lunedì 2 luglio 2012

Estate ... consigli per la lettura ... Le Porte di Fuoco


Quando ti capita tra le mani il romanzo “le porte di fuoco” di Steven Pressfield, il primo pensiero che ti attraversa la mente non può che essere: “ah, vabbè n’altra cosa sulle termopili…” Eppure il romanzo di Steven Pressfield ha due marce in più rispetto a qualsiasi altro libro, film, fumetto che tratti di quell’epica impresa dei trecento eroi spartani contro l’immensa onda dell’esercito persiano: l’eccezionale potere di coinvolgimento nelle vicende e l’estremo e minuzioso realismo con cui sono descritte le cruente fasi di battaglia. Attraverso una prosa secca ma nel contempo densa di significato, l’autore narra attraverso lo scriba del Re persiano Serse, il racconto di Xeone, arciere e scudiero dell’esercito del Re spartano Leonida sopravvissuto al massacro: si parte dall’infanzia del guerriero sfuggito al saccheggio della sua città assieme alla cugina e rifugiatosi poi a Sparta, dove dopo un duro periodo di apprendistato durante il quale stringe un forte legame con Alessandro, diviene scudiero di uno degli esponenti di maggior spicco e valore tra i Lacedemoni (Dienece), per poi partecipare, come indicato alla battaglia tra la schiera dei trecento eroi spartani. Da notare che ogni personaggio del romanzo possiede una forte e solida personalità e rispecchia caratteristiche qualità ben definite e differenti: difficile quindi non affezionarsi e non seguirne con rapimento le gesta.  Come accennato, il realismo e la naturalezza con cui sono narrate le fasi di battaglia (ma non solo) rasenta la perfezione: l’autore non si fa alcun problema ad accennare a crani sfasciati, gambe mozzate, fango sudore sangue, interiora, persino feci e urine… il risultato è che sembra quasi di essere immersi nel campo di battaglia, di trovarsi tra la polvere e il fango di quell’angusto passo e di respirarne l’aria fetida.  Va citata poi l’estrema cura con cui lo scrittore descrive Sparta in tutta la sua interezza: la vita, l’addestramento, la guerra, il rapporto tra i sessi.. Un vero e proprio inno a ciò che Sparta rappresenta, una città in cui l’uomo poteva veramente dirsi libero attraverso una vita donata al sacrificio, votata al superamento di Sé, attraverso il superamento di sforzi fisici, psicologici e spirituali, in modo da non cedere mai a phobos, ovvero alla paura. A Sparta nascevano, crescevano, morivano uomini temprati col fuoco, pronti a sopportare qualsiasi prova e capaci di resistere, grazie all’affiatamento e al “mastice” che inevitabilmente univa uomini guidati dalla stessa forza divina, contro le forze organizzate dal Re persiano Serse. A tal proposito, si riporta un intero passo tratto dal libro, un ode da parte di Pressfield a ciò che veramente era Sparta e i suoi guerrieri.

“Non c’è nulla che riempia il cuore di un guerriero di coraggio più che trovarsi - sé stesso e i suoi compagni - quasi sul punto dell’annientamento, sull’orlo della disfatta e della sopraffazione per poi ritrovare –non solo dentro di sé ma soprattutto grazie alla disciplina e all’addestramento- la presenza di spirito di non farsi prendere dal panico, non abbandonarsi alla disperazione, ma al contrario trovare la forza di fare quelle semplici azioni d’ordine che Dienece aveva sempre sostenuto essere dote suprema del guerriero: eseguire compiti normali in condizioni ben lungi dall’esser normali. E non solo per se stessi, da soli, come Achille o gli eroi di un tempo, ma come parte di un’unità, sentirsi accanto ai compagni d’arme, in un momento di caos e disordine, compagni che uno non conosce nemmeno, con i quali non si è mai addestrato; sentirli riempire gli spazi accanto a lui, dal lato dello scudo e quello della lancia, davanti e dietro, vedere compagni affrettarsi a coprire le falle e combattere, non in una frenesia e in un impeto dettato dalla paura, ma con ordine e compostezza, un ordine in cui ciascuno conosce il proprio ruolo e lo ricopre, a trarne forza così come l’altro trae forza dal resto dell’unità; e in questi momenti il guerriero combatte veramente come un dio. (…) I medi erano soldati di valore, erano tanti e senza dubbio grandi nel combattere su un campo di battaglia ampio e aperto (…) ma non erano preparati al combattimento con la fanteria pesante degli elleni. Non sapevano reggere la spinta continua ed inesorabile, non erano abituati a mantenere il passo e muoversi all’unisono; non avevano avuto lo stesso addestramento degli spartani nel mantenere la posizione, la copertura a sé stessi e al compagno. Per cui ben presto si scomposero. Davanti agli spartani, si disperdevano come pecore che vedono un incendio nel proprio recinto, senza cadenza né coesione, alimentati solo dal coraggio che, sia pur enorme, non poteva certo prevalere con l’assalto disciplinato e compatto che ora si trovavano di fronte.”

Elio Carnico

Steven Pressfield, Le porte di fuoco, traduzione di Luciana Bianciardi, Rizzoli, 1999, pp. 452

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