Ci sarà qualcuno pronto a considerare con onestà l’appello di Marcello Veneziani per la rigenerazione di ciò che, ovviamente semplificando, chiamiamo ‘destra’? Il suo scritto non manca di ragionevolezza. Il momento è perfetto per chi volesse – cito appunto Veneziani – “fare sul serio”. L’occasione d’oro. Non c’è più niente di decoroso, in giro. Da nessuna parte e di nessun colore. Squagliati gli uomini, squalificate le organizzazioni. Restano solo, sospese a mezz’aria, una rabbia vibrante e una nostalgia vaghissima. E una disperazione che non trova di meglio che pisciare cocaina e psicofarmaci nei fiumi. L’Arno, il Tevere, pure il mitologico Po portano i segni delle pasticche che la gente ingurgita a raffica per tirare avanti. Ma twittando twittando non è che si faccia molta strada – lo sanno tutti. Rovesciando bile sul web, come petroliere ebbre e devastate. La finzione rischia di sostituirsi alla realtà. Il mentire a sé stessi all’azione. Finirà che gli uomini diventeranno fantasmi, preda a loro volta dei propri fantasmi, spettri all’ennesima potenza, e non è la guerra metafisica dell’‘oltre’ cantata ne “Gli incendiati” di Antonio Moresco. Qua si smuore piano, goccia a goccia (prostaticamente…); ogni giorno una diminuzione. A ‘destra’, ma pure a ‘sinistra’ – però quelli non meritano che ci diamo la pena di mortificarci per loro, tanto hanno mentito per decenni e celebrato la sguaiata gioia di avercela fatta a sopravvivere malgrado tutto. Malgrado, cioè, la resa del buongusto e dell’equilibrio etico alla scaltrezza più selvaggia, al risentimento più meschino. E, per giunta, senza fare praticamente mai “sul serio”. Ma non ci curiamo di Tersite, bruttoecattivo.
Passando, invece, tornando alla ‘destra’: come ha potuto trasformarsi nella pappa viscida che è oggi? Perché una ragione essenziale ci dev’essere e non è soltanto la captivitas diaboli, la carognaggine di certi suoi esponenti, invero piuttosto accentuata. Non è la nostalgia segreta del missino tipo: l’ambizione di essere lui e solo lui il Duce – quindi l’individualismo. Quello ha trovato il terreno fertile per esprimersi, sennò non avrebbe vegetato così rigoglioso. Il vero problema è che, per essere restituiti alla circolazione (monetaria?), i missini hanno rinnegato tutto. E così sono diventati niente. Cos’è Fini, oggi? La fine assoluta. Hanno più attrattiva i pettegolezzi sui suoi maneggi e disavventure familiari dei suoi programmi politici. E Fini è l’emblema di un mondo. Non a caso se l’erano scelto per capo.
Incredibile quello che è successo alla ‘destra’. Farsi scippare dalla ‘sinistra’ un tesoro di secoli, di millenni, maturato perfino nella vastità solenne di ere geologiche. Parliamoci chiaro: tutto quello che il genere umano ha fatto di meglio lo deve all’alchimia di una volontà ordinata e amica del vero più che dell’opportunismo. Alla tensione all’ordine, alla perfezione, che è il cardine del pensiero di una ‘destra’ illuminata e luminosa. Alla selezione severa, implacabile, del bello contro il brutto. Tutto quanto. Le colonne doriche, gli esametri di Virgilio (puro ritmo: cioè ordine, cioè rito). Gli endecasillabi di Dante, i boccoli biondi della Venere di Botticelli. Cosa ne possono sapere, capire, indovinare di Dante, di Virgilio, di Botticelli esseri che, non troppo tempo fa, usavano termini come “padronato”, formule come “masse popolari”? E la ‘destra’ se li è fatti fregare, il suo tesoro e il suo giusto orgoglio, solo perché quelli avevano vinto la guerra più recente. Probabilmente per lo shock. Per un incomprensibile complesso di inferiorità. Per la smania vigliacca di farsi accettare. Per essere ‘al passo coi tempi’, anche quando i tempi zoppicavano e inciampavano. Forse perché non si sono neppure accorti che Virgilio, Dante, Botticelli erano i propri paradigmi, il proprio miglior Io.
La ‘destra’ doveva stare, non mutare, non correre ad adeguarsi. Doveva continuare a contemplare le proprie idee. Anche senza parole: certo. Pontificalmente. Doveva essere, non convincere. “Mostrare, non dimostrare”. Effondere la propria autorevolezza con la serenità di chi sa respingere il dialogo, la dialettica, quando le sue premesse siano truffaldine. E fissare il proprio firmamento, precisarne la fisionomia, riconoscerne i canoni, raccontarne, senza volerlo a tutti i costi abbassare, implebeire. Entrare nell’agone politico imbracciando questa massima perfetta: “La politica dovrebbe essere la scienza che definisce le condizioni sociali più propizie alla percezione del valore e alla realizzazione di esso.” Questo è il vero compito, la vera maieutica, la vera ragion d’essere della cosiddetta ‘destra’: capire che cosa abbia valore, quindi che cosa sia il valore, capire come aprirgli la strada per la sua vittoria sul mondo. Non è facile, ma è l’unica meraviglia che possiamo offrire alla storia. Le altre sette sono già polvere, tranne l’ultima, la piramide di Cheope, irrimediabilmente contaminata.
Franco G. Freda
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