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lunedì 30 novembre 2015

SEGUIRE LA LUCE, SEGUIRE L'ESEMPIO

Azione virtuosa come azione impersonale. Essa è tale solo perchè spontanea e non mossa da desideri individualistici ed egoistici. Nel momento in cui la compiamo con lo scopo di trarne giovamento materislistico personale, essa si svilisce irrimediabilmente. Il fine deve essere semplicemente il bello ed il giusto, a beneficio della comunità.
La paura di "andar contro" ad altri, il pensiero di attirarci antipatie ed incomprensioni, non ci tocca, perchè siamo sicuri di agire nel giusto e non ci poniamo problemi nel dire e fare ciò che veramente siamo.

"Se amiamo la virtù solo per il fatto che vien notata, la macchiamo di orgoglio. Noi non siamo più virtuosi nel momento in cui desideriamo che la virtù, che riteniamo aver raggiunto, sia vista e ammirata. Così avviene per tutte le virtù. Esse sono belle e dolci se le amiamo di per se stesse, se le coltiviamo per il solo piacere di averle raggiunte.
Noi procediamo nella vita senza neanche pensare al fatto che potremmo non essere compresi. I cuori senza complicazioni non immaginano le complicazioni degli altri. I cuori puri non immaginano che altri cuori siano maligni o impuri" Leon Degrelle

venerdì 6 novembre 2015

SEGUIRE LA LUCE, SEGUIRE L'ESEMPIO

Un azione virtuosa rimane tale solo in quanto priva di qulasiasi desiderio egoistico e materialistico. Quando la sporchiamo con l'orgoglio, e col desiderio di ricavarne in cambio privilegio, essa svilisce: Azione come rappresentazione del divino, senza scopi meschini, e compiuta unicamente per il raggiunigimento del giusto e del vero a beneficio della comunità. Azione impersonale e diretta, azione senza condizionamenti.
Noi non ci poniamo il dubbio su che pensiero gli altri si facciano della nostra azione, in quanto agiamo col cuore, seguendo la via segnata dalla Tradizione. Noi facciamo e siamo quello che pensiamo.


"Se amiamo la virtù solo per il fatto che vien notata, la macchiamo di orgoglio. Noi non siamo più virtuosi nel momento in cui desideriamo che la virtù, che riteniamo aver raggiunto, sia vista e ammirata. Così avviene per tutte le virtù. esse sono belle, dolci, se le amiamo di per sè stesse, se le coltiviamo per il solo piacere di averle raggiunte.

Noi procediamo nella vita senza neanche pensare al fatto che potremmo non essere compresi. I cuori senza complicazioni non immaginano le complicazioni degli altri. I cuori puri non immaginano che altri cuori siano maligni o impiuri"
Leon Degrelle



lunedì 20 dicembre 2010

Solstizio d'Inverno

Vi sono riti e feste, sussistenti ormai solo per consuetudine nel mondo moderno, che si possono paragonare a quei grandi massi che il movimento delle morene di antichi ghiacciai ha trasportato dalla vastità del mondo delle vette giù, fin verso le pianure.
Tali sono, ad esempio, le ricorrenze che come Natale ed anno nuovo rivestono oggi prevalentemente il carattere di una festa familiare borghese, mentre esse sono ritrovabili già nella preistoria e in molti popoli con un ben diverso sfondo, compenetrate da un significato cosmico e universale. Di solito, passa inosservato il fatto che la data del Natale non è convenzionale e dovuto solo ad una particolare tradizione religiosa, ma è determinata da una situazione astronomica precisa: è la data del solstizio d’inverno.
E proprio il significato che nelle origini ebbe questo solstizio andò a definire, attraverso un adeguato simbolismo, la festa corrispondente. Si tratta, tuttavia, di un significato che ebbe forte rilievo soprattutto in quei progenitori delle razze indoeuropee, la cui patria originaria si trovava nelle regioni settentrionali e nei quali, in ogni caso, non si era cancellato il ricordo delle ultime fasi del periodo glaciale. In una natura minacciata del gelo eterno l’esperienza del corso della luce del sole nell’anno doveva avere un’importanza particolare, e proprio il punto del solstizio d’inverno rivestiva un significato drammatico che lo distinguerà da tutti gli altri punti del corso annuale del sole. Infatti, nel solstizio d’inverno, il sole, essendo giunto nel suo punto più basso dell’eclittica, la luce sembra spegnersi, abbandonare le terre, scendere nell’abisso, mentre ecco che invece essa di nuovo si riprende, si rialza e risplende, quasi come in una rinascita. Un tale punto valse, perciò, nei primordi, come quello della nascita o della rinascita di una divinità solare. Nel simbolismo primordiale il segno del sole come “Vita”, “Luce delle Terre”, è anche il segno dell’Uomo. E come nel suo corso annuale il sol e muore e rinasce, così anche l’Uomo ha il suo “anno”, muore e risorge. Questo stesso significato fu suggerito, nelle origini, dal solstizio d’inverno, a conferirgli il carattere di un “mistero”. In esso la forza solare discende nella “Terra”, nelle “Acque”, nel “Monte” (ciò in cui, nel punto più basso del suo corso, il sole sembra immergersi), per ritrovare nuova vita. Nel suo rialzarsi, il suo segno si confonde con quello de “l’Albero” che sorge (“l’Albero della Vita” la cui radice è nell’abisso), sia “dell’Uomo cosmico” con le “braccia alzate”, simbolo di resurrezione. Con ciò prende anche inizio un nuovo ciclo, “l’anno nuovo”, la “nuova luce”. Per questo, la data in questione sembra aver coinciso anche con quella dell’inizio dell’anno nuovo (del capodanno). È da notare che anche Roma antica conobbe un “natale solare”: proprio nella stessa data, ripresa successivamente dal cristianesimo, del 24-25 dicembre essa celebrò il Natalis Invicti, o Natalis Solis Invicti (natale del Sole invincibile).
In ciò si fece valere l’influenza dell’antica tradizione iranica, da tramite avendo fatto il mithracismo, la religione cara ai legionari romani, che per un certo periodo si disputò col cristianesimo il dominio spirituale dell’Occidente. E qui si hanno interessanti implicazioni, estendendosi fino ad una concezione mistica della vittoria e dell’imperium.
Come invincibile vale il sole, per il suo ricorrente trionfare sulle tenebre. E tale invincibilità, nell’antico Iran, fu trasferita ad una forza dall’alto, al cosiddetto “hvareno”. Proprio al sole e ad altre entità celesti, questo “hvareno” scenderebbe sui sovrani e sui capi, rendendoli parimenti invincibili e facendo si che i loro soggetti in essi vedessero uomini che erano più che semplici mortali. Ed anche questa particolare concezione prese piede nella Roma imperiale, tanto che sulle sue monete, spesso ci si riferisce al “sole invincibile”, e che gli attributi della forza mistica di vittoria sopra accennata si confusero non di rado con quelli dell’Imperatore.
Tornando al “natale solare” delle origini, si potrebbero rilevare particolari corrispondenze in ciò che ne è sopravvissuto come vestigia, nelle consuetudini della festa moderna. Fra l’altro un’eco offuscata è lo stesso uso popolare di accendere sul tradizionale albero delle luci nella notte di Natale. L’albero, come abbiamo visto, valeva infatti come un simbolo della resurrezione della Luce, di là della minaccia delle notte. Anche i doni che il Natale porta ai bambini costituiscono un’eco remota, un residuo morenico: l’idea primordiale era il dono di luce e di vita che il Sole nuovo, Il “Figlio”, dà agli uomini. Dono da intendersi sia in senso materiale che in senso spirituale.
[…] Avendo ricordato tutto ciò, sarà bene rilevare che batterebbe una strada sbagliata chi volesse veder qui una interpretazione degradante tale da trascurare il significato religioso e spirituale che ha il Natale da noi conosciuto, riportando all’eredità di una religione naturalistica e per ciò primitiva e superstiziosa. […] Una “religione naturalistica” vera e propria non è mai esistita se non nella incomprensione e nella fantasia di una certa scuola di storia delle religioni […] oppure è esistita in qualche tribù di selvaggi fra i più primitivi. L’uomo delle origini di una certa levatura non adorò mai i fenomeni e le forze della natura semplicemente come tali, egli li adorò solo in quanto e per quel tanto che essi valevano per lui come delle manifestazioni del sacro, del divino in genere. […] la natura per lui non era mai “naturale”. […] Essa presentava per lui i caratteri di un “simbolo sensibile del sovrasensibile”. […] Un mondo di una primordiale grandezza, non chiuso in una particolare credenza, che doveva offuscarsi quando quel che vi corrispose assunse un carattere puramente soggettivo e privato, sussistendo soltanto sotto le specie di feste convenute del calendario borghese che valgono soprattutto perché si t ratta di giorni in cui si è dispensati dal lavorare e che al massimo offrono occasioni di socievolezza e di divertimento nella “civiltà dei consumi”.

Tratto da juliusevola.it