martedì 14 settembre 2010

Teresa sulla sedia


La salviamo? Il volto potrebbe essere quello di una delle nostre periferie, di quelle che abitano il “105” dell'Atac o una qualsiasi delle stazioni della metropolitana fino a notte, e forse oltre. Sguardo vitreo dietro al quale si cela un guizzo che non promette nulla di buono, rughe quasi come cicatrici (o il contrario?), capelli corti, il naso da pugile, quarant’anni e passa portati decisamente male. Il nome, pure quello, non sfigurerebbe a Tor Bella Monaca o Laurentino Trentotto: Teresa. E’ sul cognome che vacillano le prime certezze dell’uomo medio(cre) occidentale. Lewis. Poi, quando sai che è condannata a morte, ti chiedi come mai quegl’incivili degli islamici non le abbiano imposto il velo!
Eh, no. Il volto di Teresa Lewis è quello dell’America più pura. Abita in Virginia, stato che dev’essere il solo che abbia mai visitato, come avviene per la maggior parte degli statunitensi (che noi invece ci ostiniamo ad immaginare, per riflesso condizionato di stampo hollywoodiano, tutti cravatta al collo e valigetta in mano ad inseguire con passo efficiente le coincidenze aeree). Perché l’America vera è quella dei “red necks”, le nuche rosse di chi lavora nei campi e all’aperto, con una scarsissima istruzione e zero conoscenze sul mondo che non sia la fetta di iù-es-ei che hanno sempre avuto sotto gli occhi. Red neck che, in un gioco dispregiativo di colorazioni, diventa poi “white trash”, monnezza bianca, accezione tutta razzistica sull’inferiorità culturale del bianco del Sud degli Stati Uniti, la cui caricatura principale è quella di essere dedito al consumo di junk food e a matrimoni intrafamiliari, che poi altrettanto spesso producono figli con disturbi mentali. Solo cugini di campagna del “civis americanus”, che infatti li sberleffa ogni sera nei brillanti “late show” della seconda serata televisiva; parenti lontani, non solo di cui vergognarsi ma da disprezzare pubblicamente. Il nuovo razzismo che tanto bene alberga nel Faro delle Nazioni (in particolare sulle due coste) è condito di anti-razzismo: perciò sfugge all’analisi dei sociologi di Harvard (i primi ad esserne pervasi), dilaga nel paese e nelle sue “produzioni intellettuali”, si fa scudo del perbenismo e del neo-conformismo che quest'America agita insieme alla bandiera del politically correct. Un razzismo che uccide, materialmente e civilmente, senza doversi mettere il cappuccio bianco del KKK ma, chissà, non disdegnando in qualche caso compasso e grembiulino.
E infatti anche Teresa è del Sud degli Stati Uniti. Guarda caso, ha disturbi mentali. Che, e questo è emerso anche in sede processuale, hanno avuto la loro importanza nella vicenda giudiziaria che la vede coinvolta. Colpevole, dice la sentenza, di aver assoldato due killer per far fuori marito e figliastro e intascare i soldi dell’assicurazione. Con una confessione scritta però, di uno dei due esecutori, che ammette di averla cooptata in un supermercato. La circonvenzione d’incapace non è tuttavia bastata, ed eccola là, Teresa Lewis, pronta a farsi un giretto sulla sedia elettrica il prossimo 23 settembre, prima donna ad essere “fritta”.
Non c’è però il mondo occidentale a stracciarsi le vesti, a esprimere il suo sdegno di civilizzatore, a dar voce alla sua Iran funesta perché il diavolo Ahmadinejad manda al patibolo le donne (inciso: molti non lo sanno, ma la pena per Sakineh è stata sospesa). Ragazzette con le magliette di Emergency un po’ scolorite sotto la pashmina non verranno a chiedervi la firma mentre passeggiate a Piazza del Popolo, Napolitano non lancerà moniti e Frattini e Adornato si asterranno dagli anatemi. Qui c'è il Princeps Huius Mundi ad azionare le leve della Vita e della Morte, mica Saddam o qualcuno del suo livello. E i subordinati tacciono, per non "vedere le stelle" o peggio, farsi fare qualcosa a strisce...
Ma insomma, che ci vogliamo fare con questa dead woman walking? La salviamo? O la “accendiamo”?

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Complimenti, ce ne vorrebbero di giornalisti che scrivono così, putroppo il nostro comprensorio è popolato da pennivendoli, mai una inchiesta mai uno scoop. solo notizie rimasticate che non servono a niente, anzi no. Servono, l'unica cosa che sanno fare i giornalisti servitori, appunto, servono.

Un lettore non politicamente vicino a voi

Dino ha detto...

Complimenti per il pezzo. Aldilà delle considerazioni sulla pena di morte, che resta comunque una cosa spregevole in quanto uno stato, proprio "in quanto tale", non può legittimare l'omicidio, aldilà delle considerazioni sulla "civiltà" americana (di cui l'autore fa un notevole ritratto), non arrivo a capire la differenza fra delle scimmie barbute che lapidano una donna e delle persone in uniforme che ne "friggono" un'altra. Aberrante.

Anonimo ha detto...

bell'articolo ,bravi ad averlo pubblicato!
alfredo