martedì 9 febbraio 2010

Essere Militanti

Riproponiamo qui, uno scritto apparso qualche anno fa sul blog Aurhelio perchè riteniamo che esso sia utile per focalizzare il senso della parola militante. Oggi , questa parola, è troppo spesso confusa con una vaga idea di una appartenenza mentale ad un mondo, in realtà essere militante è innanzitutto coerenza tra pensiero e azione. Essere militante significa donare tempo, denaro, dedizione e sacrificio costante, alla causa, senza badare ai frutti. E' il momento di schiarire le idee a chi ne ha davvero bisogno.

Essere militanti

Se questa realtà non ci piace, se in qualche modo ci sentiamo estranei, nostro deve essere il compito di cambiarla, di favorire quelle forze a noi amiche e di creare un clima propizio. Se il compito del militante è quello di conquistare la realtà, come riflesso della propria affermazione interiore, le azioni quotidiane acquistano un nuovo e un diverso significato, per il militante non è importante ciò che si compie, ma come si compie.
L’uomo di milizia, pur vivendo in questo mondo, sente di esserne estraneo, sente di non appartenergli e con fermezza rifiuta i compromessi, le convenzioni e le ipocrisie.
Bisogna finirla con la vanità esibizionista di “apparire” ad ogni costo, di considerarsi importanti e ad essere privi d’umiltà, ritenendosi infallibile e comportandosi in modo borioso, irascibile e senza scrupolo. Abbandonare ogni arroganza e tracotanza, segno di un vero “complesso d’inferiorità”, che vuole le persone uniformate ad un unico schema mentale. Finirla di sostituire l’utilità e la menzogna alla Verità e alla Giustizia, di essere un tipo superficiale insicuro e nevrotico, volgare e triviale, la cui legge è solo la sopraffazione e la violenza gratuita. Incapaci di assumere un carattere e una disciplina, incapaci di assumersi le proprie responsabilità, di conoscere il senso della distanza, del rispetto, della gerarchia e dell’autorità. Il cameratismo è confuso con la complicità: difendere le posizioni indifendibili; il semplice divertirsi: all’eroica strafottenza legionaria del “me ne frego”, si è sostituito il “faccio quello che voglio”; calpestando se serve anche la dignità dei militanti: “il fine giustifica i mezzi”. Tra camerati non devono esistere sospetti o malintesi, mezze parole e mezze verità, i rapporti devono essere sempre chiari, stabili e coerenti, non è ammesso essere torbidi e tortuosi. Il militante non ha paura di mettersi in discussione, con realismo e coerenza, il suo stile è l’azione impersonale e la sua volontà è la forza di sconfiggere ogni bassezza e ogni viltà. Fra camerati ognuno è chiamato ad una gara per essere di esempio, il cameratismo è innanzitutto un’apertura d’amore che richiede una risposta d’amore, è un donarsi totale e disinteressato. Perché nel mondo del profitto e dello sfruttamento il dono è un atto rivoluzionario.
Per molti ribellarsi alla società borghese, è diventato il sinonimo di vivere alla giornata, rifiutando di studiare o di lavorare, di dare conto dei propri impegni e delle proprie responsabilità. Si prende come proprio modello il “ribelle” ma l’esperienza ha provato che dietro questa parola, troppo spesso non si cela un atteggiamento “rivoluzionario” o se si preferisce “l’uomo differenziato”, ma il disadattato che contesta solo perché è incapace di cambiare la realtà che lo circonda. La “rivolta”, allora, non è altro che un sinonimo di fuga dalla realtà, una carta di tornasole per mascherare e giustificare la propria impotenza.
Il militante, al contrario, oppone all’ideale borghese della comodità e della mediocrità, lo stile “guerriero” di chi affronta la vita con entusiasmo e consapevolezza. La lucidità rivoluzionaria di chi non si tira indietro dinanzi alle prove che la vita gli presenta.
L’anticonformismo, tanto declamato, si è trasformato nel più ridicolo dei conformismi, uno scetticismo etico, una critica contro ogni autorità, un adattamento alla società dei consumi e al suo modello assorbito passivamente senza alcuna reazione radicale. Così si diventa sempre più standardizzati, si è spersonalizzati e privi di carattere, è il trionfo dell’uomo massa che si annulla nell’anonimato delle metropoli, che vive nei quartieri dormitori dove nessuno si conosce e nessuno si preoccupa degli altri, favorendo l’anarchia senza regole
Il militante non è un obiettore di coscienza, un anarchico o un emarginato, egli interiormente si sente assolutamente fuori dalla società, ne è completamente estraneo, sente che questo mondo non gli appartiene, ne lui vi vuole in qualche modo appartenere. Al limite, può comprendere chi come lui rifiuta questo mondo e si schiera contro di esso, siano essi “disadattati” o “asociali”, ma dal momento che la sua vita non s’incontra con quella dei suoi contemporanei, rimane distaccato dalle loro disavventure. Il Militante, forte della sua visione aristocratica chiara e disincantata, non offre presa alcuna al potere, anzi ne vuole la sua completa disintegrazione, e nello stesso tempo sa proporre l’alternativa di valori superiori. Non si comporta come un delinquente o uno sbandato, ma assume lo stile dello spirito guerriero, pur accettando di vivere insieme a mille difficoltà lo fa con onore e dignità. Non ha nulla a che vedere con il ribelle o il disperato, sempre più agito e agitato dalle sue insoddisfazioni, suoi modelli non sono l’arrivista o il rivendicatore sociale, bensì agisce in modo impersonale, senza badare a vittoria o sconfitta. Avere stile significa fare delle scelte, scoprire in positivo che cosa si è; in negativo individuare il proprio nemico imponendo alla propria esistenza un riferimento superiore come se fosse naturale e spontanea l’obbedienza, una volontà di dominio e di affermazione assoluta. Si tratta, quindi, di ridestare la volontà come principio di affermazione eroica.

Nessun commento: