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venerdì 21 ottobre 2011

L’animo ribelle

Alcune righe di riflessione di un nostro militante, nude e crude, di getto, senza finti moralismi.
Stessa età di quelli che hanno devastato San Giovanni a Roma, ma una diversa visione del mondo. Quella tradizionale.

 
Difficile negare che, nemmeno per un istante, presi dall’emotività e dalle immagini in diretta delle televisioni, mi sia balenato in testa che sarebbe bello che quella fosse la rivoluzione. Tralasciando gli attori dei disordini per le strade di Roma, per un solo attimo tutto ciò mi è passato per la testa.
Poi, però, rifletto e torno lucido. E allora, le stesse immagini mi trasmettono tutt’altro: molti ragazzi, senza ideali, disordinati, incappucciati, rozzi e sporchi danno sfogo alla loro rabbia animalesca repressa, distruggendo un quartiere di Roma. Imbrattano muri (di edifici in cui abitano persone come loro), incendiano auto (di persone come loro) e si scagliano contro le forze dell’ordine. Che, come tattica di guerriglia urbana vuole, li lasciano sfogare, indirizzandoli dove vogliono, portandoli dove meglio credono e facendo credere a quei 100-200-300 (non è rilevante) ragazzi che ce la stanno facendo. Che li stanno cacciando dalla piazza. Così, domani, non si parlerà della manifestazione ma solo dei disordini. Governo felice, poliziotti bravi ad eseguire gli ordini, manifestanti delusi e quei 100-200-300 sfogati per un altro po’.
Bello il giochetto del regime, in cui questi anarco-insurrezionalisti del 2011 pensano di giocare il ruolo dei rivoluzionari, ma in realtà sono solo dei topolini in gabbia. Ma questi pomeriggi nell’ottobrata romana li convince di aver vinto. Però, non hanno vinto niente. La violenza fine a sé stessa, per trovare una copertina e danneggiare i servizi pubblici (proprio quelli per cui “lottano”…), è l’ennesima azione stupida, di chi non sa cosa vuole e crede di mettere paura a qualcuno.
Poi, magari, ti lasciano (guarda caso…) un blindato da dare alle fiamme. Come sempre. E’ fatto apposta, per avere più foto da sparare sui giornali. E proteggere ancora di più i Potenti “che queste cose non le fanno e le condannano fermamente”. Ma questa orda non è lucida e non vede i fili che muovono le sue braccia. Quindi, cade nella trappola ed infiamma il mezzo dei Carabinieri.
E allora, da quelle immagini, confermo e ribadisco la mia scelta di lotta: azione, e non agitazione; impegno militante quotidiano, e non sporadica violenza sfogata quando il regime mi permette di farlo; affermazione di uno Stile, di un modo di essere differente, uno sguardo accecante su questo mondo buio e tenebroso, quotidiana guerra culturale per affermare la visione del mondo tradizionale, la Tradizione; formazione, tramite l’attività militante, stretto ai camerati della mia comunità, col confronto, la fratellanza di spirito e la ferma convinzione che noi no, non siamo bestie che si sfogano quando il burattinaio te lo ordina: noi andiamo in guerra contro questo mondo ogni giorno e siamo noi a deciderlo, perché siamo liberi. Noi siamo quelli che su queste rovine vogliono alzarsi in piedi, quelli che lanciano il loro grido di lotta in ogni singola azione. E siamo, davvero, pronti a tutto.

giovedì 2 giugno 2011

I combattenti e la Mistica Fascista [recensione]


Giovedì 2 giugno 2011: mentre l'italietta borghese del nuovo millennio festeggia in pompa magna la festa della sua repubblichetta schiava, scialba e caricaturale, a Civitavecchia – ospiti della comunità di Azione Punto Zero – la comunità militante di Raido e i molti ospiti pervenuti all'evento rendevano omaggio ai Combattenti dell’Onore, espressione di un esempio ben più alto e solenne di Repubblica, quella Sociale e Italiana, la RSI. L’incontro è stato onorato dalla presenza dell’Avv. Mario Niglio, Antonio Pedrini, Mario Cohen, Filippo Giannini, Stelvio Dal Piaz e dall’Ausiliaria Nadia Sala.

L’ottima l'affluenza, soprattutto giovanile, è stata il segno che l'esempio travalica le generazioni e le ricollega misticamente in un connubio ideale e cameratesco. Dopo una breve introduzione a cura del moderatore, il Responsabile di Azione Punto Zero, ha sottolineato l’importanza di un evento che è stato organizzato per essere un momento di riflessione e di incontro e non una semplice celebrazione nostalgica o ancor peggio folkloristica. “Chi racconta che siamo in uno condizione di pace è un bugiardo, così come chi ci vuol far credere che possiamo farcela da soli, tenendoci divisi, senza essere un gruppo o una comunità organizzata” questo l’incipit dell’intervento. Siamo in una  condizione di guerra perenne, tra le rovine, contro il mondo moderno e l'importanza che il passato, l'esempio e l'eredità rivestono nella nostra lotta, ha un carattere centrale. Di seguito la parola è passata ad un membro di Raido, il quale ha illustrato il perché questa comunità, grazie all'aiuto della casa editrice Il Cinabro, abbia voluto comporre una raccolta degli scritti di Niccolò Giani e perché si è interessata particolarmente all'istituzione della Scuola di Mistica Fascista.

Giani, facile intuirlo, fu il fondatore e l'animatore più intransigente della scuola di Mistica, fu colui che seppe istruire alla lotta e alla fede le generazioni più nobili della gioventù fascista ma fu soprattutto colui per il quale i fatti e le azioni contarono più delle sue parole o della sua penna. Penetrare quindi nelle motivazioni che hanno portato Raido a questo percorso di ricerca certosina non sarà certo complicato per chi ritiene ancora possibile una rettificazione in senso spirituale di questa società; una rettificazione possibile solo attraverso la rettificazione degli uomini che la compongono, una rettificazione che passa anche attraverso i grandi esempi della storia - come furono Giani e i suoi compagni - e come lo sono i numerosi Combattenti presenti a questo incontro, testimoni di quelli che furono le ignobili macchinazioni che portarono alla fondazione di questa repubblichetta serva degli interessi angloamericani, nata da tradimenti, infamie e ruberie.

La contrapposizione è tanto più netta quando la si mette di fronte alle severe parole del combattente Stelvio dal Piaz, relatore dell'incontro, che parla senza mezzi termini di un'Italia che dopo l'8  Settembre ha eretto la sua incoerenza a sacro vessillo e la sua laicità a canone. Un'Italia che è al suo punto più basso perché ha smarrito completamente il senso del Sacro, a fronte del nostro schieramento che fa coincidere solennemente la religione come politica ed ancor più la politica come religione, come appunto nella Mistica Fascista. Disconoscendo il significato della Fede, l'Italia post-bellica ha ritenuto doveroso diffamare e delegittimare gli Eroi per giustificare la codardia e l'incoerenza dei suoi epigoni. Ed ecco che l'esempio della Mistica torna oggi a rivivere con più forza dentro i cuori di chi è disposto ad essere un “provocatore” e non “uno del gregge”, un uomo che non scende a compromessi con il mondo moderno e che è militante 24 ore al giorno, di chi sa che si deve fare ciò che è giusto senza farsi domande sul risultato materiale o sul proprio tornaconto personale.

Infine le emozionanti parole dell'avv. Mario Niglio che hanno introdotto una lettera scritta da un condannato a morte della RSI, intrisa di senso eroico e di rara poesia legionaria. Un lascito spirituale ai reduci ed ai combattenti di una guerra materialmente perduta sul campo di battaglia ma non certo su quello ideale, un patrimonio da custodire preziosamente dai giovani militanti di oggi.

La giornata si è quindi conclusa con un ricco pranzo in un clima conviviale e cameratesco, protrattosi fino a pomeriggio inoltrato. Ringraziando ancora Azione Punto Zero e tutte le comunità intervenute, in special modo quella di Cerveteri, il prossimo appuntamento –  di tutt'altra tensione ma certamente da non perdere – è per l'11 giugno all’Agro Romano a Maccarese con “Comunitaria”, la festa delle comunità militanti, tra musica, birra, gastronomia, stand e tanto altro.

lunedì 15 febbraio 2010

In missione per Rutilio

Cronaca di un viaggio, con gli occhi di un accompagnatore molto giovane. Le sue parole sono di insegnamento anche per i più grandi e fanno riflettere sul significato della militanza.

Si parte dalla libreria alle tre meno un quarto. E’ sabato 13 e il Sole è alto e imponente in un cielo cristallino come da settimane non si vedeva; non c’è pranzo fuori o scampagnate che tengano: la militanza chiama e la sua voce è forte. Noi due militanti, rispettivamente di Raido e del suo Cuib femminile siamo diretti a Montecompatri ai Castelli Romani, per andare a prendere un guerriero: Rutilio Sermonti. Non penso abbia bisogno di presentazioni; dalla Seconda Guerra mondiale, in cui ha combattuto tra le file delle SS e della RSI, non è più tornato dai campi di battaglia facendosi testimone ed esempio vivo di quei valori eterni cui noi cerchiamo di ispirarci giorno per giorno. Può essere nient’altro che un grande onore dover assolvere una funzione come questa che ci è stata assegnata. Arrivati a Montecompatri veniamo accolti nella sua casa, tempo di organizzare le ultime cose e si parte alla volta di Civitavecchia, dove ci aspettano i camerati che hanno organizzato l’evento in cui Sermonti dovrà sostenere un incontro, il titolo del quale è “Il dovere dell’azione”. Durante il tragitto abbiamo goduto dei racconti e delle testimonianze del guerriero: un’occasione unica, da prendere al volo, che non capita tutti i giorni e di cui solo in pochi hanno l’opportunità di godere.

Arriviamo a Civitavecchia, ordiniamo al volo la sala, e per le diciotto e quindici l’incontro può iniziare. La realtà è di provincia, le adesioni non sono molte, ma sicuramente “sentitissime” ed il relatore ha incantato tutti gli ospiti presenti con le sue storie di vita ed i suoi imperativi categorici per come organizzare un piano di contrattacco politico contro la vuotezza dei nostri tempi. Sono andati a ruba i suoi libri, tra i quali pietre miliari come “Stato organico” o i suoi manuali del militante.

Da lì ci siamo diretti con Sermonti a Santa Marinella dove ci avrebbe aspettato un altro reduce, persona di gran cultura, anch’esso con la sua presenza, forza e luce del fuoco di chi è esempio: l’avvocato Niglio. Classe 1918, vecchio camerata di Sermonti, ci ha accolto con grande calore nella sua casa, appena dopo aver scambiato con Rutilio un fraterno e cameratesco abbraccio. E’ nata tra i due reduci una conversazione unica, della quale la particolarità e il fascino forse non potrò più godere in vita mia: due vecchi reduci del loro calibro con la storia che si portano sulle spalle (del durante e del dopo la guerra!). Curiosità: Niglio fu anche marito della figlia del segretario del Partito Nazionale Fascista Roberto Farinacci.

Mi è venuta in proposito una riflessione, in seguito proprio alla morte del professor Pio Filippani Ronconi, del quale i funerali sono stati fatti la stessa mattina: siamo l’ultima generazione in grado di poter venire a contatto con personalità del genere e proprio in base a ciò penso sia doveroso, per gente come noi, cercare di trarre beneficio massimo della presenza di queste “stelle polari”, mentre troppo spesso purtroppo anteponiamo le nostre futili preoccupazioni borghesi ad occasioni del genere. Dal caso particolare si trasponga il tutto in maniera universale: potere approfittare delle più varie occasioni militanti, che portano sempre a livello sia interiore che esteriore, a qualcosa di buono, senza “disperderci” troppo nelle nostre più svariate piccole situazioni personali; sempre cercando ovviamente la giusta misura.

Un po’ provato per l’intensa giornata, grande sforzo per un “giovane” ottantanovenne – come si sa la giovinezza per noi è una qualità interiore, verso le ventuno e trenta si riparte per Montecompatri per riaccompagnare Rutilio a casa; non ci siamo fatti scappare l’occasione e anche in questo momento il Guerriero ci ha offerto un po’ delle sue memorie, come, molto interessanti, le impressioni che gli suscitavano i suoi incontri con Evola.

La giornata si è chiusa, con molta soddisfazione alle ventitrè e trenta, al nostro rientro a Roma.

martedì 9 febbraio 2010

Essere Militanti

Riproponiamo qui, uno scritto apparso qualche anno fa sul blog Aurhelio perchè riteniamo che esso sia utile per focalizzare il senso della parola militante. Oggi , questa parola, è troppo spesso confusa con una vaga idea di una appartenenza mentale ad un mondo, in realtà essere militante è innanzitutto coerenza tra pensiero e azione. Essere militante significa donare tempo, denaro, dedizione e sacrificio costante, alla causa, senza badare ai frutti. E' il momento di schiarire le idee a chi ne ha davvero bisogno.

Essere militanti

Se questa realtà non ci piace, se in qualche modo ci sentiamo estranei, nostro deve essere il compito di cambiarla, di favorire quelle forze a noi amiche e di creare un clima propizio. Se il compito del militante è quello di conquistare la realtà, come riflesso della propria affermazione interiore, le azioni quotidiane acquistano un nuovo e un diverso significato, per il militante non è importante ciò che si compie, ma come si compie.
L’uomo di milizia, pur vivendo in questo mondo, sente di esserne estraneo, sente di non appartenergli e con fermezza rifiuta i compromessi, le convenzioni e le ipocrisie.
Bisogna finirla con la vanità esibizionista di “apparire” ad ogni costo, di considerarsi importanti e ad essere privi d’umiltà, ritenendosi infallibile e comportandosi in modo borioso, irascibile e senza scrupolo. Abbandonare ogni arroganza e tracotanza, segno di un vero “complesso d’inferiorità”, che vuole le persone uniformate ad un unico schema mentale. Finirla di sostituire l’utilità e la menzogna alla Verità e alla Giustizia, di essere un tipo superficiale insicuro e nevrotico, volgare e triviale, la cui legge è solo la sopraffazione e la violenza gratuita. Incapaci di assumere un carattere e una disciplina, incapaci di assumersi le proprie responsabilità, di conoscere il senso della distanza, del rispetto, della gerarchia e dell’autorità. Il cameratismo è confuso con la complicità: difendere le posizioni indifendibili; il semplice divertirsi: all’eroica strafottenza legionaria del “me ne frego”, si è sostituito il “faccio quello che voglio”; calpestando se serve anche la dignità dei militanti: “il fine giustifica i mezzi”. Tra camerati non devono esistere sospetti o malintesi, mezze parole e mezze verità, i rapporti devono essere sempre chiari, stabili e coerenti, non è ammesso essere torbidi e tortuosi. Il militante non ha paura di mettersi in discussione, con realismo e coerenza, il suo stile è l’azione impersonale e la sua volontà è la forza di sconfiggere ogni bassezza e ogni viltà. Fra camerati ognuno è chiamato ad una gara per essere di esempio, il cameratismo è innanzitutto un’apertura d’amore che richiede una risposta d’amore, è un donarsi totale e disinteressato. Perché nel mondo del profitto e dello sfruttamento il dono è un atto rivoluzionario.
Per molti ribellarsi alla società borghese, è diventato il sinonimo di vivere alla giornata, rifiutando di studiare o di lavorare, di dare conto dei propri impegni e delle proprie responsabilità. Si prende come proprio modello il “ribelle” ma l’esperienza ha provato che dietro questa parola, troppo spesso non si cela un atteggiamento “rivoluzionario” o se si preferisce “l’uomo differenziato”, ma il disadattato che contesta solo perché è incapace di cambiare la realtà che lo circonda. La “rivolta”, allora, non è altro che un sinonimo di fuga dalla realtà, una carta di tornasole per mascherare e giustificare la propria impotenza.
Il militante, al contrario, oppone all’ideale borghese della comodità e della mediocrità, lo stile “guerriero” di chi affronta la vita con entusiasmo e consapevolezza. La lucidità rivoluzionaria di chi non si tira indietro dinanzi alle prove che la vita gli presenta.
L’anticonformismo, tanto declamato, si è trasformato nel più ridicolo dei conformismi, uno scetticismo etico, una critica contro ogni autorità, un adattamento alla società dei consumi e al suo modello assorbito passivamente senza alcuna reazione radicale. Così si diventa sempre più standardizzati, si è spersonalizzati e privi di carattere, è il trionfo dell’uomo massa che si annulla nell’anonimato delle metropoli, che vive nei quartieri dormitori dove nessuno si conosce e nessuno si preoccupa degli altri, favorendo l’anarchia senza regole
Il militante non è un obiettore di coscienza, un anarchico o un emarginato, egli interiormente si sente assolutamente fuori dalla società, ne è completamente estraneo, sente che questo mondo non gli appartiene, ne lui vi vuole in qualche modo appartenere. Al limite, può comprendere chi come lui rifiuta questo mondo e si schiera contro di esso, siano essi “disadattati” o “asociali”, ma dal momento che la sua vita non s’incontra con quella dei suoi contemporanei, rimane distaccato dalle loro disavventure. Il Militante, forte della sua visione aristocratica chiara e disincantata, non offre presa alcuna al potere, anzi ne vuole la sua completa disintegrazione, e nello stesso tempo sa proporre l’alternativa di valori superiori. Non si comporta come un delinquente o uno sbandato, ma assume lo stile dello spirito guerriero, pur accettando di vivere insieme a mille difficoltà lo fa con onore e dignità. Non ha nulla a che vedere con il ribelle o il disperato, sempre più agito e agitato dalle sue insoddisfazioni, suoi modelli non sono l’arrivista o il rivendicatore sociale, bensì agisce in modo impersonale, senza badare a vittoria o sconfitta. Avere stile significa fare delle scelte, scoprire in positivo che cosa si è; in negativo individuare il proprio nemico imponendo alla propria esistenza un riferimento superiore come se fosse naturale e spontanea l’obbedienza, una volontà di dominio e di affermazione assoluta. Si tratta, quindi, di ridestare la volontà come principio di affermazione eroica.