In quest'opera autobiografica, vengono descritti gli anni della nascita della repubblica di Weimar: anni di crisi morale profonda, dove viene calpestato ogni valore e annullato il senso profondo d'identità delle genti tedesche. Le disorientate giovani generazioni si ribellano, e tra essi, il protagonista che si arruola nelle Freikorps per dar voce a quella eroica rivolta dello Spirito Europeo e contrastare il tramonto dell'occidente.
"Era già sera quando mio
fratello mi condusse in un locale dove era solito incontrare degli amici: un
circolo di uomini, alcuni più, altri meno giovani,
che occupavano il loro posto nella vita e si muovevano ed esprimevano con
infinita sicurezza. Chiuso in un silenzio ostinato, ascoltavo i discorsi e la
musica. Il locale era gremito, aveva pareti nude, di una tinta opaca e i
pilastri lisci che mandavano un luccichio metallico. Sulla pedana c' erano dei
suonatori con strani strumenti neri con un quantità di tasti d' argento.
Per innumerevoli domeniche, sospeso alla finestra della cella, avevo testo l'
orecchio ai suoni confusi che arrivavano da un punto qualunque della città,
forse un concerto sulla passeggiata cittadina, lontano dalle mura e, così
almeno me lo figuravo, ascoltato da una folla estiva.
La musica che ascoltavo ora in quel cafè era forte e stranamente miagolante: si
riduceva in fondo solo al ritmo e ricordava vagamente Grieg. L' ascoltai
incuriosito, domandandomi se era ingenua o raffinata,poi mi arrabbiai perchè
non era ne l' una ne l' altra, era semplicemente incomprensibile. Non ero
affatto preso dalla musica come avevo sognato, e dubitavo di possedere anche un
briciolo di comunicativa.
Ogni tanto l' uomo che era sul podio direttoriale, un personaggio in frac,
assai elegante e sicuro di se, afferrava un imbuto di latta e se ne serviva per
mugolare nella sala, con espressioni rapite, qualcosa che doveva avere un
effetto inebriante poiché i visi nudi di molte donne prendevano un' espressione
nervosa, agitata, sensuale, e le loro gambe e le loro spalle si mettevano a
sussultare. Poi cantò un negro e tutti i visi si voltarono verso di lui.
Sebbene la piena delle mie sensazioni mi confondesse, continuavo a starmene
comodamente adagiato in una morbida poltrona.
Bevvi un caffè che mi sembrò stranamente caldo e mi sforzai di accogliere in me
tutto ciò che mi si offriva. I signori discutevano da dietro i loro occhiali
brillanti, cerchiati di tartaruga, di politica, di automobili e di donne. Udii
cose che mi erano completamente estranee e che mi sconcertarono, ma che fui
costretto a credere, dal momento che se ne parlava con tanta disinvoltura e
sicurezza. Sentivo, bruciando di vergogna, la mia assoluta insufficienza. Avrei
fatto volentieri una quantità di domande, ma non essendo in grado di discorrere
con gli altri su tutte quelle cose, mi sentivo in uno stato di inferiorità. Ero
pieno fino a scoppiare dell' avventura della completa assenza di avventure;
ogni volta che volevo pronunziare una parola mi tratteneva il timore di non
poter uscire dal mondo circoscritto nel quale avevo vissuto fino allora. Tutti
avrebbero fatalmente capito dal mio modo di esprimermi, pensavo, di qual mondo
speciale di trattasse. Ciò non ostante, ero divorato da una voglia bruciante di
parlare. Volevo formulare delle domande, volevo arrivare, attraverso quale caos
di parole e di opinioni, fino a una qualche sostanza, volevo correre all'
assalto per spezzare il cerchio dove ero imprigionato, ma ogni mio slancio era
un salto contro un nastro di gomma.
Ma in realtà quelle persone così sicure di se non erano anche loro in certo
modo incatenate? Riuscivano forse a varcare i loro limiti? Conoscevano l'
avventura del sacrificio di se che solo da il diritto di spezzare i vincoli?
Era questa la libertà che sognavo? Tutto ciò che quegli individui dicevano non
era in fondo distorto ed unilaterale nella sua apparente versatilità? chi di
loro era cosciente dell' istante in cui viveva? Chi di loro aveva costruito la
sua vita come si dovrebbe costruirla se si fosse veramente liberi? In realtà
avevano tutti una commuovente, sazia scontentezza mentre la mia bruciava e
trafiggeva.
Il bilancio dei miei cinque anni era infondo attivo. Non l' avrei sopportato,
diversamente. Ma non dovevo cader preda dello spirito borghese che è rigido,
forse capace di movimento ma non vivo. E io dovevo vivere, vivere! Ero stato
troppo tempo immobilizzato perchè potessi aspettare ancora di vivere. La legge
della monotonia, che mi aveva dominato cinque anni, aveva sotto di se anche
quei signori intelligenti, furbi, agitati. Ma in me c' erano fermenti che mi
vietavano il passaggio da ceppi in altri ceppi; che mi lanciavano dalla
paralisi nell' infinito, nella gioia, nell' inflessibilità: cose che sono al
disopra delle parole.
Uscimmo finalmente e attraversammo la città vecchia. Mentre nelle strade
principali sfavillavano lumi brillanti, qui la luna pendeva su comignoli
aguzzi, contorti, e i gatti scivolavano con le code alzate sui tetti. Ciò che
vedevo mi appariva irreale nella sua realtà e appunto per ciò provavo un senso
di benessere. Non potevo più sopportare linee rette, e proprio quella
confusione, inondata dal chiarore lunare che pur gettando ombre raddolciva ogni
cosa, quella molteplicità che sola animava il cielo, mi davano poco a poco pace
e sicurezza. Ero libero. Cinque anni della mia vita erano sommersi ed obliati."
Ernst Von Salomon
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