martedì 29 dicembre 2015

Quando si annulla il Natale



Nascondere la propria identità in nome dell’integrazione. È stata la scelta di diverse scuole in Italia, che per paura di urtare i sentimenti dei bambini non cristiani hanno preferito annullare il Natale.

Quando si annulla il Natale nelle scuole si nascondono le proprie tradizioni, ma per i bambini e gli stranieri di altre religioni che arrivano in Italia "è importante avere di fronte qualcuno che abbia una sua identità con cui parlare e confrontarsi", spiega Piergiorgio Acquaviva. La paura di urtare la sensibilità dell'altro è arrivata al punto di nascondere anche le opere d'arte che sono una parte imprescindibile della cultura italiana. È il caso di una scuola fiorentina che ha tolto dal programma la visita alla mostra "La divina bellezza" per la presenza di immagini cristiane.

A questo punto si potrebbe chiudere la Cappella Sistina, tutti i musei italiani, coprire di veli i monumenti sparsi per tutta l'Italia. Ovviamente sarebbe una follia, d'altronde inutile. Sputnik Italia ha raggiunto per una riflessione in merito Piergiorgio Acquaviva, presidente del Consiglio delle Chiese cristiane di Milano.

— Il Natale 2015 è stato segnato da scandali. In molte scuole si è deciso di non allestire il presepe o annullare i canti natalizi per non urtare la sensibilità dei bambini non cattolici. Lei che ne pensa di queste scelte?

— Questo è un problema che si ripete periodicamente nelle scuole italiane. Quest'anno è emerso in modo più prepotente, perché le ferite degli attentati di Parigi, dell'aereo russo sul Sinai, di Beirut hanno proiettato sul Natale la paura. C'erano due sentimenti contrastanti: da una parte una sottolineatura molto identitaria, dall'altra un senso che io considero un po'malinteso, cioè di laicità. Parlo del tentativo di rinunciare alle proprie tradizioni per non urtare la sensibilità dei non cristiani.

Io trovo la soluzione adottata in alcune scuole un po' sciocca, non è quello il problema: coloro che arrivano nei Paesi dell'Europa occidentale da zone di guerra, che sono per la stragrande maggioranza di religione islamica, normalmente non si sentono feriti o offesi dai simboli religiosi della cristianità. Sanno benissimo che vengono in terre di tradizione cristiana. Per loro è importante avere di fronte qualcuno che abbia una sua identità con cui parlare e potersi confrontare.

— Possiamo dire che queste scelte fatte dalle scuole producono l'effetto contrario?

— Sicuramente. Va aggiunto che l'insistenza dei media su alcuni singoli casi fa diventare il problema più grosso di quello che è. C'è stato il caso di Rozzano, quello più clamoroso, quando il preside ha deciso di non fare il concerto di Natale, rinviando a gennaio la festa "dell'inverno", che non si capisce esattamente cosa potesse essere. Io ho contato circa una decina di casi simili in giro per l'Italia. Non mi sembrano tali da poter dire che c'è un cambiamento di atteggiamento. Gli italiani hanno una tradizione di tolleranza e i singoli insegnanti poi nelle loro classi sono liberi di portare avanti il loro programma.

Il preside può decidere l'utilizzazione di alcune sale della scuola, però non può entrare nella libertà del singolo docente. Nel nostro ordinamento gil insegnanti sono liberi di avere l'approccio che preferiscono. A parte qualche preside che decide di imputarsi sui principi della laicità, non ci sono tantissimi insegnanti che hanno chiuso le loro classi alla religione.

— Comunque il caso di Rozzano non è stato l'unico, un po'in tutta Italia si è visto questo fenomeno, che non ha riguardato solo la religione, ma anche l'arte e la cultura. A Firenze una scuola ha annullato una visita alla mostra "La divina bellezza", perché vi erano immagini cristiane. Non ritiene un errore nascondere la propria cultura e identità?

— Ovviamente, questo non ha senso, altrimenti dovremmo chiudere gran parte dei nostri musei, perché tutta l'arte rinascimentale e medievale italiana è in ogni caso di ispirazione religiosa. Io credo personalmente che ebrei, musulmani e buddisti che vanno a visitare la Cappella Sistina e si vedono davanti il Cristo risorto nel Giudizio dell'ultimo giorno, non si possano sentire offesi. Io non ho mai sentito nessuno che si sentisse offeso da manifestazioni d'arte, forse è un pensiero che uno può avere, ma per sua scarsa cultura.

— La vera ricetta dell'integrazione quindi non è il tirarsi indietro, ma il condividere la propria cultura con l'altro?

— Certamente condividere. C'è da dire però che è da evitare l'atteggiamento opposto, non si possono utilizzare i crocefissi come armi. Alcune volte le sottolineature identitarie possono rischiare di diventare strumentalizzazione in politica. Abbiamo visto alcuni esponenti della Lega Nord che si sono subito presentati fuori dalle scuole gridando "giù le mani dal presepe, dal crocefisso". Il problema non è quello, la religione non è un'arma. Se ci ricordiamo, la prima lettera di Pietro dice "essere sempre pronti a rispondere a chi vi domandi ragione della speranza che è in voi, ma fate questo con dolcezza e rispetto".

Il messaggio cristiano è un messaggio di pace e salvezza, non è un'arma da impugnare.


(Fonte: http://it.sputniknews.com)

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