domenica 16 giugno 2013

Franceco Cecchin - in memoriam

Francesco lotta ancor oggi, come ieri, al nostro fianco, contro i falsificatori e mistificatori della storia.
Verità e Giustizia non si manipolano:
Francesco, presente!  

Francesco Cecchin 16/06/1979 - 16/06/2013

Roma 16.06.1979 - Quando gli inquilini di via Montebuono, a Roma, si affacciarono dal balcone, attirati dalle forti grida provenienti da una donna in strada, appariva ai loro occhi una scena agghiacciante. Un giovane, Francesco Cecchin, esamine al suolo su un terrazzino, alto poco più di cinque metri, di proprietà della famiglia Ottaviani al civico cinque. Cosa molto strana, la sua posizione. Il corpo era perpendicolare al muro, a quasi un metro e mezzo dalla sua base, appoggiato di schiena, con la testa sopra un lucernario e orientata verso la parete. Ancora vivo ma privo di conoscenza, perdeva sangue dalla tempia e dal naso, nella mano destra un pacchetto di sigarette e nella sinistra un mazzo di chiavi di cui una, che sporgeva fra le nocche, era completamente piegata. Trasportato d’urgenza all’ospedale, in stato di coma, rimase tra la vita e la morte per diciassette lunghi giorni fino a quando il 16 giugno del 1979 il suo cuore smise di battere. La famiglia Cecchin proveniva da Nusco, un piccolo paesino in provincia di Avellino. Il padre, Antonio, era un funzionario del settore cinema al ministero dei Beni Culturali, la madre, Valeria, era casalinga. I figli, Maria Carla di diciannove anni e Francesco di diciassette, entrambi studenti. Trasferiti a Roma per motivi di lavoro, Francesco Cecchin aveva iniziato a fare politica nel Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, nella sezione di via Migiurtinia, un quartiere dove gli extraparlamentari di sinistra avevano il controllo totale del territorio. Svolgeva piccoli lavoretti presso “Radio Alternativa”e frequentava, prima, l’istituto tecnico “Mattei” e poi il liceo artistico di via Ripetta. Erano gli anni di piombo, anni in cui affiggere un manifesto significava rischiare la propria vita. Infatti, qualche ora prima della tragedia, la vigilia delle Elezioni Europee del 1979, Francesco Cecchin, insieme ad altri missini, si era ritrovato faccia a faccia con alcuni militanti di sinistra per difendere gli spazi di affissione. Ne scaturì una violenta rissa e minacce rivolte proprio a Francesco che si era opposto con tutte le forze. La sera del 28 maggio 1979, verso le ventidue, Francesco Cecchin, in compagnia della sorella Maria Carla, passeggiava, come al solito, in Piazza Vescovio in cerca degli amici. Il bar e l’edicola erano chiusi e per strada non vi era nessuno. Una fiat otto e cinquanta di colore bianca procedeva lentamente seguendoli. All’improvviso dalla macchina scesero due uomini, Francesco Cecchin fece appena in tempo a dire alla sorella di correre via e chiedere aiuto, che iniziarono l’inseguimento. Poi fu la sorella Maria Carla, insieme ad un altro militante missino, Marco Majetta, a trovare il corpo di Francesco Cecchin. La Polizia e i periti della scientifica cercarono subito di chiudere il caso con la motivazione della caduta accidentale. Ma qualcosa non quadrava. L’occhio sinistro era tumefatto, le labbra e il naso gonfi, un taglio sul collo, la milza spappolata, lividi su tutto il corpo e cosa strana gli arti superiori erano completamente integri. Come poteva un giovane di diciassette anni cadere nel vuoto senza cercare di attutire il colpo con le mani? Non credendo alla versione della caduta accidentale, i militanti missini si presentarono spontaneamente in Questura per rendere le loro testimonianze e segnalare che l’inseguimento era stato preceduto da un violento scontro con alcuni militanti di sinistra. Convinti che le loro dichiarazioni non erano state prese in considerazione dalla Polizia, tre ragazzi, Amadio, Guglielmetti e Alemanno, diedero vita ad una vera e propria controinchiesta ufficiosa. Un dossier molto meticoloso con le ultime ore di Francesco Cecchin, referti dell’ospedale, rilievi delle scie di sangue sulla strada, i tempi e i numeri di targa delle macchine. Il Primo luglio del 1979 un giovane usciva dalla Questura in manette, scortato da due carabinieri, per essere condotto in carcere. Stefano Marozza, ventitre anni era stato fermato dalla Polizia. Proprietario di una fiat otto e cinquanta di colore bianca, militante comunista, un alibi che vacillava, qualche contraddizione davanti al Magistrato e tutto rimetteva in discussione una vicenda che sembrava ormai chiarita. Il 21 novembre del 1979 tutti i giornali riportavano l’esito delle perizie ordinate dal Pubblico Ministero. Non vi era nessun elemento che poteva provare con certezza il pestaggio, niente che poteva dimostrare che Francesco Cecchin era stato gettato dal terrazzino nel vuoto contro la sua volontà. Dopo più di un anno e mezzo, nel gennaio del 1981, la Corte d’Assise di Roma emise la sentenza dichiarando Stefano Marozza assolto con formula piena per “non aver commesso il fatto”, e soprattutto rimproverando la Polizia Scientifica di aver condotto in maniera superficiale, confusa e incompleta le indagini volte ad accertare la realtà dell’accaduto. Ad un anno dalla scomparsa di Francesco Cecchin, tre giovani militanti del Fronte della Gioventù romano, si spinsero fino a Nusco per un omaggio alla tomba del loro camerata. Tra questi, oltre ad Alemanno e Amadio, anche un altro giovane, Paolo Di Nella. Nessuno potrà immaginare che, solo tre anni più tardi, toccherà a lui la tragedia di una morte gemella a quella dell’amico Francesco.

fonte: libero-mente.blogspot.it

Nessun commento: