(Fonte: it.sputniknews.com)
L’Occidente, spinto ovviamente da sentimenti di generosità, vorrebbe portare la democrazia e la libertà ovunque, se poi in realtà l’effetto che si ottiene è il caos e la guerra, si tratta di incidenti. Tutto dipende da chi sono “i buoni e i cattivi”.
Esistono nazioni che agiscono solo nel bene dell'umanità, come gli Stati Uniti, almeno così si racconta in Occidente, dove, come ritiene Fulvio Scaglione "la lettura degli eventi dalla parte degli altri non la si fa mai. Tutto funziona come nel sistema degli indiani e dei cowboy, dove gli occidentali sono ovviamente i cowboy". È uno scenario che si ripete tristemente in Iraq, Libia, Siria.
Quale sarà il ruolo della Russia sull'arena mondiale e negli equilibri in Medio Oriente nel 2016? Sputnik Italia ha raggiunto per una riflessione in merito Fulvio Scaglione, vice direttore di "Famiglia Cristiana".
— Secondo lei possiamo dire che in Italia attorno alla Russia si sia creato un tifo da stadio: c'è chi la demonizza e chi la idealizza a priori?
— Sì, sono d'accordo. Penso che non sia una cosa positiva. Esattamente come penso non sia positivo fare il tifo da stadio in questioni che coinvolgono milioni di vite in Medio Oriente e in Ucraina ad esempio. Bisognerebbe cercare di capire. Mentre noi occidentali siamo convinti che le nostre azioni siano improntate alla ricerca del bene, pensiamo che le azioni degli altri siano improntate alla ricerca dell'interesse. Pensiamo in questo modo che le nostre azioni siano più nobili. In realtà, come si sa, tutte le grandi nazioni non hanno sentimenti, hanno soltanto interessi.
— Perché in Occidente si ragiona in termini di "buoni e cattivi"?
— L'Occidente si è detto che nel 2003 con l'invasione dell'Iraq si andava lì per portare il benessere e la democrazia. Intanto, non ci siamo affatto riusciti, perché vediamo com'è messo oggi l'Iraq: per un terzo è invaso dall'Isis, per il resto, il Paese è una giacca tirata da tutte le potenze regionali. L'Occidente per ottenere questo fallimento ha decretato un embargo di 13 anni contro Saddam Hussein, che non ha ovviamente scalfito il potere di Hussein, ma secondo le statistiche dell'ONU in 13 anni ha fatto morire 500 mila iracheni.
Poi nel 2003 è arrivata la guerra e, secondo gli ultimi studi, le violenze da essa derivate hanno fatto morire altri 500 mila iracheni. Noi in 15 anni, grosso modo, abbiamo fatto morire un iracheno su 30. In quale modo si può giustificare una strage di tali dimensioni? Non c'è niente che giustifichi un milione di morti! Il problema è che noi non ce lo raccontiamo così.
Pensiamo che siccome volevamo portare la libertà, quelli sono incidenti, ma non è vero che sono incidenti. Finisce sempre così! In Iraq, In Siria e in Libia. La lettura degli eventi dalla parte degli altri non la facciamo mai. Tutto funziona come nel sistema degli indiani e dei cowboy, dove noi siamo ovviamente i cowboy.
— Secondo lei quale sarà il ruolo della Russia nel 2016 sull'arena mondiale?
— Penso che la Russia possa continuare a giocare il ruolo che ha avuto nel 2015. È vero che è intervenuta in Siria, è vero che è coinvolta nella grave crisi ucraina, ma è anche vero che ha fatto da mediatore decisivo per la firma del trattato sul nucleare con l'Iran. Questo ruolo è stato riconosciuto dallo stesso Barack Obama. Nell'ambito delle sue possibilità, grandi ma non enormi, la Russia può continuare a giocare questo ruolo, che è importante perché nel Medio Oriente interviene su un assetto, il quale ha quasi un secolo di vita. Parlo dell'assetto per cui l'Occidente è completamente schierato con il mondo sunnita contro il mondo sciita ed è schierato con l'Arabia Saudita.
I fatti di questi giorni sono l'ennesimo tassello di un fenomeno già ampiamente dimostrato: non possiamo più concedere al mondo sunnita e in particolare all'Arabia Saudita una tale libertà d'azione e una totale impunità.
— E la Russia in questo contesto che ruolo gioca?
— Credo che il ruolo della Russia sia quello di riequilibratore di questo sbilanciamento, che si ritorce anche contro di noi. Molto dipenderà dalla situazione economica, dal prezzo del petrolio, dall'inflazione. Meno un Paese è economicamente fragile, più ha possibilità di farsi valere sulla scena internazionale. Lo vediamo bene dall'Italia, che quando era la settima potenza industriale del mondo aveva anche in Europa un peso ben diverso da quello che ha ora, che è la decima nazione industrializzata del mondo.
Tatiana Santi
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