martedì 16 agosto 2011

Il Campo dell’Onore [recensione] MM Merlino


Segnaliamo ai lettori del Blog una recensione di lusso, in esclusiva per Azione Punto Zero, del libro di Nello Gatta

Percorrendo via dell’Impero – forse da qualche decennio le hanno dato altro nome più paesaggistico e meno altisonante, confacente a questa Italietta corrotta e servile, ma a noi la cosa ci lascia totalmente indifferenti -, direzione piazza Venezia, lo sguardo si volge a destra ove sorge, alta 100 piedi romani ( circa 30 metri ), la colonna in onore dell’imperatore Traiano. Fasciata in 114 riquadri decorati con scene cronologicamente consequenziali a descrivere la campagna militare, appunto, dell’imperatore Traiano contro i Sarmati e la conquista della Dacia. All’interno dell’imponente basamento, fregiato dalle aquile della vittoria, si apre la cella ove furono collocate le ceneri dell’imperatore. Fra questi pannelli, i cui calchi si trovano nel museo della civiltà romana all’EUR, abbandonati a favore di uno spazio dedicato all’astronomia ad uso di scolaresche

 sovente distratte e chiassose ( anche qui il nome del museo è stato sostituito…aborrito,ancora una volta, il termine ‘impero’ ), si può ammirare un cavaliere – riquadro 109 – che offre all’imperatore la testa e la mano destra di Decebalo, il capo dei Daci sconfitto e suicidatosi per non cadere prigioniero nelle mani dei soldati romani. Questo cavaliere, come ci viene spiegato nelle appendici del libro, di cui vogliamo tracciare breve recensione, dal 1970 ha finalmente un nome…
‘Sono Tiberio Claudio Massimo, figlio di Quinto, veterano’. Così inizia il libro di Nello Gatta dal titolo Il campo dell’onore ( Castelvecchi Editore), titolo che rimanda ad antiche e al contempo recenti suggestioni. Del resto, se  ai valori diamo il peso dell’eterna immutabilità, eterne riecheggiano nella mente e nel cuore di chi, magari sparuta e indomita minoranza, ne coglie preserva alimenta l’eco interiore. Dicevo ‘suggestioni’, con il rischio di essere frainteso, essendo simili alle emozioni e facili, dunque, ad avere vita effimera e concisa. ‘Non l’intensità ma la durata dei grandi sentimenti rende l’uomo superiore’: Nietzsche docet. E il libro di Nello Gatta, se lo si sottrae al troppo facile ed erroneo accostamento ai vari filoni del genere heroic fantasy, di cui ha la struttura narrativa incalzante, a ben altro ed alto linguaggio appartiene.
E veniamo all’autore… a Torino, nel più prestigioso liceo classico, insegna latino e greco. Titoli acquisiti attraverso la lunga, burocratica trafila università abilitazione supplenze incarichi a tempo determinato, infine, cattedra e registro stabili. Immondizia se non c’è dentro un po’ di vocazione ( guai ad usare il termine che, perdio!, siamo professionisti cianciano i colleghi con la tessera della CGIL e Repubblica in tasca, gli sgrammaticati estensori di documenti relazioni proteste e i più assatanati quando si tratta di lucrare sui fondi per progetti chiacchiere fantasmi ). Soprattutto se non si sono passate ore ed ore sui libri, magari acquistati sulle bancarelle sotto i portici davanti alla stazione di Porta Nuova o letti pazientemente nelle biblioteche comunali. E, ancora, se non ci si è dati alla vita – ‘vitam pro vita exponimus’, cantavamo faccia al sole e in culo al mondo -. ( Caro Nello, sai, ogni volta che, rovistando fra carte e ritagli di giornali, trovo il dattiloscritto Cuore nero, mi viene prepotente la tentazione di correre dallo ‘stampatore’ e dirgli: ‘beccati questo e pubblicalo! Qui c’è tanta della nostra storia…’ ). Nello, lo Strimpellatore Solitario, nella fatidica data del 28 ottobre, boccali di birra fumo acre canti e cazzeggio, decide di suonare le sue canzoni e promuove , sotto il richiamo forte dei cavalieri del Tempio, il gruppo musicale Non Nobis Domine . Ed ecco che La canzone del Quarnaro di Gabriele D’Annunzio diviene MAS 96 e la poesia del capitano della Folgore Bonola, scritta nell’estate del 1945 nel campo di prigionia a Coltano, Non ho tradito, viene ritmata con chitarra e batteria e dalla voce in coro di giovani a braccio teso. Ed è lo stesso promotore ( e, qui, lo dico con tutto il rispetto e la commozione che merita ) che appende al chiodo la chitarra quando il motorino di Cristian corre dritto contro il muro…
E veniamo al libro…e avverto subito l’eventuale lettore di queste note. Del libro e della sua trama poco o nulla dirò. In modo rigorosamente intenzionale. Non siamo a prepararci per l’interrogazione del giorno dopo dove, a volte, un bignami è sufficiente. Un libro, questo libro, va letto. Un dovere, che è atto libero della mente e del cuore, che nasce in noi quale dono per noi… Leggere equivale a diversificate opzioni, noi, però, amiamo quella lettura che diviene specchio di noi stessi. E ci viene a mente quanto scriveva Drieu la Rochelle ne La commedia di Charleroi. Preso dal panico, sotto il fuoco nemico ( siamo durante le prime fasi della Prima Guerra Mondiale ), egli abbandona lo zaino in cui ha riposto il Così parlò Zarathustra. Forse – annota – un soldato tedesco l’avrà raccolto, trovato il libro con le annotazioni a matita e resosi conto di avere un fratello, apparentemente nemico, in spirito e nella carne. Ecco: Il campo dell’onore lo si afferra solo se lo si riconosce simile ad un’idea, una emozione, un comune sentire. Cito: ‘I discorsi sono roba da sofisti, un filosofo parla con le azioni’ -  sorrisi: ‘L’ho sentito dire, ma ho incontrato solo sofisti. La mia filosofia sta negli antichi costumi e nell’esempio degli antichi uomini’(pg.19)… oppure: - Ridacchiai: ‘Poiché amo la mischia, gioia dei forti, e la gloria che sottrae all’imperio della morte’(pg.37)… E, qui, da professore di filosofia ricordo che mi piaceva andare a scuola, in quella scuola ove le zecche fecero muro per impedirmi d’entrare senza successo, come indossando la tuta mimetica, basco sfrontato sulla nuca, armi in pugno… Il lungo raccontare del Tribuno Tiberio Claudio Massimo s’è aperto con questo, eterno, immarcescente campo dell’Onore, a cui ci sentiamo votati. Ad altre prove, altro impavido cuore, memorabili imprese siamo in attesa di poter leggere ed appropriarcene. Soprattutto di poter penetrare e rinnovare in noi quella
concezione espressa da Seneca nella formula ‘vita militia est superterram…Vale, Nello!

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