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sabato 30 marzo 2013

Giustizia per Ponzio Pilato! [di Rutilio Sermonti]


Da romano quale mi vanto di essere, desidero assumere la difesa di Ponzio Pilato, quell’ottimo uomo e onorato funzionario, che viene ingiustamente vituperato, come ormai da secoli accade per l’azione sottile dell’ebraismo rabbinico, che – facendo scempio delle risultanze evangeliche – cerca di liberarsi dell’accusa di deicidio scaricandola sui Romani, e su quello in particolare.

Cominciamo col porre in chiaro che, all’epoca del processo a Gesù, la Giudea non era provincia romana, bensì “federata”. Il rappresentante del proconsole di Cesarea (come era il procuratore Pilato) aveva quindi giurisdizione politico-militare soltanto sui delitti di infedeltà a quel “foedus”, mentre, per tutti gli altri, e a maggior ragione quelli di sacrilegio contro la legge mosaica, la Competenza esclusiva era dell’autorità locale ebraica, e cioè del Sinedrio. Infatti, quando le guardie del Sinedrio (non i soldati romani!) arrestarono Gesù, cercarono di farlo condannare da Pilato con l’accusa di sedizione contro Roma.
Pilato interrogò accuratamente l’imputato, e la sua sentenza fu: “Io trovo quest’uomo immune da colpa”. Mi sembra un’assoluzione, o sbaglio? E anche in seguito, insistendo gli ipocriti accusatori che Egli si sarebbe proclamato re, chi rispose loro: “Ma il suo regno non è di questa Terra”? Fu proprio Ponzio Pilato.
E la narrazione evangelica continua. Quando sentì che il presunto delitto di sedizione politica, a carattere continuativo, sarebbe iniziato in Galilea, Pilato (probabilmente ben lieto in cuor suo di liberarsi di quegli austeri scocciatori), esattamente applicando il rito vigente, si dichiarò incompetente per territorio e rimise la causa al tetrarca di Galilea, Erode Antipa. Ebbene – registra l’evangelista – quando anche Erode dichiarò Gesù innocente “da quel giorno Pilato ed Erode, che erano prima in pessimi rapporti, divennero amici”. Quindi, la convinzione dell’innocenza del Cristo coinvolgeva Pilato anche sentimentalmente, al punto che la comune appartenenza al “partito innocentista” valeva anche a cancellare una precedente personale antipatia.
Ma il procuratore non si fermò li. Si impegnò per salvare Gesù anche al di là del proprio dovere istituzionale tanto da compromettere il proprio “cursus honorum”, al quale si sa quanto i Romani tenessero.
Consideriamo l’episodio della pasqua ebraica nella sua vera luce, coerentemente ai rievocati precedenti. Era tradizione che, in quel giorno, il popolo potesse graziare un condannato a morte. I condannati erano due: Gesù Nazareno e un certo Barabba, ladrone da strada e assassino. Pilato sapeva bene che Gesù era molto popolare (non poteva essergli sfuggita la domenica delle palme, proprio in Gerusalemme), e sapeva anche che il sinedrio lo odiava per quello e per la sua severa accusa contro la maggioranza di Farisei e Sadducei.
Si illuse quindi che, ricorrendo al popolo, egli sarebbe riuscito – senza violare la legge – a strappare il perseguitato dalle grinfie del suoi nemici. Sottovalutava l’astuzia o la perfidia dei vertici ebraici, che, prevedendo la sua mossa, avevano provveduto a far affluire per tempo nella non grande piazza una folta schiera di loro servitori e clienti, con istruzioni ben precise: Accadde così che, contro ogni logica, il risultato della “consultazione popolare” fu “Libera Barabba!”, sebbene Pilato fosse ricorso anche all’astuzia di far comparire il suo protetto in pubblico conciato in modo “teatralmente” idoneo (dice bene Sisto) a muovere a compassione.
Pilato, allora, costatata l’impossibilità di smuovere la marmaglia lì sotto dal proprio partito preso, grida “io sono innocente del sangue di questo giusto.”
Affermazione, quella, certo inconciliabile con l’ipotesi che egli stesso lo avesse condannato poco prima a morte e spiegabile soltanto col fatto che la condanna fosse stata pronunziata da “altri”, e che lui, Pilato, fosse – com’era – giuridicamente impotente ad impedirne l’esecuzione. Potete del resto passare alla lente d’ingrandimento i quattro vangeli, e non vi troverete il minimo cenno, non dico a una condanna di Cristo pronunziata da Pilato, ma neppure di una sua minima espressione che non fosse in Sua difesa, mentre più volte il testo dichiara che il Sinedrio, ad ogni costo, “voleva la sua morte”. Fu dunque il sinedrio, non Pilato, il giudice che condannò Gesù, e su questo non possono sussistere dubbi, essendo addirittura …Vangelo.
E arriviamo alla famosa “lavata di mani”. Si tratta di una patente mistificazione, che nessuno sembra avvertire. E le mistificazioni non sono mai casuali. Sta di fatto che solo pochi secoli dopo il fatto, al pubblico gesto di Pilato si attribuiva generalmente e pacificamente il significato di disinteressarsi, di tirarsi fuori vilmente e alibisticamente, tanto da usare comunemente l’espressione “lavarsene le mani” nel senso di estraniarsi da qualcosa, di sfuggire a una responsabilità. E’ un grossolano falso. Per un romano del primo secolo, il lavaggio delle mani (acqua lustrale) era un atto di purificazione.
Orbene, ci si purifica da qualcosa di indegno, di sporco, di impuro. E, se il gesto viene volutamente compiuto in modo pubblico, in presenza di altre persone, come Pilato volle che fosse, esso implica un’offesa gravissima alle medesime, una esplicita dichiarazione che il contatto con loro ci abbia contaminato, trattandosi di cosa ignobile, come certamente appariva a Pilato il complotto dei Farisei e loro complici contro il “giusto” Nazareno.
Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum – ordinò fosse scritto sulla tabella infissa al patibolo, e quando i sinedriali gli chiesero di modificarlo in “preteso re” fu irremovibile: “Quello che ho scritto, ho scritto!”.
È poco noto, ma la cosa, unita all’inaudito sfregio della catinella, procurò al procuratore un petulante ricorso ebraico all’imperatore, che valse al nostro la rimozione dall’incarico, essendosi giudicata prevalente la ragion di Stato che si mantenessero buoni rapporti con le autorità locali dei “federati”. Ci vollero altri quarant’anni perché Domiziano facesse quel che il modesto Pilato aveva, quel giorno tremendo, tanta voglia di fare!
Hanno fatto di lui il simbolo dell’indecisione, della pusillanimità, dell’incoerenza, mentre i suoi atti furono ineccepibili sia giuridicamente che umanamente. Vorrei proprio vedere, al suo posto, quelli che usano con disprezzo il verbo “pilateggiare”. Hanno fatto di lui l’aguzzino del Signore, quando egli lo difese persino quando i Santi Apostoli lo avevano abbandonato.
Perciò non condivido le idee di coloro che vorrebbero affibbiare a quel nostro degno antenato anche la taccia di positivista ante litteram oppure di sciocco. Essi risentono, si rifletta, della figura spregevole di Pilato confezionata dai veri deicidi. Gesù – della cui statura sovrumana il Romano aveva chiaramente avuto, se non conoscenza, almeno sentore – si dichiara a lui testimone della verità. E Pilato, come qualunque persona di una certa levatura, che non avesse assistito alla predicazione nei tre anni decorsi, gli chiese a quale verità alludesse. Non mi sembra proprio che occorra attribuire il silenzio di Gesù, piuttosto che alla materiale impossibilità di spiegare tutto a un pagano con una frase, o allo stato di estrema prostrazione fisica in cui si trovava, a un tacito rimprovero, né di dare alla domanda posta un senso… pirandelliano. Non mi risulta punto, infatti, che vi fosse la pena capitale per una mancanza di riguardo verbale a un qualsiasi funzionario dell’impero, né che i Romani, che hanno insegnato il diritto a tutto il mondo, sparassero pene di morte isteriche a casaccio. No, il perché del silenzio di Gesù lo sa solo Lui e così continui ad essere.
Quel che mi preme, è correggere l’ingiusto giudizio negativo su Ponzio Pilato, cittadino romano, e questo proprio alla luce dei vangeli.
Non si tratta di una mia peregrina opinione, dato che, nel calendario dei Cristiani Copti, il 25 giugno è dedicato a un Santo di nome Ponzio Pilato.
Tratto da Raido n. 26 – Contributi per il Fronte della Tradizione

giovedì 31 gennaio 2013

Le Corporazioni come opzione di lotta [recensione]



Il libro proposto di Rutilio Sermonti, edito dalle Edizioni Comunitarie, potrebbe sembrare per alcuni uno scritto obsoleto e uno slogan dall'aria nostalgica di un passato ormai remoto. In realtà esso si presenta come una valida alternativa all'attuale sistema per mettere all'opera, qui e adesso, una nuova strategia corporativa aggiornata ai tempi che viviamo.

 L'Autore, partendo dalla descrizione delle prime storiche corporazioni degli artigiani mette in evidenza come il concetto stesso di "lavoro" abbia subito un radicale cambiamento di significato nel corso del tempo arrivando a coincidere con quella che era considerata una volta la mansione degli schiavi. Infatti, la parola "lavoro" che  deriva dal latino "labor" significa esattamente sofferenza, fatica opprimente. Mentre il lavoro creativo degli artigiani delle corporazioni si chiamava "opera" e, in particolare, era il risultato di un rapporto quasi padre-figlio tra il maestro e l'allievo che ne apprendeva la tecnica ma anche tutto un complesso di valori morali e religiosi che lo accompagnavano durante l'apprendistato. Custode e garante di quei valori, condivisi da tutti i cultori dell'arte artigianale a cui si riferivano, era per l'appunto la corporazione, corpus sociale di coloro che si dedicano ad un determinato mestiere, senza contrapposizioni categoriali e graduata solo gerarchicamente per un'esigenza di corretta e onesta concorrenza tra artigiani dello stesso ramo.
 Alla luce di quanto esposto si comprende subito come oggi per "lavoro" non si intende più un'attività creativa da tramandare e nella cui opera ultimata l'uomo continua a vivere, ma sta a significare, come spirito e come modalità, produzione in serie, anonimato, stress e fatica, proprio quello che pressappoco caratterizzava in antichità il lavoro dello schiavo. Ma ancora più sconcertante è forse la concezione a livello di società che si ha del lavoro, come semplice pretesa di una busta paga, astraendo completamente dalla sua utilità per la comunità. Crescita economica per l'amore della crescita dunque che mette a sua volta in moto la dinamica del flusso di denaro inventato per coprire migliaia di "posti di lavoro improduttivi", ma che si devono comunque pagare.
 Di fronte alle rovine descritte, l'autore mette nero su bianco dei consigli operativi per trasformare le corporazioni, ancora vergini dalla contaminazione capitalista, in una vera e propria opzione di lotta, affinché la nobiltà, il lavoro la ritrovi nella sua utilità sociale e non nella retribuzione.
 Partendo da un gruppo determinato di persone caratterizzato da una ferrea volontà e da spirito di sacrificio, si dovrà progettare e mettere in esecuzione un corso teorico-pratico, che preveda esercitazioni e verifiche. Tale corso deve essere uno per tutta l'Italia con unità d'imposizione essenziale affinché costituisca il patrimonio ideale di ogni militante. Inoltre, si dovrà mettere l'accento sul riacquisto da parte degli allievi della consuetudine al lavoro comune. Tale metodo l'autore lo suggerisce sulla base di un'esperienza diretta e concreta.
 A tutto ciò si aggiunge uno spiccato senso della gerarchia, in cui ad ogni livello ci si ponga i problemi specifici di quel livello, senza  ridursi ai soviet dei soldati della Russia del 1917. Occorre riesumare il glorioso spirito delle corporazioni a partire dalle coscienze dei migliori. Ma gli addetti devono cominciare con l’attivarlo innanzitutto dentro di loro poiché, come Rutilio ci insegna, "non si può infondere in altri quello che non si possiede prima in sé stessi".
 Il libro in questione, descrive in maniera vasta e dettagliata il quadro in cui ci si deve muovere per approdare all'opzione corporativa. Esso tuttavia non ha la pretesa di essere esauriente poiché, ed è lo stesso Autore a scriverlo, "è nella verifica di tutti i giorni che si fanno le migliori scoperte, si modificano e si adeguano i programmi". Il libro pertanto, lontano dall’impantanarsi in formule e costruzioni teoriche,  si presenta come uno strumento di lotta con l’obiettivo di stimolare e spingere ad agire, alla conquista. Vi è quindi un mondo da ricostruire e il dibattito sul come l'opzione corporativa possa divenire vincente è dunque aperto.


Le Corporazioni come opzione di Lotta
Prefazione di Celsio Ascenzi. Introduzione di Gabriele Adinolfi
disponibile presso: In Via Aurelia 571 A a Santa Marinella, sede Centro Studi Aurhelio
EDIZIONI COMUNITARIE, pagine 128, euro 8,00

Nico Di Ferro

domenica 16 settembre 2012

LA TERRA MUORE DI CANCRO - Rutilio Sermonti


COMUNICATO 27

LA TERRA MUORE DI CANCRO

La Terra è ammalata di cancro, e in una fase tragicamente avanzata della tremenda malattia di cui non si conoscono le cause nè i rimedi. E la forma di carcinoma che l'affligge ha addirittura un nome latino: si chiama Homo sapiens. Non è questa una figura retorica, bensì una precisa diagnosi, fondata su una sindrome che non lascia spazio ad equivoci. I carcinomi, o tumori maligni, possono infatti assumere svariate forme e collocazioni, ma sono tutti caratterizzati dal fatto che un gruppo di cellule di un organismo vivente prende ad assumere uno sviluppo abnorme e teratologico, al difuori della collaborazione e dell'armonia esistente tra tutte le altre, sino a provocare la necrosi di esse e la morte dell'organismo, comprese le cellule neoplastiche "colpevoli". Ora, se guardiamo a tutta la Terra e alla vita che la popola come a un tutto organico in perfetto equilibrio, e alle singole specie come componenti di quell'equilibrio, non può non colpirci con assoluta evidenza come la nostra specie abbia felicemente e orgogliosamente assunto in esso il ruolo di fenomeno canceroso. E' l'unica specie che sia riuscita a inventarsi una pletora di false esigenze, tale da costringerla ad esercitare sulle altre specie e sullo stesso mondo inanimato una predazione smodatamente superiore alle risorse del medesimo. E' l'unica specie i cui modi di vita provocano gran copia di rifiuti inutilizzabili, o addirittura tossici e mortiferi, che rendono invivibile il pianeta per loro e per le altre specie. E' l'unica specie convinta di avere tutti i "diritti" a carico delle altre, senza nulla dover dare in cambio. E' l'unica specie il cui scopo e vanto consista non nell'affrontare le difficoltà e i pericoli che fanno parte della "lotta per la vita" di ciascuna, bensì mentendo e ingannandosi a vicenda sui medesimi, al punto da darsi una gerarchia fondata sui mentitori più abili.
E' l'unica specie il cui sforzo non sia quello di impiegare al meglio le qualità e attitudini naturali di dotazione, bensì di vivere disprezzandole e sostituendole con espedienti più "comodi" e meno "faticosi", con l'inevitabile effetto di atrofizzarle. E', di conseguenza, l'unica specie composta per la quasi totalità di malati. Come "sapiens", non c'è male, ci sembra !
Se poi, dalle modalità dell'azione umana passiamo ai suoi effetti sulla totalità dell'armonico ordine ecologico, l'analogia con il suo valore cancerogeno ci colpisce in modo ancor più clamoroso. Entrare nei dettagli sarebbe troppo lungo, e peraltro inutile, dato che , dal lontano "Silent spring" della Carson, non è mancato un crescendo di denunzie dell'autentica strage che l'umanità civilizzata ha perpetrato intorno a sè.
Gli sventurati che vengono colpiti individualmente dal cancro, in misura sempre crescente, conoscono bene il significato tremendo della parola metastasi. Dopo qualche tempo dalla comparsa del focolaio iniziale, qualche frammento, anche microscopico, del tessuto infestato, si distacca da esso e, seguendo i vasi sanguigni o linfatici che lo toccano, migra verso altre zone dell'organismo, e si fissa in genere a proliferare a sua volta con la consueta rapidità in altro punto delicato per la sopravvivenza. E' la compiuta invasione del male, è la sconfitta della vita, è l'affanno dei palliativi per ritardare la fine. Unico rimedio efficace è la precoce diagnosi di tumore iniziale e il pronto intervento chirurgico per asportare tutto il focolaio prima che i paventati distacchi abbiano luogo.
Ma non intendiamo quì occuparci delle forme individuali, se non come similitudini o paradigmi dell'orrenda realtà del cancro della Terra, determinato dall'Uomo. Dobbiamo quindi chiederci se il fenomeno delle metastasi sia riscontrabile anche sul piano terracqueo. Ebbene: non solo è riscontrabile, ma appare oltremodo più grave. Non solo gli agenti cancerogeni della biosfera hanno le loro reti di distribuzione dai luoghi d'origine, nei corsi d'acqua, sul terreno e persino nell'aria e nei venti (fumi, gas. aerosol, particelle radioattive, ecc), ma ad essi si aggiunge un altro, che è il più impalpabile ma anche il più negativamente efficace. Si tratta della trasmissione mentale. L'Uomo-cancro ha saputo mettere al servizio della causa dell'annientamento della Terra che lo ospita anche quella che si dice sua unica prerogativa: la mente. Manipolando massivamente le menti più deboli e impreparate, le forze operanti del cancro sono riuscite a far cessare quasi del tutto quella naturale resistenza detta istinto di conservazione, e a generare addirittura favore ed entusiasmo (progressismo) a favore della diffusione dell'orrenda malattia. Si è giunti così ben presto, non più di cent'anni, a superare il momento in cui si potesse pensare al radicale intervento chirurgico che anticipasse le metastasi. E siamo qui, a contarci le ore.
Consultando la storia, per renderci almeno ragione della caduta che ha fatto dell'umanità la nemica della Terra, non ci sembra punto utilizzabile il mito biblico-sumero del peccato originale e dell'espulsione dall'Eden. Rispetto alla durata dell'esistenza dell'Uomo al mondo, il tradimento risulta infatti chiaramente non essere stato "all'origine", bensì molto recente. Ed esistono tuttora piccoli popoli (cosiddetti selvaggi) che non vi hanno avuto alcuna parte nè colpa. L'epoca può essere indicata con buona approssimazione come il XVIII secolo dell'era volgare, contemporanea cioè all'avvento dell'illuminismo e all'invenzione delle "ideologie". Prima, invero, può essersi commesso qualche errore ( il peggiore, anch'esso paleontologicamente recente, l'adozione del denaro ), ma nulla di paragonabile all'impegno frenetico, continuo, spasmodico a sovvertire le eterne leggi della vita, adibito senza scrupoli e con puerile cocciutaggine, al canto di inni trionfali, nel breve attimo di tre secoli circa. Si giunge anche a correggere l'affermazione apodittica da noi fatta all'inizio, che attribuisce il tradimento alla "Umanità". L'iniziativa fu invero della Razza Bianca, abitante l'Europa e successivamente insediatasi oltre Atlantico. Il coinvolgimento delle altre razze fu successivo, ed ebbe già il carattere che abbiamo definito metastatico. Nè si deve porre il piede nella tagliola della grande frode nota come democrazia. Essa è nè più nè meno che l'escogitazione di astuti criminali per poter compiere impunemente le peggiori infamie, attribuendone la paternità al popolo. Rettifichiamo quindi anche l'accusa che abbiamo levato contro i popoli bianchi. Gli "untori" del cancro che uccide il nostro pianeta, non furono i popoli, ma i loro padroni, palesi ed occulti: gli specialisti dell'inganno. Anzi, più che gli untori, furono loro stessi il cancro che condanna a morte tutto ciò che ancora sopravvive. I popoli come tali, altre colpe non ebbero che la loro stoltezza e la loro viltà, che li rese e tuttora li rende succubi dei propri assassini. Non si finisce mai di riflettere: non è vero neppure che un estremo tentativo di tempestivo intervento chirurgico non vi sia stato, anche per il geo-cancro. Un tentativo eroico che diede un fremito di speranza dall'Italia alla Germania, dalla Spagna all'Argentina, dalla Romania al mondo Arabo, dalla Finlandia al Giappone, e persino ai figli migliori dei popoli asserviti nelle gerarchie ufficiali alla turpe congiura. Anch'essi erano uomini, erano popoli, erano capi, assai migliori e più degni dei loro cinici avversari, ma anche in mezzo a loro, inavvertite, le metastasi erano già operanti, e di lì a poco scoppiarono come fuochi pirotecnici, ed ereditarono la Terra.
Nessuna delle rettifiche che, per scupolo, abbiamo voluto esporre, vale però in alcun modo a confutare la convinzione che è alla base del presente scritto: il Mondo ha il cancro, e ne sta morendo.
C'è ancora una possibilità di salvezza ? Probabilmente no: comunque non siamo in grado di dirlo, nè di suggerire una strategia. Unica ipotesi che escludiamo in modo assoluto è quella di arrendersi, o di suggerire la resa ai più giovani che hanno fede in noi.
Sarebbe tradirli, e tradire noi stessi, e nessuna forma di tradimento fa parte del nostro repertorio.

sabato 10 dicembre 2011

lunedì 29 agosto 2011

Testamento Spirituale di Rutilio Sermonti

Da Rutilio Sermonti.
Vi  Allego il testo del breve discorso da me rivolto a Colli il 18 agosto u.s.  ai camerati venuti da tutta Italia a festeggiare il mio 90° compleanno. Ognuno dei destinatari è autorizzato a farne l'uso che meglio creda
Enos, Lases, iuvate !
Rutilio

Camerati,
mi è difficile esprimere appieno la gioia che voi mi avete dato con la vostra iniziativa e con la vostra accoglienza . Non tanto solo per il novantesimo compleanno. In fondo io ho fatto un giorno. Domani è un giorno dopo ieri, non è un anno dopo.  E' solo una convenzione.  Ma per il fatto che per farmi sentire, vedere, respirare il vostro affetto siete venuti da lontano,  lui addirittura dall’estero (addita Alberto Mariantoni), e tutto per un povero vecchio combattente, qui, che non ha fatto che il suo dovere è una cosa che veramente mi commuove. Però la mia gioia è soprattutto perché la vostra iniziativa mi permettere di esprimere occhi negli occhi alcuni concetti che penso che siano essenziali tanto che li potrei definire  il mio testamento spirituale. Mah! Testamento? Vedo qualcuno che accenna una protesta. Uno deve forse aspettare di essere rimbambito, per fare testamento, e spirituale per giunta ? che testamento sarebbe ? Di quale valore ? Spero proprio di fare a tempo a farlo in pieno possesso di tutte le mie facoltà.
  Si tratta di un discorso molto semplice, che io non ho fatto che ripetere continuamente, eppure, sembra incredibile,nonostante la grande attenzione di cui  tutti voi, delle più belle formazioni mi avete sempre onorato, nessuno l’ha preso sul serio.  C’è una differenza significativa tra quelli che a me sono più vicini e il sottoscritto E questa differenza  l’ha espressa in modo molto felice Nicola Cospito che nel fare una prefazione ad un mio libro scrisse: “Rutilio Sermonti è uno che nel 1940, diciannovenne, mise un fiore nel moschetto e partì per la guerra contro le grandi plutodemocrazie, non è ancora tornato.”.  Fu una definizione che piacque molto, perché io quella guerra mica l’ho finita. Io non ho chiesto la pace, non ho firmato  armistizi. La guerra continua e la Repubblica Sociale Italiana mica è stata  sciolta e  per me l’unica Repubblica che legittimamente esiste  è quella. Questa qui non mi interessa.  La repubblica dell’Alto Volta mi interressa di più di quella italiana di Napolitano & C.
Quindi la situazione è questa: io sono in guerra, da allora e lo sono sempre stato E l’unico merito che mi riconosco è di averlo fatto ininterrottamente senza titubanze, senza tante problematiche "ideologiche",  facendo semplicemente il mio dovere come facevo da sergentino nel 1940. Ma qual è la conseguenza? Tutto quello che ho io ho fatto è stato senz'armi e purtroppo armi non ne posso usare più. Posso usare solo, come si diceva una volta  la penna, e adesso manco quella: il computer. Ma tutto quello che io ho fatto è stato lo stesso un atto di guerra. Qual' è la caratteristica di un atto di guerra? Di non essere un’esibizione, un esercizio intellettuale No. È un’azione compiuta a un determinato scopo, in quanto utile per quello scopo e concatenata con una serie di altre azioni in modo organico. Un’azione una tantum non serve a un cavolo. Va fatto questo, in modo continuo e sistematico Ed io ho inteso fare proprio quello.  Voi che avete seguito i miei libri, i miei articoli avete visto. Io non ho fatto molti discorsi teorici, ho fatto discorsi pratici. Faccio delle proposte. Sì c’è stato il momento delle testimonianze, Il momento in cui era utile  mettere su carta, fissare certi ricordi, perché la gente non se li scordasse, perché i giovani a cui non si insegnavano più avessero la possibilitàdi possederli .. almeno in una piccola parte … ma questa è stata una prima fase che è durata poco. Poi abbiamo cominciato a combattere. Ora, purtroppo, fin da allora ci sono stati alcuni equivoci e devo dire che siamo colpevoli tutti. Questi equivoci si chiamano soprattutto Emme Esse I. E recano soprattutto la firma del mio amico ( per me era un amico gli volevo pure bene, che quando è morto ci ho pure pianto): Giorgio Almirante. Quanto ci ho litigato con Giorgio Almirante! Quanto l’ho insultato perché non  capiva certe cose. Noi non potevamo fare un partito come gli altri. Non l'ha capito, non hanno capito. Se c’è una cosa cretina era pensare che si potesse fare una guerra contro il sistema con un partito strutturato e organizzato come lo vuole il sistema Ma siamo proprio matti? Quindi quello che era necessario che ci voleva: Un piano riservato che fosse ben più chiaro e solido dell'ufficialità del partito Guardare con sufficienza le solite scempiaggini: le elezioni. Ma poi ci  fosse un effettivo  comando E invece non c’è stato mai. 
E allora che cosa è successo? È successo che noi abbiamo fatto colte, acute analisi, nutrite discussioni. Ci sono stati dei camerati veramente di notevolissima levatura intellettuale e culturale che hanno chiarito un sacco di punti. Perchè quello è una battaglia secondaria? Perchè nessuno si è posto la domanda “Che cosa possiamo faro oggi? Con i mezzi di oggi, nella situazione di oggi? Ma che abbia lo stesso scopo di quello che facevamo con le Parzer divisionen ? Era lo stesso, identico. Erano cambiati i mezzi, purtroppo perché era cambiata la situazione. Se voi ve lo ricordate uno dei principali insegnamenti del Duce era di fare sempre i conti con la mutevole e complessa realtà. È inutile stare a nuotare tra le nuvolette della ideologia.
Noi dobbiamo sbattere il grugno con la realtà e sbattendo questo grugno l’Italia diventò in dieci anni dall’ultima ruota del carro, la mandolinista, quella che non contava niente, la prima nazione del mondo. Perché, cocchi miei, io c’ero e me lo ricordo nel 1938 l’Italia era la prima nazione del mondo a cui tutte le altre guardavano con invidia Pensate con invidia. “Beati voi che tenete Mussolini !" Io mi ricordo una famosa attrice americana, Mary Pickford che diceva: “A me sono molto simpatici gli italiani, però sono stati tanto carogne perché hanno fatto un Mussolini solo Ne dovevano fare due, uno se lo tenevano, e l'altro potevano prestarlo a qualcuno che ne aveva tanto bisogno !".
Allora siamo andati avanti così, col pensiero e l'azione appaiati. Ma qual è la situazione attuale di cui vi volevo parlare con un po’ di tristezza. Mi sono domandato “Ma tutto questo mio combattere a che cosa è servito?”
Il primo passo fu nel 2005, quando io mi posi questa domanda “Noi siamo l’alternativa al sistema. L’ha detto Michelini, l’ha detto Almirante.. lo dice ogni volta … Ma sul vocabolario “alternativa” vuol dire: no a questo e sì a quell’altro. Se no non è alternativa, Se no è solo una critica, una demolizione. E' chiaro che se io voglio fare la casa nuova dove ce n’è una fatiscente la devo demolire prima di fare quella nuova. Ma quando la demolirò, ho appena cominciato. Sicuro devo fare la casa. Se invece la lascio lì e contemplo le macerie, sono un minchione che non giova a nulla..
E allora noi dobbiamo cominciare a costruire, cioè a spiegare alla gente in che consiste l’alternativa, ma deve essere l’alternativa 2000 e non l’alternativa 1930, perché è cambiata la mutevole e complessa realtà. Io che era già uomo allora mi accorgo delle differenze enormi in tutto non solo nella politica, nell’amore. Quando avevo diciotto anni e facevamo l’amore, facevamo cose completamente diverse da quelle che fanno oggi, quando fanno l’amore. Avevamo tutta un’altra concezione. Allora c’era la mania della vergine. Una ragazza doveva arrivare vergine al matrimonio ... Guai se non era vergine! Oggi stiamo freschi! Non si sposerebbe più nessuno. E così via. C’era tutto un modo di ragionare diverso: rapporti familiari, rapporti con la madre e col padre. Per non parlare poi del lavoro. Il lavoro allora era ancora  il protagonista dell’economia, oggi non lo è più. È inutile che stiamo a fare retorica: oggi l’economia la fanno le macchine quindi i soldi non il lavoro! Il lavoro accudisce le macchine ed è una cosa noiosa, senza arte, umiliante, scocciante e non si vede l’ora che finisca per andare in pensione. Questo è il lavoro. … il funzionamento è cambiato.
Allora io ho scritto un libro che si chiama Stato Organico in cui dicevo: “Ecco lo Stato che noi oggi possiamo progettare!”. E ho invitato più volte anche nel corso del libro a correggermi, a dare suggerimenti migliori, a discutere questo argomento che per noi doveva essere essenziale. Perché la nostra attività è creativa non puramente distruttiva. Possi cecamme se c’è stato uno che mi ha risposto! Che mi ha fatto una critica. Mi hanno detto: “Bravo!”.
E che ci faccio io con il bravo? Mica faccio l’attore d’avanspettacolo! Se non mi seguite! Io vi do un suggerimento e non lo seguite … Non mi dite: “Bravo!”, ditemi “Bischero!” e seguitemi! Ah! Come sarebbe bello!
Il mio Stato Organico è rimasto così com’era. Nessuno (e guardate che camerati bravi, intelligenti, preparati, colti ce ne sono molti di cui ho grandissima stima) vi ha minimamente posto mano.Di di quello non si occupa nessuno. Come si può ottenere oggi una rappresentanza che non sia la solita fregatura per i rappresentati? È inutile che tirate fuori la socializzazione degli anni Quaranta, perché sono passati settanta anni! Dobbiamo fare una cosa in funzione di oggi. Niente. E questo vuol dire che tutta questa modesta fatica che ho fatto con lo Stato Organico a questo momento non è servito a niente.
Andiamo avanti. Noi continuiamo la guerra e dobbiamo porci i mezzi con cui fare questa guerra: carri armati non ne abbiamo, testate nucleari non nè abbiamo. Come la facciamo la guerra? Che cosa abbiamo noi? Ecco che cosa abbiamo! La militanza e ne abbiamo tanta! In Italia, e io l’ho girata molto, c’è una quantità di militanza. Però tutti a gruppetti separati che non si guardano e  magari polemizzano  l’uno con l’altro. Però ce ne è una grande quantità e sono pieni di voglia di fare, di voglia di combattere. Qualche volta vedo i loro occhi lucidi di lacrime, quando parlo io, perché veramente lo sentono.
Però questa militanza bisogna renderla a livello di saper competere.  Cioè, primo: disciplina! Credere, obbedire e combattere diceva Mussolini. Non diceva credere, obbedire e discettare! Ebbene quelli discettono. Bisogna abituarsi ad obbedire quando uno è soldatino. Poi quando diventa sergente ci saranno quelli a cui comanda e quelli a cui obbedisce. Quando sarà capo di Stato Maggiore Generale allora comanda solo. Così deve essere e invece no! 
Altra cosa. I militanti dicono un sacco di corbellerie perché hanno la trista abitudine, molti, di parlare per sentito dire. Se voi sentite la cosa più popolare nel nostro ambiente ( che siamo tutti socialisti), è la socializzazione. Ma io mi domando una cosa: quanti che  discutono di socializzazione hanno letto (e dico solo letto)il decreto istitutivodel Duce del febbraio 44 ? Quanti hanno letto (e non dico meditato)quell'insigne monumento di scienza giuridica e di saggezza, che furono le norme d'attuazione dell'ottobre, fatto poi in quelle situazioni con le bombe che ti cadono addosso, con  i partigiani che ti sparano alle spalle. Eppure fu fatto quel capolavoro, ma chi lo ha letto? Non si preoccupano  per discutere di qualcosa prima, almeno,  di conoscerla.. E invece bisogna prima conoscere e poi discutere.  Questo bisogna insegnare, come prima cosa, ai militanti. Ed è un problema. E come si fa ad insegnarglielo? Non abbiamo un un’unica organizzazione, non abbiamo un’unica Opera Balilla. Come si fa?
Mi sono posto il problema. Abbiamo fatto un programma apposta. Abbiamo fatto un Patto di Unità d’Azione. Adesso siamo cinque, prima eravamo in due: Forza Nuova e Movimento Nazional Popolare. E questo patto era su alcuni punti: “Siamo d’accordo che si devono fare queste azioni? E allora tutti quelli che sono d’accordo, lavoriamo! L’unità nascerà dal lavoro comune e non il lavoro comune dall’unità. Questa è sempre stata la mia convinzione. E allora abbiamo fatto un bellissimo programma: corsi in tutta Italia con le dispense per ogni lezione. Queste dispense consentivano di fare contemporaneamente il corso in tutti i gruppi senza nessuna differenza nè concorrenza tra i gruppi stessi. Il corso era utile a tutti, aperti a tutti e unitario perché ci sono le dispense. Queste dispense dovevano essere fatte in un certo modo. Tutto questo è stato studiato e che cosa è stato fatto? Niente! Neanche una lezione. Di dispense io ne ho fatte e ne ho curate cinque, con cinque dispense si potevano fare duemila lezioni in tutta Italia. Quante ne sono state fatte? Duecento? Venti? No! Due forse sperimentali, perché c’ero io a Roma. E poi? Anche questi erano interrogativi. Ma che viziaccio maledetto è questo! Questo è un modo di combattere? Fare dei programmi per poi scordarsene?
E poi andare in giro con gli striscione nelle strade! Non serve a niente! Ci devi portare mezzo milione di persone in strada allora serve a qualcosa. Ma se ci porti cinquanta persone in strada non serve a niente. E allora ?
Vorrei che voi capiste la mia angoscia quando mi viene il dubbio di aver girato a vuoto.
Le corporazioni come opzioni di lotta non è un’idea mia. È un’idea che ho preso da una piccola pubblicazione Il Megafono. È un’idea geniale. Come si difende il piccolo commercio, l’artigianato, le piccole attività basate sul lavoro dell’uomo da queste grandi organizzazioni economiche multinazionali che le soffocano? Come si difendono? La corporazione! La corporazione come si intendeva nel Rinascimento Facevo degli esempi. I piccoli meccanici sono disperati. Questi cornuti che fabbricano automobili non fanno più pezzi di ricambio. Se devi cambiare una vite devi cambiare mezza macchina. Ai piccoli meccanici ( e ce ne sono a migliaia) doobiamo suggerire, “Fate le corporazioni! Unitevi in una corporazione! Portate tutti lo stesso distintivo. E questa corporazione per mandato degli associati tratta con le grosse organizzazioni produttive e detta legge perché se tutti i meccanici d’Italia che hanno anche rapporti di amicizia con la clientela, cominciano a chiedere prodotti con i pezzi di ricambio economici altrimenti consigliano ai loro clienti di rivolgersi ai produttori che lo fanno, diventano loro i più forti. Noi possiamo prenderli per il collo e voi sapete l’importanza enorme, l’incidenza che avevano le corporazioni nel Medioevo e nel Rinascimento, perché la funzione della corporazione era anche tutelare i valori extra economici che c’erano in quella attività. Erano quasi degli ordini religiosi e non vi si ammetteva lotta di classe, proibitissimo fare sindacati. Ci sono solo categorie gerarchicamente organizzate e il piccolo allievo di oggi diventerà il maestro di domani. Così era fatta l’organizzazione del lavoro nel Rinascimento e così erano fatte le corporazioni. Ora noi guardandoci in giro, e vediamo come i coltivatori diretti cercano di difendersi dallo strangolamento: sono iniziative squisitamente corporative. Neanche lo sanno loro, gli vengono così spontaneamente.  E noi che ci stiamo a fare? Noi sappiamo tutto delle corporazioni, dobbiamo metterle in funzione, dobbiamo essere noi ad impugnare questo validissimo strumento della corporazione. Ma non fare noi le corporazioni. Le devono fare loro. Noi le possiamo suggerire, possiamo svolgere un’azione promozionale. Quale? Non può essere la stessa per tutte le corporazioni, ci sono diversissime mentalità, composizioni ed esigenze.  Allora nel mio libretto Le corporazioni come opzioni di lotta e non come fatto storico, come opzione attuale, ho esaminato i vari problemi, le varie corporazioni nuove che è necessario fare.
Una per esempio, importantissima oggi, la corporazione delle donne di casa. Fare la donna di casa oggi è molto difficile. Se noi diamo ad una donna, che non sia un’imbecille, i mezzi, le conoscenze, la formazione questa , a parte che diventa la padrona assoluta della casa, ma diventa un elemento di progresso della Nazione intera. Oggi quelle che erano le funzioni del maschio dell’antichità non ci sono più: la fatica fisica la fanno le macchine, azionate etettricamente; la guerra la fanno schiacciando un bottone e distruggendo una città a 6 000 km di distanza; la caccia una volta era una risorsa per vivere oggi è uno svago discutibile. Allora a che cosa serve l’uomo? Non serve più! Serve la donna. Prova della pazzia di quest’epoca è che vogliono fare delle donne che scimmiottano degli pseudouomini che non servono più.
Allora dobbiamo studiare corporazione per corporazione come incominciare, dove gli accenni già in atto delle organizzazioni a cui ci si può appoggiare, una per esempio la Coldiretti, che da che non è più uno strumento della Balena bianca, sta diventando una cosa estremamente interessante. Non so se avete seguito le varie iniziative le arance, il latte … hanno fatto una sacco di cosette carine proprio per liberarsi della schiavitù delle multinazionali. E allora lì dovremo fare in un modo di incidere al massimo.
Un’altra corporazione necessaria è gli uomini d’arme poliziotti, soldati …  Anche loro contribuiscono a mantenere l’ordine. Anche loro devono avere la loro corporazione, soprattutto nell’assenza dello Stato, come è oggi. Ma la corporazione degli uomini d’arme può assumere molte funzioni anche morali, anche normative che lo Stato rifiuta.
 Qualsiasi corporazione, io ne ho preso una quantità di esempi, esige sistemi diversi, diversi metodi di approccio con gli interessati,  io credo che occorra cominciare dalle più "facili" e dalle più sensibili. I successi delle prime incoraggeranno le altre 
Poi ho detto: “Su! Diamoci da fare! Suggerite! Correggete!” E poi  mettiamoci  al lavoro nel favorire la formazione di queste corporazioni. Dei cui benefici si accorgerebbero subito gli stessi interessati e quando uno cominciasse a funzionare bene, allora arriverebbero tutti: sembrerebbe l’uovo di Colombo.  Ma Noi? Noi non importa. Non importa che noi figuriamo, anzi non dobbiamo figurare! Corporazione vuol dire Fascismo! Non importa metterci il fascetto sopra. Vuol dire una vittoria raggiunta contro l’eterno nostro mondo avversario.
Un ultimo solo ed altro esempio: la teoria dell’evoluzione naturale. È come l’olocausto, uguale, però lì c’è la legge penale, qui no. Si sono messi la coda tra le gambe. Non si riesce ad organizzare un dibattito, mi ricordo quaranta anni fa, io sono stato un pioniere di questa lotta, contro questa cretinata. Anche lì siamo arrivati al punto che scientificamente parlando è morto, non c’è più l’evoluzionismo.  È la prova del fatto che non si riesce ad organizzare un dibattito. E se tu cerchi di organizzarne uno, con mille biforc, e trovi qualcuno per esempio un preside di facoltà  universitaria che ha concesso la sala, vengono fuori quelli dei centri sociali contro il clericalismo. ( Io sarei il clericale, ve lo figurate ?)! Perché è, gente che come al solito parla a vanvera. Non ne sa un cavolo.  Noi dobbiamo contrapporre un movimento studentesco. Ormai non serve più solo la scienza.  Mio fratello, professore di genetica, ha contribuito a mettere con il culo per terra l’evoluzionismo. Continuano a pubblicare quegli alberi genealogici minuziosi e ridicoli, con mille biforcazioni deserte di nomi e frutto di mera fantasia.
Però continua a funzionare con la fantasia con gli scritti di gente ignara sia di biologia che di probità, e gli scienziati che sono tutti gran furbotti glie li lasciano scrivere. Pensate che tutto il mondo liberista è fondato su questi concetti. Chi ha successo è il migliore, per il solo fatto che lo ha, magari ammazzando uno con una coltellata. Ammazzandolo e derubandolo però ha avuto un successo, ha in tasca i soldi di quello ed ha ragione. Questo è il ragionamento a cui porta la teoria dell’evoluzionismo, che non viene affatto confermata in natura in natura.  Ho scritto un libro apposta su questo argomento, di carattere divulgativo su questi concetti ma adesso che deve lavorare? Su questo argomento occorre organizzare un movimento studentesco, di devono rompere i vetri, fischiare i professori durante le lezioni, spernacchiare. Si deve far questo. Scrivere insulti sui muri, invece,  non convince nessuno. Abbiamo vinto la guerra e non lo sa nessuno, neanche i nostri militanti !
Allora io voglio rivolgere a tutti voi e attraverso voi anche agli altri che vi ascolteranno questa accorata invocazione “Fatemi crepare vedendo un pochino di luce, fatemi crepare vedendo appena da lontano una fiammella di un fuoco che si riaccende. Ma questa è lotta! Questa è guerra! Non sono chiacchiere! Non basta scrivere articoli e neanche libri. Bisogna saper combattere! Bisogna saper dire: “Io il 7 maggio alle ore 14.00 a qualsiasi condizione atmosferica sarò in centro a piazza del Popolo a Roma.”  e ricordarselo dopo sei mesi. E invece no! Farò! E poi non si fa !È questo il punto! È questa la guerra che noi dobbiamo vincere, quella che i musulmani chiamano Jihad Achbar,  la grande guerra santa, quella all’interno contro le proprie debolezze.
O noi siamo eroi, o noi siamo tutti eroi ( Tutti eroi!, ho detto !), oppure abbiamo già perduto in partenza.  Se noi saremo capaci di essere tutti eroi, a queste condizioni noi abbiamo la vittoria in tasca. Perché gli altri stanno già marcendo. Li vedete che fine hanno fatto i tracotanti bolscevichi e che fine stanno facendo i tracotanti americani. È fallito pure uno stato. Cose incredibili!
Allora tocca a noi. Ma signori miei, non si può fare nei ritagli di tempo! Vi prego, non si può fare. È la cosa principale! La cosa che ci permette di essere orgogliosi di essere uomini. Se non che siamo? Sono meglio i bacarozzi! Sono meglio le cavallette! .Loro, vivono secondo la loro natura. Soltanto noi non saremmo capaci di farlo ?

Rutilio Sermonti

lunedì 16 maggio 2011

4 SI ai Referendum del 12 e 13 Giugno - Rutilio Sermonti


Vi sembrerà forse strano che io, Rutilio Sermonti, allergico a qualsiasi forma di "ludi cartacei", venga ad invocare da tutti voi il massimo impegno proprio in occasione di una tornata di essi, e cioè dei quattro referendum abrogativi fissati per il 12-13 giugno prossimi.
  E' che ci troviamo davanti a una smaccata frode con cui i mascalzoni che si sono appollaiati sugli scranni del potere intendono defraudare il popolo anche di quel piccolo residuo di sovranità che consiste nell'arma referendaria, con cui, a differenza che nelle elezioni politiche, è dato al votante di esprimere una volontà, e non soltanto una delega in bianco.
  Anche per i referendum, sia chiaro, valgono tutte le altre gravi riserve che noi opponiamo al voto anonimo e non qualificato, determinato in massima parte con espedienti persuasori sub-liminali, con illusionismi e con ricatti, ma in certi casi, quando una "opinione pubblica" si sia autonomamente affermata, può darsi il caso che -cosa rara in democrazia- la volontà del popolo abbia una qualche voce in capitolo.

  La cosa altamente preoccupa il grasso servidorame degli usurai regnanti che si suole definire "classe politica". Essendo però preclare caratteristiche di essa il modesto livello intellettuale e culturale, anzichè contrastare con argomenti quelli dei fautori del referendum abrogativo, magari abusando della profusione di mass media pubblici e privati di cui dispone, preferisce adottare sistemi più grossolani e disonesti, ma di probabile successo. I principali sono due, che vanno a integrare il dato di partenza del diffuso disinteresse per la politica, che fa ormai di quello astensionista il più numeroso dei partiti. Uno consiste nell'esprimere i quesiti referendari in termini tali che la maggioranza dei "consultati" non ci capisca niente, o capisca il contrario. Si comincia dalla formulazione abrogativa, per cui, volendo dire NO a una legge, occorre votare SI. Sarebbe bastato chiedere: "volete conservare?" anzichè :"volete abrogare?" e nessun equivoco sarebbe stato possibile. Ma poi, tutto il gergo giuridico-burocratico in cui i quesiti vengono sottoposti ai votanti è del tutto incomprensibile a chi non sia un giurista nè un burocrate, bensì una casalinga, un contadino o un operaio edile: quelli che fanno "quoziente".
   L'altro metodo consiste nel fare in modo che i votanti non raggiungano il 50% fissato dall'art. 39 della Legge 357/70 sui referendum. Come? Col silenzio-stampa, e soprattutto col silenzio-TV. Quei pochi che fanno la fatica di leggere i giornali, più o meno, dell'esistenza di un referendum ne hanno notizia. Ma gli altri, i più, i bulimici di piccolo schermo, che ne sanno ? E anche i primi, per quasi la metà, mugugnano "non m'interessa" o "non ne capisco". Ognuno dei destinatari può fare il piccolo sondaggio personale che ho fatto io.
   Ora, noi sappiamo bene che non c'è nessuno, dai vecchi ai lattanti, a cui il successo del SI "non interessa", e soprattutto dei quesiti 2 (privatizzazione del servizio idrico) e 3 (ritorno al nucleare). Non occorre certo che sia io a illustrare a voi, molti dei quali possono essermi maestri, l'importanza enorme dell'abrogazione di quelle leggi demenziali, vere frecce del Parto della plutocrazia in agonia. Non si tratta dell'effetto Fukushima. E' che l'illimitata disponibilità di energia artificiale non è un bene: è una calamità; è il primo fattore materiale della degenerazione umana; è il maggiore alleato di Mammona.
   Ogni uomo di buona volontà deve sentire il dovere di impegnarsi per far fallire la sporca manovra che trasformerebbe la vanificazione del referendum in un trionfalistico alibi per i criminali. Nessuno si senta sminuito a parlare il linguaggio delle zolle, delle cucine, delle catene di montaggio e, magari, delle carceri. Ma vi chiedo di trasformarvi tutti, per breve tempo,  in maestri elementari, per far capire agli umili quello che non si vuole che capiscano, per spiegare loro l'importanza e il significato dei "QUATTRO SI", per implorarli, se occorre, di non farsi sfuggire questa occasione rara di troncare tentacoli alla piovra.
    Per uomini come voi, ogni altra parola sarebbe superflua.
    Enos, Lases, iuvate !                                                         

Rutilio Sermonti

lunedì 10 gennaio 2011

RUTILIO FEST [recensione]

Nella vigilia dell'Epifania Azione PuntoZero in collaborazione con la delegazione romana Fondazione RSI, l'Ass Cult Raido e l'Ass ARIES, ha organizzato una cena/concerto per il combattente Rutilio Sermonti, presso la Birreria Parsifal, che ringraziamo per la calorosa accoglienza e per l'ottima cucina.
Rutilio seppur provato nel fisico da una recente operazione, ha partecipato alla serata, ringraziando calorosamente tutti i presenti, con un saggio intervento. I tanti ragazzi intervenuti alla serata (da roma, ancona, pescara, santa marinella e dall'abruzzo tutto) hanno potuto sentire dalla sua viva voce, parole di incoraggiamento per le lotte future e per le future vittorie; nonchè alcuni racconti del suo passato di combattente per l'onore e per la patria. Dopo il brindisi di rito, la serata è stata allietata dal concerto de "La Vecchia Sezione" e dal gruppo "Terza Via" che hanno intrattenuto i convenuti fino a tarda notte. Il mattino seguente con Rutilio, prima della partenza una delegazione degli intervenuti la sera precedente, ha definito una serie di attività che prenderanno vita a breve. Una bella iniziativa che speriamo di poter replicare a breve

venerdì 7 gennaio 2011

SOSTENGO RUTILIO!

E' stato creato su Facebook il gruppo di riferimento per le attività di sostegno relative a Rutilio. Naturalmente maggiore sarà il numero degli aderenti maggiori saranno le possibilità di conoscere le attività che si svolgono nel segno di Rutilio. Vi invitiamo pertanto ad iscrivervi e a far iscrivere. Chiunque abbia documenti, foto o immagini è pregato di postarle sulla bacheca del gruppo.

Grazie per l'attenzione





http://www.facebook.com/home.php?sk=group_132973206764722&view=doc&id=132976966764346#!/home.php?sk=group_132973206764722

mercoledì 10 novembre 2010

sabato 6 novembre 2010

LE CORPORAZIONI come opzione di lotta

Rutilio Sermonti
 LE CORPORAZIONI come opzione di lotta
Prefazione di Celsio Ascenzi. Introduzione di Gabriele Adinolfi
EDIZIONI COMUNITARIE, pagine 128, euro 8,00

Una logica assolutamente rivoluzionaria e autenticamente mussoliniana che poco ha in comune con le distorsioni emerse nel neofascismo e tuttora presenti nel suo ambito anche se, fortunatamente, in contemporanea con azioni concrete e trasversali che pure esistono e ci lascian ben sperare. Un rivoluzionario che non smarrisce l'impronta evoliana grazie alla quale riconnette  l'attuale con l'eterno. "Le corporazioni hanno origini ben più antiche. Esse non sono un prodotto dell'economia capitalistica, ma proprio di quella artigianale che la precedette, tutta incentrata sull'ingegno e sulle qualità umane". "Non esistono categorie contrapposte, vi è una categoria sola: di coloro che si dedicano ad una determinata arte o mestiere, graduata solo gerarchicamente, e la tendenza ad organizzarsi in un corpus si spiega solo, da un lato, con l'opportunità di istaurare regole di correttezza e onestà nella concorrenza tra artigiani dello stesso ramo, dall'altro di creare una coscienza unitaria, con legami anche religiosi e perfino esoterici, quasi da ordine monastico, tra di essi, che permettesse di esercitare a viso aperto una legittima influenza anche sulla conduzione dell'intera comunità civica". Tutto si lega nella visione di Rutilio Sermonti: lo strumento rivoluzionario, la concezione organica e il richiamo a gerarchia essenziale con apertura a dimensioni superiori. Dall’Introduzione

Indice

Prefazione
Introduzione
Premessa Confidenziale
1. Sessant’anni di esperienza
2. Sindacati e corporazioni
3. Le corporazioni fasciste
4. Il corporativismo oggi
5. Parliamo di lavoro
6. Conseguenze operative
7. La prima condizione
8. Altre condizioni
9. I paradigmi
10. Una questione delicata
11. Il primo passo
12. Un vasto campo aperto
13. Una parentesi di riflessione
14. Altre ipotizzabili corporazioni
15. Completando l’elenco
16. Il soggetto agente
17. Azione unitaria: come
18. Prime indicazioni pratiche
19. I responsabili di settore
20. Per la corporazione alimentare
21. Per la corporazione del commercio al minuto
22. Per la corporazione in corpore sano
23. Per la corporazione della scuola
24. Per la corporazione della giustizia
25. Per la corporazione dell’editoria
26. Per la corporazione dell’artigianato meccanico e domestico
27. Le Corporazioni anomale


Rutilio Sermonti, nato a Roma il 1921, Avvocato, Scrittore e Saggista.
Combattente contro tutte le plutocrazie e tutte le demagogie, con le armi finchè potè, poi con le parole, la penna e lo stile di vita militante. Cultore di studi di zoologia e sociologia, specialista nella ricostruzione al vivo di animali preistorici. Autore di opere storiche e sociologiche tra cui la monumentale “Storia del Fascismo” (con Pino Rauti), “Storia dei Carabinieri”, “Valori Corporativi”, “Noi e Loro: storie di uomini e animali”, “Il Prezzo della Salvezza”, “L’uomo, L’Ambiente e Se Stesso” e di altri innumerevoli saggi ed articoli. E’ noto per aver condotto per oltre venti anni una spietata lotta contro la teoria evoluzionistica e le sue implicazioni inquinanti il pensiero. Instancabile collaboratore di numerose organizzazioni politiche, culturali e sociali, presta la sua attività giornalistica a diverse testate quotidiane, settimanali e mensili. Sermonti già Fondatore e Presidente dei “G.R.E.” (Gruppi di Ricerca Ecologica), ha rappresentato per intere generazioni di giovani un punto di riferimento ideale e culturale per una concezione tradizionale della vita e della civiltà.


Nota dell’Editore

La creazione delle Edizioni Comunitarie nasce dall’esigenza di supportare Rutilio fornendogli una grande quantità di copie in qualità di autore che, per ovvie ragioni, le piccole case editrici d’area non possono sostenere. A fronte del versamento di una quota, i sottoscrittori ricevono un numero congruo di copie a prezzo vantaggioso. Coperte le spese, su tutto il resto delle copie vendute, Rutilio riceve una percentuale. E’ per tale motivo che invitiamo chi, per distanza o tempo non riesce ad aderire alle iniziative di supporto, ad acquistare il libro.

Per ordinare singole copie: ordini@raido.it

Per le comunità, sezioni, librerie, circoli, che intendono prenotare copie del libro con lo sconto rivenditori: distribuzione@raido.it

giovedì 21 ottobre 2010

SOSTENERE RUTILIO!


Rutilio nella giornata di ieri cadendo dalla sedia si è rotto un femore. Attualmente ricoverato presso l’ospedale in Ascoli Piceno, al quarto piano, stanza 2, in questo momento Viene visitato per conoscere l’iter, intervento o non intervento. Per la sua veneranda età è senza dubbio una situazione delicatissima e nonostante ciò mantiene alto il morale. Oltre ad attivarsi per dare maggiore sostegno di carattere economico, è assolutamente necessario essere fisicamente vicino a Rutilio per essere d'aiuto alla moglie ed al figlio Giulio.

Chiediamo gentilmente di mettervi in contatto con uno di questi interlocutori per mettervi a disposizione per un giorno da dedicare a Rutilio da oggi in poi: Giulio giuserm@hotmail.com , celsio.ascenzi@alice.it, lorellademeis@virgilio.it

Dove è ricoverato Rutilio
Ospedale Provinciale Ascoli Piceno Via dei girasoli, 4° piano, Ortopedia, traumatologia, Uomini , stanza 2
Si prega di dare massima diffusione alla notizia. Ringrazio per l’attenzione e confido in un riscontro immediato.

Per chi non può dare una presenza fisica, la solidarietà morale non basta…
Rutilio Sermonti CCB n° 3401
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO - dipendenza di Pagliare del Tronto (0252)
coordinate bancarie: IBAN IT70  Y010  0569  7400  0000  0003  401

domenica 14 febbraio 2010

Rutilio SERMONTI a Civitavecchia

Sabato 13 Febbraio, ore 17.30, Civitavecchia - RM

Incontro con Rutilio SERMONTI – Il Dovere dell’Azione

Conferenza e presentazione dell’opera editoriale di un combattente che non si è mai arreso!

Appuntamento all’ingresso della sala del consiglio comunale di Civitavecchia.

Confermare la presenza. Puntuale e necessaria.