida Mitsuru, tra i pochissimi sopravvissuti dell’azione.
Lo stile estremamente asciutto, tipico della narrativa giapponese si accentua ulteriormente nella sua opera, redatta nel gergo militare. Quello che scorre sotto gli occhi del lettore è poco più di un bollettino, agile e sferzante: le parole lasciano il posto a vivide immagini di eroismo. Ci si sente calati in una tempesta d’acciaio che si abbatte sui protagonisti di quella storia vissuta tra le scie dei siluri, i colpi di mitraglia e il fischio delle bombe. Il naufragio di Yamato, che è il nome stesso del Giappone, lascia a pochi la vita, al significato della quale l’autore dedica le ultime, profonde pagine del testo.
“Addio ciliegi in fiore” ha ottenuto nel Paese del Sol Levante, dove è considerato un classico della letteratura contemporanea, un successo con pochi precedenti. Al contrario, è fondamentalmente “sfuggito” al grande pubblico in Occidente.
Yamato era la corazzata ammiraglia della flotta imperiale giapponese durante l’ultimo conflitto mondiale. Il 6 aprile del 1945, scortata dai resti della flotta, fu spedita in una missione suicida nel disperato tentativo di forzare il blocco di Okinawa ed impedire il bombardamento terroristico del suolo giapponese, reso possibile dall’invasione dell’isola da parte delle forze statunitensi. A bordo della Yamato, imbarcato come ufficiale, c’era anche il giovanissimo Yoshida Mitsuru, tra i pochissimi sopravvissuti dell’azione.
Lo stile estremamente asciutto, tipico della narrativa giapponese si accentua ulteriormente nella sua opera, redatta nel gergo militare. Quello che scorre sotto gli occhi del lettore è poco più di un bollettino, agile e sferzante: le parole lasciano il posto a vivide immagini di eroismo. Ci si sente calati in una tempesta d’acciaio che si abbatte sui protagonisti di quella storia vissuta tra le scie dei siluri, i colpi di mitraglia e il fischio delle bombe. Il naufragio di Yamato, che è il nome stesso del Giappone, lascia a pochi la vita, al significato della quale l’autore dedica le ultime, profonde pagine del testo.
“Addio ciliegi in fiore” ha ottenuto nel Paese del Sol Levante, dove è considerato un classico della letteratura contemporanea, un successo con pochi precedenti. Al contrario, è fondamentalmente “sfuggito” al grande pubblico in Occidente.
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