Visualizzazione post con etichetta caterpillar. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta caterpillar. Mostra tutti i post

venerdì 15 marzo 2013

Educazione Siberiana [il film - recensione]

Nel suo ultimo film “Educazione siberiana”, Gabriele Salvatores, premio Oscar con “Mediterraneo”, racconta una storia di fede e violenza, di amicizia e di crimine. Ma, sotto questa trama, si dipanano grandi interrogativi sulla formazione della coscienza, sul senso ultimo delle cose e sul destino dell'uomo. Siamo stati a vederlo e con l'estensore della recensione ne abbiamo conversato amabilmente a cena.


[Recensione a cura di Caterpillar]

Il film è la storia di ragazzi che passano dall'infanzia all'adolescenza, all'interno di una comunità di "Criminali Onesti" siberiani, così come loro stessi amano definirsi, rappresentando, attraverso un microcosmo molto particolare, una storia universale che, al di là delle implicazioni sociali, acquista un significato metaforico che riguarda tutti noi.

Solo Gabriele Salvatores può e vuole fare il cinema che tutti abbiamo sognato da ragazzini e non quello autoriale di chi s’è dimenticato d’esserlo stato, bambino. Non si ferma mai in un posto, non cerca mai la sicurezza di ciò che ha già sperimentato, va sempre dove non è stato. Lo fa anche in questo caso, con Educazione Siberiana, facendosi accompagnare dalla prosa secca e feroce di Nicolai Lilin, che quel modo di sopravvivere e crescere in Transnistria l’ha sperimentato davvero, a somiglianza di molti altri adolescenti educati alle durezze della vita dall’angustia dei tempi toccati loro in sorte, che gli hanno però insegnato il rispetto della tradizione, l’attaccamento ai valori, il senso della pedagogia familiare, anche se orientata verso l’apprendimento di una mentalità criminale. Un impietoso atto d’accusa contro la nostra società sazia e indifferente, narcisista e cinica. 

Diciamolo subito, il regista napoletano di nascita e milanese d’adozione, riesce subito a disinnescare quella curiosa malattia che coglie molti nel cinema italiano portandoli a uniformarsi a un unico stile di racconto e a un rigido conformismo di contenuti da salotto più o meno radical chic. Salvatores spariglia le carte portandoci nell’ex Unione Sovietica e raccontandoci  di due bambini, poi adolescenti che crescono in Transnistria, regione della Moldavia Occidentale, nella comunità criminale locale più povera e cattiva, quella degli Urca siberiani, deportati ai tempi di Stalin in quella zona remota dell'Unione Sovietica: un'etnia povera molto religiosa e insieme ribelle, in cui vigono regole ferree di comportamento…
A far da filo rosso (sangue) è Nonno Kuzya, un John Malkovich invecchiato e ieratico che custodisce le regole della morale indigena, difendendole dalla modernità di un impero caduto, quello sovietico. Odia divise e banchieri, gli usurai e chi accumula più denaro di quanto gli sia necessario (e infatti quello che viene rubato va nascosto in giardino e mai tenuto in casa), è una sorta di guru-patriarca che detta le regole dell’etica e dell’estetica del suo popolo, tra coltelli e tatuaggi, insegnando a vivere al nipote Kolyma. Accanto a lui c’è Gagarin  un outsider in una terra di emarginati. Uno che ha un cuore diviso tra la lealtà di un affetto invincibile verso l’amico di sempre e l’inquietudine che lo corrode. Una bomba a orologeria e autodistruttiva, uno che può far crollare un sistema di valori costruito in secoli di devozione e omicidi, vendette e fede.

Salvatores parte da loro due per raccontare un impero morente, quello sovietico, e un nichilismo invadente che lo sostituisce, prova a mostrare la globalizzazione che prova a sporcare pure la criminalità più o meno organizzata, a colpi di chili di eroina.
Il cineasta non cerca sovrastrutture, ma l’emotività e l’azione. C’è politica e storia nel suo cinema, perché cresce e si intravede naturalmente in un tragico romanzo di formazione che non fa sconti a nessuno, persino in quella storia d’amore tenerissima e sbagliata di Kolyma e la giovane  disadattata Xenia.
Il film si apre in un esterno, con un branco di lupi che vaga compatto in mezzo alla neve: la scena è concitata, si sente il gelo, si sente la fame del branco. Pochi istanti dopo la scena si fa intima: dentro una casa, alla luce delle candele, nonno Kuzja prega davanti a un altare. Prega la Madonna, «Santa Madre del Santissimo Iddio», raffigurata da due icone russe: una tradizionale, l'altra con due pistole. Accanto, un crocefisso e altre figure votive. Ma anche armi, pugnali. E la preghiera è insolita: si chiede protezione e perdono per loro, «onesti criminali», benedizione per le armi e le traiettorie dei proiettili, nella concezione di essere strumenti dell'ira di Dio. «La picca è come la croce, lei ti accompagna per tutta la nostra vita », dice a Kolima nonno Kuzja, mentre gli insegna a colpire a sangue freddo, ma al contempo a proteggere i deboli, i disabili, (che gli Urca chiamano i “voluti da Dio”), gli anziani e le donne, in un mix paradossale e insieme autentico di pedagogia ed etica criminale. La fede, qui, non è mai disgiunta dalla lotta, dalla giustizia anche con le armi. E, come c'è il sangue, c'è tanto Dio in Educazione siberiana. Perché, come ci insegna l’Apostolo delle Genti, Dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia” (Rm 5,20).

Un racconto generazionale che diventa film di guerra, un Romanzo Criminale che sì, senza sfuggirgli di mano, si mischia a una sorta di Meglio gioventù rovesciata.
Le redini della strana spiritualità materialistica della comunità comandata da Kuzja, la poetica dei tatuaggi che scrivono sui corpi le storie di ognuno (e che Kolyma, in carcere, imparerà a disegnare e leggere: nella realtà è Lilin il suo consulente), la forza di voci incattivite che cacciano, cantando, l’autorità sono tutte nella potenza immaginifica di un regista che non si stanca mai di narrare nuovi mondi. E in quei due ragazzi, alla fine, si vede l’amicizia tra lo stesso Salvatores e Lilin, che si evince dalle interviste oltre che dal film stesso. 




martedì 14 giugno 2011

La faretra di Caterpillar: Navi e congiure

Il 23 settembre 2009 - Nel corso di una sfuriata al convegno del PdL di Cortina
d’Ampezzo, il ministro Brunetta ad un certo punto ha interrogato il suo
pubblico: “Ve lo ricordate il Britannia? Se non ve lo ricordate”, disse Brunetta,
“ve lo ricordo io. Il Britannia è una nave che navigò davanti alle coste
italiane [...], ospitando banchieri, grand commis dello Stato, esponenti vari
della burocrazia finanziaria… in cui si svolse un lungo seminario, durato un
paio di giorni, in cui si trassero le linee della svendita delle aziende di stato
italiane”. A Civitavecchia

Proprio al largo di Civitavecchia - la città da dove da oltre trent’anni Mondo Nuovo conduce la sua battaglia contro tutte le droghe e per il sostegno e recupero delle persone con problemi di tossicodipendenza – 100 giorni dopo l’arresto di Chiesa, che segnò l’avvio di “Mani pulite”, e pochi giorni dopo la strage di Capaci, il 2 giugno 1992, su un panfilo denominato “Britannia” e di proprietà di Sua Altezza la Regina d’Inghilterra, si ritrovarono un centinaio di personaggi legati al mondo dell’alta finanza, per una congiura - non riesco a trovare altro termine per definire la cosa - diretta a impoverire il paese e a derubarne il futuro.
Tra gli italiani vi erano Beniamino Andreatta, che poi ricoprirà la carica di ministro in tre successivi governi. E vi era Mario Draghi, che oggi ritroviamo a capo della Banca d’Italia, ma che allora era direttore generale del Ministero del Tesoro e, come presidente del Comitato per le privatizzazioni, guidò il processo di svendita, oltre che di Telecom, di ENEL, ENI, IMI, COMIT, BNL e tutto il sistema bancario italiano. Finito il suo lavoro di liquidatore (2001), in attesa di salire al vertice della Banca d’Italia, Mario Draghi parcheggia il prezioso culetto sulla poltrona di vicedirettore della banca d’affari Goldman Sachs (quel posto ora è occupato da Mario Monti, altro nome illustre della banda), che è un elemento cruciale di questa storia e in generale nella storia delle privatizzazioni italiane, dove gli acquirenti stranieri poterono beneficiare di uno sconto del 30%, un vero affare! Accorsero in branchi le iene per avventarsi sul cadavere dell’economia nazionale a spolparne le ossa. Di quella crociera i giornali diedero informazioni vaghe, e alcuni dei protagonisti si affrettarono a liquidarla come un semplice ritrovo di piacere. Draghi negò per due anni la sua partecipazione, finché non la ammise di fronte ad una Commissione parlamentare.
Tornando al Britannia, al piacevole party marinaro partecipò anche il finanziere ungherese-americano George Soros che oggi si spaccia per filantropo, ma allora si divertiva e arricchiva speculando sulle valute di molte nazioni. Sarà un caso, ma pochi mesi dopo quella crociera, a settembre, Moody’s declassò i BOT italiani. Allo stesso tempo George Soros lanciò un attacco speculativo alla lira attraverso una massiccia svendita della valuta italiana. Questi fatti provocarono un crollo del valore della moneta del 30% a cui la Banca d’Italia cercò di far fronte bruciando 48 miliardi di dollari. Georges Soros, che agiva sui derivati, insieme a Goldman Sachs e alle altre finanziarie di Wall Street, alla fine dell’operazione si calcola che ne abbia ricavato un profitto del 5.600% sulla somma investita. Per questo George Soros fu premiato - per intercessione di Prodi - con la laurea honoris causa all’Università di Bologna… Eppure anche in Italia Soros è stato inquisito - invano, ovviamente - per aver guidato il complotto speculativo che portò al fallimento della lira, nel 1992. Ma chi è questo paladino etico delle sinistre mondiali? Ebreo di origine ungherese e naturalizzato americano, nemico occulto della Chiesa Cattolica, il suo nome ritorna insistentemente dietro situazioni poco chiare, dietro la guerra civile in Albania, dietro l’UCK in Kosovo, in Afghanistan, nelle rivoluzioni del Caucaso… Egli del resto non fa segreto di agire, tramite mille ramificazioni, nella vita politica di vari paesi e di averli rivoltati come calzini (la forza del denaro contro la debolezza degli uomini!). Il suo pallino è l’idea di “società aperta”, un’espressione di per sé poco chiara ma che in un suo articolo, intitolato “Brave new world”, alla fine del quale cita l’omonima opera del già citato Aldous Huxley, dice che, sì, effettivamente il suo modello di società aperta può provocare anche qualche piccolo guaio, e cioè legami “meno importanti...tra genitori e figli”, “eutanasia, ingegneria genetica, lavaggio del cervello, liberalizzazione delle droghe”.
Così apprendiamo che Soros reinveste parte dei soldi ottenuti con la speculazione proprio per liberalizzare la droga: “Corriere Economia” riporta 25 miliardi spesi per enti antiproibizionisti americani, 1,7 miliardi per “marijuana libera per scopi medici”, 1,7 miliardi per “distribuzione siringhe ai drogati”... in compagnia con Hugh Hefner, proprietario di Playboy. Ed è stato anche sponsor degli antiproibizionisti nostrani, magari ex proletari che non si vergognano assolutamente di schierarsi con un esponente della più spregiudicata speculazione: Dario Fo (già autore di “La marijuana della mamma è la più bella”), Manconi, Stefano Rodotà, Cohn Bendit, Emma Bonino e i radicali in generale… Come risultato del collasso del sistema, i soldi della droga hanno assunto un ruolo centrale in settori già tossico-dipendenti del sistema fi nanziario, come quelli che sostengono George Soros. Nei circoli del potere, gente disperata scende a patti per ottenere un po’ di soldi. In questo contesto, “le banche vengono corrotte dall’offerta dei narcodollari; ogni tipo di istituzione è esposta a questa offerta. I soldi della droga sono l’unico canale di denaro disponibile in grande quantità, mentre il sistema collassa”, come denuncia il sito osservatoriodroga.it. Si va al sodo: si vuole legalizzare la produzione e fare affari grazie al traffico della droga, come avvenne ai tempi dell’Impero Britannico.

mercoledì 8 giugno 2011

La Faretra di Caterpillar: Scandalo in carcere

Nel carcere di Bollate è successo un fatto davvero grave. Un fattaccio che merita attenzione e desta allarme. Una detenuta avrebbe fatto l'amore con un detenuto all'interno di un'aula scolastica. Il fattaccio, già gravissimo di per sé, ha assunto le connotazioni di uno scandalo penitenziario perché - udite udite! – la donna detenuta sarebbe rimasta incinta a seguito del rapporto sessuale. Un vero scandalo che una donna e un uomo abbiano iniziato una storia d'amore in un luogo in cui i sentimenti sono banditi e che questa storia abbia portato al concepimento di una vita.
L'idea di una vita concepita dietro le sbarre non è ammissibile. Quei corpi sono corpi reclusi. Quelle vite, sono vite prigioniere e pertanto private dell'autonomia propria delle persone. Quei sentimenti vissuti in un carcere sono avvertiti come una minaccia.
La vita in un carcere fa più paura della morte. I sentimenti di amore possono trovare spazio solo se mutilati dalle sbarre, dalla divisione, dalla castità coatta. Solo se si esprimono per lettera o nei colloqui in mezzo a tutti gli altri. Eppure la pena a cui sono stati condannati quell'uomo e quella donna prevede solo la privazione della libertà, non il divieto dell'amore, dell'affettività, della sessualità, della vita che nasce.
Ora sembra certo che il fattaccio sarebbe rimasto sconosciuto se non fosse stato per l'impegno e la solerzia del segretario generale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria (Sappe), che ha denunciato l'accaduto. Ma il prode fustigatore non si è
limitato a denunciare lo scandalo. No. Il segretario generale del Sappe è andato anche oltre. Ha infatti chiesto al Ministro della Giustizia Alfano di mandare degli ispettori nel penitenziario incriminato, per capire cosa non abbia funzionato.
Indubbiamente si tratta di una denuncia e di una richiesta di ispezione ministeriale assai opportuna, considerata la gravità dell'accaduto. Si rimane solo perplessi del fatto che, visto l'assoluto degrado in cui versano le carceri italiane ( dalle decine di migliaia di detenuti tossicodipendenti "cronicizzati" a base di valium e metadone, al diffondersi di patologie come la scabbia e la tubercolosi, dovute alla promiscuità e alla mancanza di igiene - malattie che parevano debellate nella nostra società - agli stessi drammatici episodi, suicidi e inconsulti atti di violenza, di cui sono stati protagonisti agenti di custodia - a denunciare lo stress della loro stessa professione - per non parlare delle molte decine di bimbi sotto i tre anni detenuti insieme alle loro madri - mentre una specifica legge, la 8 marzo 2001 n° 40, impone il differimento della pena e gli arresti domiciliari ), il Sappe non abbia avuto altro di cui occuparsi se non di due detenuti che fanno l'amore.


 La Comunità Mondo Nuovo nel suo impegno
a favore degli ultimi ha una particolare attenzione
anche verso il carcere, tanto che in tutti i Centri
vi sono ospiti in misure alternative alla detenzione,
per i quali sono studiate specifiche misure
di attenzione e sostegno

In questi ultimi due mesi sono morti suicidi in carcere 12 detenuti. Più di uno a settimana. Ma quelle morti non fanno rumore. In fondo la morte, la violenza, il dolore sono considerate parte integrante del carcere. In fondo, potevano pensarci prima di delinquere. In fondo, è solo un delinquente in meno. In fondo, quella svergognata avrebbe potuto prendere qualche precauzione, o ricorrere ai vecchi metodi delle mammane, per evitare lo scandalo…
Il concepimento di un bambino invece scatena sentimenti di indignazione: questi scostumati si sono amati mentre stavano scontando una pena! Hanno voluto che
dal loro disperato amore nascesse una vita! Per questo si chiede che siano puniti e
insieme a loro anche la direttrice che non ha vigilato perché non avvenissero fatti
così riprovevoli dentro un carcere, specie se è un carcere modello. Perché al carcere come luogo di reinserimento credano davvero poche persone. Certo Sandro, il presidente della Comunità, e basta allora un seme di vita per fare cadere la maschera!

Il Progetto “La Strada... di un Mondo Nuovo”
“Dare la possibilità a quei detenuti tossicodipendenti di uscire fuori dal circolo vizioso della malavita è indice di alta sensibilità da parte del Ministero della Giustizia; la Comunità deve rappresentare il taglio netto con un vecchio stile di vita, non l’alternativa più comoda al carcere”. Queste le parole di Alessandro Diottasi, presidente della Comunità Mondo Nuovo, che commenta l’avvio del Progetto “La Strada... di un Mondo Nuovo”, iniziativa promossa dall’ Associazione in partenariato con il Sert. dell’Istituto Poli-penitenziario di Rebibbia a Roma. Un progetto pilota, presentato ed approvato dall’Assessorato ai Servizi Sociali della Regione Lazio, che permetterà ad alcune persone in regime restrittivo di partecipare a percorsi motivazionali finalizzati all’ingresso in Comunità. Un’équipe di operatori, psicologi ed assistenti sociali incontrerà dei gruppi di detenuti del Carcere di Rebibbia per valutare e oro motivazioni al cambiamento e favorendo gradualmente il loro ingresso nelle strutture socio-riabilitative della Comunità. Il responsabile del progetto, lo psicologo e psicoterapeuta Giovanni Squeglia, osserva che: “Verranno somministrati test motivazionali, effettuati colloqui individuali e di gruppo, sarà proiettato un audiovisivo illustrante la giornata tipo della Comunità, e si collaborerà con gli operatori dell’Istituto Poli-penitenziario affinché ci siano tutte le garanzie per le quali l’alternativa al carcere sia concessa davvero a chi mostra interesse di cambiar vita”.



Caterpillar

mercoledì 25 maggio 2011

La Faretra di Caterpillar: Liberi dalla Paura corriamo verso l’abisso

A chi legge potrà sembrare a dir poco un'anomalia. Però, se si ha la fortuna di conversare con dei superstiti dell'ultimo conflitto mondiale, sarà sorprendente constatare come, per una gran parte di loro, le bombe "alleate" che devastavano le nostre città abbattendosi su scuole, ospedali, fabbriche e abitazioni civili, siano tuttora considerate "bombe amiche", senza le quali non ci si sarebbe potuti "liberare dal nazifascismo". Propaganda fin che si vuole, ma sempre sotto le bombe stavano; vedevano pur sempre i propri cari uccisi o mutilati. A chi scrive è bastato ascoltare la sirena di un allarme aereo ( Belgrado, 2000 ) per percepire che di "amico" in quel suono c'era ben poco e avvertire nelle viscere la paura…

Questa mancanza di paura, la fondata paura che naturalmente si pone alla base del mero istinto di sopravvivenza, non sembra più albergare nei potenti e nei popoli dell'Europa contemporanea. Tutt'altro: essi sembrano bramare di sprofondare nell'abisso. Con un fare nichilisticamente da distruttori, essi non si rendono nemmeno
più conto della reale portata delle proprie azioni, e non riescono più nemmeno nel discernimento di quanto possa essere nocivo alla loro stessa tenuta. Non si pretende certo che vogliano il bene del popolo; ma è stupefacente constatare che costoro non desiderano neanche il loro, tanto sono presi dalla spinta distruttrice di cui sono vittime e promotori. È sufficiente leggere le cronache, e guardarsi un po' intorno.

Stanno distruggendo la nostra sovranità politica, senza paura di tramutare il continente in una colonia di zombies. Hanno trasformato gli Stati in delle proiezioni istituzionali della grande finanza, nei quali alle autorità autoctone non è più consentito neanche comminare una contravvenzione senza il permesso del padrone che si è assiso a Bruxelles o a Strasburgo, libero di decidere la lunghezza ed il diametro delle zucchine (roba da riderci sopra, per la sua insulsaggine) ma anche l'uso della droga a "scopo terapeutico" o per la "riduzione del danno" (roba da far tremare le vene e i polsi), e sempre in nome della liberta - libertà di cura, la chiamano loro.

E per soporizzare ogni residuo dell'istinto di sopravvivenza, ecco la propaganda mediatica che ci mostra il successo di cantanti, attori, calciatori, manager, modelle e le loro modaiole trasgressioni con la droga… Oppure gli indignati appelli e le documentate denunce scientifiche contro nuove e improbabili "dipendenze" (l'ultima
riguarda i lettini solari), a creare quella notte della ragione dove tutti i gatti sono bigi, dove tutte le sostanze appaiono eguali, l'eroina come la nutella, il crack e l'ecstasy come la crema solare…

Sempre più rapidi, sempre più declivi bruciate le mète,rompete tutte le dighe.
La catena non vi è misurata! Cogliete i lauri di tutte le vostre conquiste.
Correte con ali sempre più rapide, con orgoglio sempre più teso
con le vostre vittorie, i vostri superamenti, i vostri imperi,
con le vostre demagogie, le vostre ricchezze e pretese.
La fossa dev'essere colmata e s'ha bisogno di concime
per il Nuovo Mondo che balzerà fulmineamente
dalla vostra fine


Stanno distruggendo la nostra sovranità economica e monetaria, confidando - senza paura - che i loro lauti emolumenti durino in eterno. Svendono, dismettono, come inutili orpelli, le strutture di stato sociale che per decenni hanno garantito la cura dello Stato nei confronti dei più deboli: basta che un sicofante di Bruxelles dica no e non si costruisce neanche una casa popolare, basta s'inventi una circolare ed ecco che trattare un tossicodipendente non con psicofarmaci (causa di nuove e più anodine dipendenze) ma con amore, attenzione, responsabilità può configurare il reato di plagio... Hanno accettato di convertire l'economia reale nell'azzardo delle rendite finanziarie, grazie alle quali solo chi molto ha molto può ottenere; gli altri, tutti gli altri, non si sognino neanche di poter andare nel negozio sotto casa ad acquistare ciò che occorre alla propria famiglia: anche perché non lo troveranno più, e al suo posto ci sarà una banca che gli proporrà un mutuo - e al servizio degli stessi finanzieri, qualcuno proporrà ai loro figli un po' d'erba o una pasticca.

Stanno distruggendo la nostra cultura, annientando la nostra identità e cancellando la nostra memoria storica. Le nostre città sono brutte, il sadismo edilizio ha soppiantato storia, bellezza e tradizione, si vive nella sterilità di un ambiente asettico. Hanno puntato, fallace scommessa, su un modello reificante per cui la merce sostituisce i beni.

Ci hanno detto che tutto è mercato: cibarsi delle stesse identiche porcherie in tutto il mondo, divertirsi tutti allo stesso modo, leggere i libri in vendita nei centri commerciali; vogliono che ci si rassegni a camminare per la città ammirando l'alternanza tra banche, call-center, negozi di lusso, di smart drugs e sexy shop… Che alla lunga l'abitudine ci farà accondiscendere verso questa umiliante e insensata
castrazione che ruba il futuro ai loro e nostri figli.

Senza paura, convinti che i cancelli attorno alle loro residenze li proteggeranno per sempre, si godono sghignazzando il turpe spettacolo delle guerre fra poveri che hanno
scatenato; commerciano in schiavi pontificando di accoglienza e integrazione, offrendo loro le allettanti prospettive di stare dodici ore nei campi per venti euro, di vendere eroina sulla strada, di fare le pulizie in qualche opera pia o di praticare fellatio nelle macchine dei clienti. Senza paura della fine che li travolgerà, si vogliono eterni, in questo che per loro è il migliore dei mondi possibili, e che per sempre durerà. E se qualcuno dovesse dissentire, non si tema: il codice penale è in corso di aggiornamento...
Gli uomini ancora liberi invece paura debbono averne: la legittima paura che si può provare dinanzi al nulla che avanza, dinanzi alla sua forza che appare preponderante.
Da cui svincolarsi con un semplice gesto: dire NO a tutto questo, fare ciò che deve essere fatto, per essere un faro che illumina la via verso un Mondo Nuovo!

Caterpillar

giovedì 19 maggio 2011

La faretra di Caterpillar: Imparare Facendo


Perché un bambino, quando gli raccontiamo una favola, non vuole che si cambi la storia? Perché pretende che la si ripeta come l'ha sentita la prima volta, e non tollera cambiamenti? I riti non si variano, pena la loro nullità. Questo vale per la liturgia (teologia "agita", recitata) ma è sempre valso per molte altre cose, dai giochi antichi come la campana o "il mondo", alle favole trasmesse da millenni. Ma come farlo capire, oggi? Cambiare qualcosa in Cappuccetto Rosso è arbitrario come cambiare una regola degli scacchi. Solo se lo si gioca "ne varietur" il gioco degli scacchi rivela il suo carattere d'iniziazione.

C'è da stupirsi che oggi i più possano guardare una scacchiera senza timore: quei quadrati bianchi e neri sono i tuoi giorni e le tue nere notti; essi sono contati. Attento a come muovi, perché alla fine, la sconfitta o la vittoria le vedrai dipendere totalmente dagli errori che hai fatto, anche da uno solo, quando hai mosso alla leggera un pedone, magari all'inizio, quando avevi davanti a te l'illusione di poter fare quel che volevi, la vertiginosa "libertà" del possibile. E non potrai lamentare la tua mala sorte né affidarti alla fortuna, o invocare la grazia, perché il gioco degli scacchi esclude la sorte fortuita e, come nella vita dai giorni contati, non c'è "grazia" che soccorra chi ha giocato male. Il gioco degli scacchi come la vita, e da millenni insegna - come insegna la Comunità quando parla di “amore responsabile” - che ogni tua azione porta una conseguenza, le conseguenze si accumulano, e saranno alla fine il tuo giudice.
Come si imparava ancora ai tempi della mia giovinezza, quando col solo fatto di andare in Chiesa, ascoltare la celebrazione della Messa, generazioni di contadini analfabeti si appropriavano non solo del senso del bene e del male, ma di una porzione alta, per nulla popolare, della cultura. A forza di vedere la rigorosa perfezione delle pitture sugli altari o affrescate sulle pareti, di recitare il Credo fra la perfezione armoniosa delle navate e dei pilastri, quel senso del bello come rigore entrava nella carne dei contadini. È per questo che quando si costruivano poi la loro casa, la loro architettura spontanea faceva case che oggi gli architetti sono incapaci di riprodurre - ammesso che ne avessero la voglia. Il guaio è che ai più, le villette brutte e abusive piacciono, come piacciono e si fanno i brutti film, la brutta musica, e più gravemente, fra i giovanissimi, le brutte azioni, come bruciare un immigrato sulla panchina. E per questa cecità i nostri giovani sono divorati dalla noia: del resto, se cerchiamo solo "emozione" e "distrazione", andiamo direttamente al punto, spariamoci una dose di coca o un videoporno.

“Fai e poi capirai”: in questo principio della vita comunitaria è riassunto il senso di un percorso
ed esperienze altamente formativi - gli psicologi parlano di ergoterapia, di dinamiche relazionali, di risocializzazione - per acquistare una nuova fiducia e responsabilità verso se stessi, gli altri,la società...

I ragazzini imparavano dagli adulti. I ragazzi e le ragazze accompagnavano i genitori nel lavoro, sui campi o con le bestie o a bottega. Imparavano così, facendo, una quantità di cose inimmaginabili ai giovani d'oggi. Bisogna vedere e provare come si munge la vacca, vedere un suo parto per imparare ad aiutarla; apprendere facendo come si fa un innesto, come riconoscere una malattia della vite; bisogna sentir raccontare dei tempi propizi per la semina, e l'azione della luna, e i segni del tempo, e i termini tradizionali, rigorosamente precisi (ne varietur) di queste attività "umili". Così gli apprendisti imparavano affiancando i mastri artigiani, e non solo i mastri d'ascia o i fabbri: anche Leonardo imparò a bottega del Verrocchio a pestare e mescolare i colori. 

Anche l'alta cultura si fonda su un "fare" e un "affiancare", quella cultura, intesa nel senso più ampio, che comprende la prima di tutte: l'agricoltura..
Manca ai ragazzini d'oggi anche l'insieme di conoscenze che venivano dalla mistura delle età; bambini, giovani mamme, zie zitelle, nonni vivevano insieme; le ragazzine apprendevano a trattare un neonato e a cambiarlo vedendolo fare; gli anziani sapevano insegnare cos'era giusto e cos'era sbagliato: il rispetto degli altri e della parola data, la responsabilità del lavoro e della vita.
Noi bambini, in mezzo agli adulti, imparavano – o meglio assorbivamo – il linguaggio, le sue finezze ed espressività, drammatiche o umoristiche, sentendo qualche "grande" declamare interi canti dell'Inferno, o brani della Gerusalemme Liberata e dell'Orlando Furioso, o ridendo, raccontare di certe burle e furbizie di gente del vicinato - che scoprii solo molto più tardi essere quelle stesse che Boccaccio attribuisce a Bruno e Buffalmacco.

Una ricchezza di cultura, di senso, di responsabilità, di amore che oggi può essere ritrovata nella vita di Comunità, dove si cerca di colmare il vuoto della droga, della devianza, del non senso cui sono abbandonati tanti giovani proprio imparando dagli altri - fai e poi capirai.
Un percorso ed esperienze altamente formativi - gli psicologi parlano di ergoterapia, di dinamiche relazionali, di risocializzazione - per acquistare una nuova fiducia e responsabilità verso se stessi, gli altri, la società... Imparando ad aprirsi e raccontarsi coi propri compagni, con gli anziani di Comunità, con Sandro; imparando il confronto e la consapevolezza, il rispetto delle regole e degli altri... Imparando il peso della vanga e del mattone, il gelo alla raccolta delle olive, la sete della fienagione; imparando il buon sapore del cibo guadagnato col proprio lavoro, imparando a godere del meritato riposo dopo la fatica... Imparando a vivere le storie della Comunità e a costruire giorno per giorno il proprio percorso con la disciplina e la responsabilità del lavoro - un lavoro fatto per se stessi e su se stessi, un lavoro per costruirsi una vita nuova, in un Mondo Nuovo!

Caterpillar