mercoledì 25 settembre 2013

"I Proscritti" di Ernst Von Salomon: la rivolta contro la decadenza morale del primo dopoguerra

Pubblichiamo un passo de "I Proscritti" di Ernst Von Salomon, di cui oggi cade l'anniversario di nascita . 
In quest'opera autobiografica, vengono descritti gli anni della nascita della repubblica di Weimar: anni di crisi morale profonda, dove viene calpestato ogni valore e annullato il senso profondo d'identità delle genti tedesche. Le disorientate giovani generazioni si ribellano, e tra essi, il protagonista che si arruola nelle Freikorps per dar voce a quella eroica rivolta dello Spirito Europeo e contrastare il tramonto dell'occidente. 

"Era già sera quando mio fratello mi condusse in un locale dove era solito incontrare degli amici: un circolo di uomini, alcuni più, altri meno giovani,
che occupavano il loro posto nella vita e si muovevano ed esprimevano con infinita sicurezza. Chiuso in un silenzio ostinato, ascoltavo i discorsi e la musica. Il locale era gremito, aveva pareti nude, di una tinta opaca e i pilastri lisci che mandavano un luccichio metallico. Sulla pedana c' erano dei suonatori con strani strumenti neri con un quantità di tasti d' argento.
Per innumerevoli domeniche, sospeso alla finestra della cella, avevo testo l' orecchio ai suoni confusi che arrivavano da un punto qualunque della città, forse un concerto sulla passeggiata cittadina, lontano dalle mura e, così almeno me lo figuravo, ascoltato da una folla estiva.
La musica che ascoltavo ora in quel cafè era forte e stranamente miagolante: si riduceva in fondo solo al ritmo e ricordava vagamente Grieg. L' ascoltai incuriosito, domandandomi se era ingenua o raffinata,poi mi arrabbiai perchè non era ne l' una ne l' altra, era semplicemente incomprensibile. Non ero affatto preso dalla musica come avevo sognato, e dubitavo di possedere anche un briciolo di comunicativa. 
Ogni tanto l' uomo che era sul podio direttoriale, un personaggio in frac, assai elegante e sicuro di se, afferrava un imbuto di latta e se ne serviva per mugolare nella sala, con espressioni rapite, qualcosa che doveva avere un effetto inebriante poiché i visi nudi di molte donne prendevano un' espressione nervosa, agitata, sensuale, e le loro gambe e le loro spalle si mettevano a sussultare. Poi cantò un negro e tutti i visi si voltarono verso di lui.
Sebbene la piena delle mie sensazioni mi confondesse, continuavo a starmene comodamente adagiato in una morbida poltrona. 
Bevvi un caffè che mi sembrò stranamente caldo e mi sforzai di accogliere in me tutto ciò che mi si offriva. I signori discutevano da dietro i loro occhiali brillanti, cerchiati di tartaruga, di politica, di automobili e di donne. Udii cose che mi erano completamente estranee e che mi sconcertarono, ma che fui costretto a credere, dal momento che se ne parlava con tanta disinvoltura e sicurezza. Sentivo, bruciando di vergogna, la mia assoluta insufficienza. Avrei fatto volentieri una quantità di domande, ma non essendo in grado di discorrere con gli altri su tutte quelle cose, mi sentivo in uno stato di inferiorità. Ero pieno fino a scoppiare dell' avventura della completa assenza di avventure; ogni volta che volevo pronunziare una parola mi tratteneva il timore di non poter uscire dal mondo circoscritto nel quale avevo vissuto fino allora. Tutti avrebbero fatalmente capito dal mio modo di esprimermi, pensavo, di qual mondo speciale di trattasse. Ciò non ostante, ero divorato da una voglia bruciante di parlare. Volevo formulare delle domande, volevo arrivare, attraverso quale caos di parole e di opinioni, fino a una qualche sostanza, volevo correre all' assalto per spezzare il cerchio dove ero imprigionato, ma ogni mio slancio era un salto contro un nastro di gomma.
Ma in realtà quelle persone così sicure di se non erano anche loro in certo modo incatenate? Riuscivano forse a varcare i loro limiti? Conoscevano l' avventura del sacrificio di se che solo da il diritto di spezzare i vincoli? Era questa la libertà che sognavo? Tutto ciò che quegli individui dicevano non era in fondo distorto ed unilaterale nella sua apparente versatilità? chi di loro era cosciente dell' istante in cui viveva? Chi di loro aveva costruito la sua vita come si dovrebbe costruirla se si fosse veramente liberi? In realtà avevano tutti una commuovente, sazia scontentezza mentre la mia bruciava e trafiggeva.
Il bilancio dei miei cinque anni era infondo attivo. Non l' avrei sopportato, diversamente. Ma non dovevo cader preda dello spirito borghese che è rigido, forse capace di movimento ma non vivo. E io dovevo vivere, vivere! Ero stato troppo tempo immobilizzato perchè potessi aspettare ancora di vivere. La legge della monotonia, che mi aveva dominato cinque anni, aveva sotto di se anche quei signori intelligenti, furbi, agitati. Ma in me c' erano fermenti che mi vietavano il passaggio da ceppi in altri ceppi; che mi lanciavano dalla paralisi nell' infinito, nella gioia, nell' inflessibilità: cose che sono al disopra delle parole.
Uscimmo finalmente e attraversammo la città vecchia. Mentre nelle strade principali sfavillavano lumi brillanti, qui la luna pendeva su comignoli aguzzi, contorti, e i gatti scivolavano con le code alzate sui tetti. Ciò che vedevo mi appariva irreale nella sua realtà e appunto per ciò provavo un senso di benessere. Non potevo più sopportare linee rette, e proprio quella confusione, inondata dal chiarore lunare che pur gettando ombre raddolciva ogni cosa, quella molteplicità che sola animava il cielo, mi davano poco a poco pace e sicurezza. Ero libero. Cinque anni della mia vita erano sommersi ed obliati."

Ernst Von Salomon

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