martedì 5 febbraio 2013

La generazione Erasmus, la generazione sospesa


A partire dalla fine del secolo scorso la società civile, finanziata rigorosamente da ingenti somme estere, ha messo in moto una gigantesca e sottile campagna, che continua tutt’ora, consistente nell'educare i giovani ad essere “aperti”, “tolleranti” e “senza complessi”, guarda caso proprio quello di cui ha bisogno il mercato internazionale del lavoro. Il risultato è davanti agli occhi di tutti: la generazione Erasmus. Quest'ultimo è il nome del programma universitario europeo che permette agli studenti di trascorrere parte della loro carriera accademica in un paese dell’Unione, istruendoli ad essere “flessibili” e internazionalisti o, ancora meglio, la generazione “Work and Travel”. Questa formula, indica le offerte lavorative provenienti da paesi lontani indirizzate ai giovani attirandoli a lavorare per delle paghe misere in cambio della possibilità di viaggiare, adescandoli con la promessa dell’esperienza e della novità.
Una intera generazione di giovani cresciuta non avendo alcuna aderenza alla terra, che non desidera nulla per il proprio paese, se non un’occasione per andarsene oltre i mari e in paesi esotici per un “job”. La sua libertà non significa altro che la libertà di essere nessuno, di evadere il più lontano possibile dalla nave naufragata. Una parte di questi naufraghi non vogliono neanche più tornare. Ma non perché sarebbero disgustati dell’incompetenza e della corruzione  della classe politica antifascista (motivo molto serio tra l’altro)  che hanno ridotto il paese sul lastrico, ma perché non hanno più alcun valore che giustifichi un ideale. Non hanno un sentire in base al quale associarsi per dare vita a una forza sociale. Non trovano motivi per rimanere o per ritornare a casa perché sono privi di qualsiasi forza creatrice. 
Cos’altro avrebbero da proporre al di fuori di americanismi e gadget d’ultima ora?
Ci si muove progressivamente verso il modello della “società aperta”, nella quale l’unico diritto reale è quello della “libera circolazione”. Aspetto, quest’ultimo, paradossale, che è facilmente vibile nel caso dell’Europa dell’est, la quale con la caduta del blocco comunista, ha si guadagnato il diritto a viaggiare liberamente, ma ha perso il diritto di rimanere a casa.
Si spera che ben presto i giovani prendano coscienza del fatto che i problemi si possono risolvere solo attraverso “noi stessi”, raggruppandosi, mediante il lavoro e il sacrificio. Un’altra via semplicemente non esiste.

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