venerdì 24 giugno 2011

Fascicolo n. 42 - Documenti per il Fronte della Tradizione "Rescritto Imperiale"

Abbiamo avuto modo di leggere in anteprima il "Rescritto" e ci ha lasciato una impronta difficilmente cancellabile, nella premessa che qui riportiamo sono espresse in modo sintetico e preciso le impressioni ricevute dalla lettura dello scritto. Allo stesso tempo però, senza nulla togliere allo sforzo del prefatore, abbiamo il dovere di sottolineare che questo di Raido, in chiusura della stagione militante, rappresenta uno strumento indispensabile di formazione e di riflessione sulla dimensione eroica della vita. Indispensabile. Una buona lettura per affrontare la ricreazione estiva, anche per non perdere l'attenzione nei confronti di un Giappone Imperiale ancora sottoposto alle gravi conseguenze del terremoto e della crisi nucleare di Fukushima


Fascicolo n. 42 - Documenti per il Fronte della Tradizione
"Rescritto Imperiale"

Autore: Imperatore Mutsuhito Meiji
Pagine: 38

L'approccio, precisiamolo subito, è qualitativo. E qualitativamente parlando, questo fascicolo pesa. Con esso, nelle mani si sente tutto il gravare di secoli, il peso di una storia e cultura tra le più luminose che si siano manifestate. In esso, concentrato, sintetico e schematico, si può assaporare l'antico (il "Rescritto Imperiale") ed il moderno ("Consigli ai soldati sui fronti di battaglia") in un'armonica continuità. Ma non devono ingannare i titoli dei due brevi testi qui proposti perché essi, in perfetto spirito giapponese, molto nascondono per poi svelare -a chi si accosta silente e vigile- profondi insegnamenti. Infatti, solo a prima vista essi argomentano di questioni prettamente militari. La loro materia spazia invece trasversalmente in ogni dimensione dell'essere, chiamando in causa corpo mente e spirito nella realizzazione di uomini veri e giusti. Quindi le parole che qui troveremo espresse sono valide per tutti, o almeno per tutti quelli che decidono di vivere la propria vita come "militia super terram". 

Ciò che merita essere chiarito è l'inganno in cui solo una lettura veloce e grossolana potrebbe far cadere: non vi è mai un appiattimento dell'uomo alle rigide o stringenti regole dell'antica tradizione, in cui l'unico scopo dell'autorità è rendere il singolo una ennesima replicata espressione della volontà imperiale, svuotandolo di una propria ed autonoma identità. Viceversa, si trovano richiami all'aspetto più umano del milite, esaltando quelle potenzialità specifiche che permettono a ciascuno di incarnare -ovunque egli sia- il senso profondo del Giappone (si capisce con ciò in quale alta considerazione è tenuto il singolo combattente). I richiami ai valori da incarnare sono innanzitutto finalizzati ad aiutare gli uomini a divenire migliori, ancor prima (necessariamente prima) che rappresentanti di altro (l'Impero del crisantemo) o di altri (l'Imperatore). E' su questa base che si aggiunge poi il concetto che dare all'uomo una visione, un esempio o un mito da seguire è come dargli un viatico per la realizzazione; farlo sentire legato ad un destino comune, alla più pura espressione di una cultura millenaria, ad una volontà divina, significa dargli la possibilità di seguire un cammino certo, un cammino su cui già trovare profonde orme, un cammino verso la piena realizzazione delle migliori virtù umane. Un riferimento alto e certo. Opportunità purtroppo oggi negata all'uomo comune.
Scorrendo tra le righe si incontrano subito, espresse in un linguaggio marziale, verità profonde: l'abilità al servizio data in primis dalla fermezza d'animo; l'evitare che le compagini militari del Giappone possano mai farsi orde; il violare il proprio dovere disonorando il proprio nome significa cadere in disgrazia; il vivere in cortesia reciproca difendendo l'armonia della cooperazione; il vero coraggio che si tiene lontano dall'atto violento; il controllo delle emozioni e la lunga riflessione prima dell'azione; la distinzione ferrea tra il giusto e l'ingiusto, tra l'azione buona e quella cattiva; il non disprezzare i deboli come il non temere i forti; il dovere pubblico sovraordinato agli impegni privati; rifuggire il lusso ed essere severi con se stessi a premio dello spirito marziale; il mantenere il cuore sincero; l'essere esempio, mantenere l'unità di intenti. Queste proposte come verità fondamentali (anche se oggi mai le troveremmo tra gli insegnamenti ai soldati delle salvifiche e robotizzate forze armate moderne).
In tutto questo, il soldato (ma l'uomo in generale) viene onorato e si onora nel farsi latore di un portato culturale e spirituale ("mantenere ben alto il loro morale e diffondere nel mondo le virtù del Paese", farne oggetto di ammirazione "per mezzo della pratica della giustizia temperata dalla grazia"!). L'uomo non deve mai essere dimentico di se stesso (a partire dall'"affetto per i genitori" fino all'"interpretare il pensiero del Tennò"). L'uomo non deve rimanere schiacciato nel suo percorso di realizzazione e, lontano da ogni imposizione, la sua azione deve essere animata da un moto interiore ("la forza e la lealtà, per essere preziose, devono manifestarsi spontaneamente").
Ora, però, ricordiamoci che noi tutti -hic et nunc- siamo chiamati ad un impegno, ad agire per noi e per il prossimo, sullo stesso cammino e -possibilmente- con le stesse modalità tracciate in queste pagine. Quindi, perché non fare subito nostre le parole volate fino a noi dalla lontane isole del Sol Levante?! Allora iniziamo ad addestrarci alle virtù, tenendo a mente che, nel momento della battaglia, sono i fatti a contare. Il loro impegno deve essere il nostro: "ricordare lo spirito eroico dei caduti, parlare di se con modestia, essere esempio, tendere incessantemente a servire bene la Patria",  "porre ogni forza del corpo e dello spirito al servizio di ciò che dura in eterno". In quest'ultima frase ritroviamo espressa la quintessenza della gerarchia qualitativa: ciò che è caduco al servizio di ciò che non lo è. E porsi al servizio di ciò che è eterno, animati dalla propria fede, rende "degni della protezione di Dio ("mai in condizione di dover provare il rimorso di non meritarla"). E qui si apre un quesito fondamentale: se la loro lotta era aderente alla volontà divina (secondo il noto "Gott mit uns") e se il mondo della qualità non può essere sconfitto da quello della quantità, come è mai possibile che lo sforzo di uomini animati da un'idea superiore possa essere stato sconfitto sotto il peso dei cingoli di un preponderante nemico? Noi rimaniamo convinti che la materia non possa vincere sullo spirito e, lungi dal voler qui argomentare a pieno la questione, si deve tener presente che viviamo (in coerenza con i testi della sapienza tradizionale) in una epoca di oscuramento del Divino, in cui, nel mondo degli uomini si riflette l'espandersi o il contrarsi del "respiro di Brahma". Agendo quindi, tra noi, forze che giustamente superano la nostra volontà, secondo cicli cosmici che travalicano i nostri canoni di luogo e di tempo, è imperativo continuare ad agire senza attendersi il bacio della vittoria. I molti Hiroo Onoda, conosciuti e sconosciuti (inspirati anche dal contenuto dei testi qui riproposti), ci sono stati d'esempio in questo. Per gli ultimi samurai in armi, non era più importante la vita o la morte, ma piuttosto il monito: "la morte vi deve trovare in uno stato di purezza".

RAIDO

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