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sabato 14 novembre 2015

Le Corporazioni come opzione di lotta [recensione]



Il libro proposto di Rutilio Sermonti potrebbe sembrare per alcuni uno scritto obsoleto e uno slogan dall'aria nostalgica di un passato ormai remono. In realtà si presenta come una valida alternativa all'attuale sistema da mettere all'opera hinc et nunc, qui e adesso, una nuova strategia corporativa aggiornata ai tempi che viviamo.

L'Autore, partendo dalla descrizione delle prime storiche corporazioni degli artigiani mette in evidenza come il concetto stesso di "lavoro" abbia subito un radicale cambiamento di significato nel corso del tempo arrivando a coincidere con quella che era considerata una volta la mansione degli schiavi. Infatti, la parola "lavoro" che  deriva dal latino "labor" significa esattamente sofferenza, fatica opprimente. Mentre il lavoro creativo degli artigiani delle corporazioni si chiamava "opera" e, in particolare, era il risultato di un rapporto quasi padre-figlio tra il maestro e l'allievo che ne apprendeva la tecnica ma anche tutto un complesso di valori morali e religiosi che lo accompagnavano durante l'apprendistato. Custode e garante di quei valori, condivisi da tutti i cultori dell'arte artigianale a cui si riferivano, era per l'appunto la corporazione, corpus sociale di coloro che si dedicano ad un determinato mestiere, senza contrapposizioni categoriali e graduata solo gerarchicamente per un'esigenza di corretta e onesta concorrenza tra artigiani dello stesso ramo.

Alla luce di quanto detto si comprende subito come oggi per "lavoro" non si intende più un'attività creativa da tramandare e nella cui opera ultimata l'uomo continua a vivere, ma sta a significare, come spirito e come modalità, produzione in serie, anonimato, stress e fatica, proprio quello che pressapoco caratterizzava in antichità il lavoro dello schiavo. Ma ancora più sconcertante è forse la concezione a livello di società che si ha del lavoro, come semplice pretesa di una busta paga, astraendo completamente dalla sua utilità per la comunità. Crescita economica per l'amore della crescita dunque che mette a sua volta in moto la dinamica del flusso di denaro inventato per coprire migliaia di "posti di lavoro improduttivi", ma che si devono comunque pagare.

Di fronte alle rovine descritte, l'autore mette nero su bianco dei consigli operativi per trasformare le corporazioni, ancora vergini dalla contaminazione capitalista, in una vera e propria opzione di lotta, affinché la nobiltà, il lavoro la ritrovi nella sua utilità sociale e non nella retribuzione.

Partendo da un gruppo determinato di persone caratterizzato da una ferrea volontà e da spirito di sacrificio, esso dovrà progettare e mettere in esecuzione un corso teorico-pratico, che preveda esercitazioni e verifiche. Tale corso deve essere uno per tutta l'Italia con unità d'imposizione essenziale affinché costituisca il patrimonio ideale di ogni militante. Inoltre, si dovrà mettere l'accento sul riacquisto da parte degli allievi della consuetudine al lavoro comune. Tale metodo l'autore lo suggerisce sulla base di un'esperienza diretta e concreta.

A tutto ciò si aggiunge uno spiccato senso della gerarchia, in cui ad ogni livello ci si ponga i problemi specifici di quel livello senza  fare i soviet dei soldati della Russia del 1917. Bisogna inoltre riesumare il glorioso spirito delle corporazioni a partire dalle coscienze dei migliori. Ma gli addetti devono cominciare coll'attivarlo dentro di loro innanzitutto poiché, come Rutilio ci insegna, "non si può infondere in altri quello che non si possiede prima in sé".

Il libro in questione, descrive in maniera vasta e dettagliata il quadro in cui ci si deve muovere per approdare all'opzione corporativa. Esso tuttavia non ha la pretesa di essere esauriente poiché, ed è lo stesso Autore a scriverlo, "è nella verifica di tutti i giorni che si fanno le migliori scoperte, si modificano e si adeguano i programmi". Il libro pertanto si presenta come uno strumento di lotta e non come un'icona da conservare su facebook, esso è stato scritto per spingere ad agire, a conquistare. Vi è quindi un mondo da ricostruire e il dibattito sul come l'opzione corporativa possa divenire vincente è dunque aperto.

Se desideri riceverlo a Santa Marinella, puoi fare riferimento all'indirizzo di posta elettronica:

puntozeroblog@gmail.com

giovedì 5 novembre 2015

NIENTE PIU SCUSE | Un libro è formazione legionaria


















LEGIONE ARCANGELO MICHELE
Bucarest, 10 Settembre 1936

Coi tuoi risparmi comprati oggi un libro, domani un altro e fatti una biblioteca. Una piccola biblioteca legionaria.


Sia essa l’ornamento e l’orgoglio della tua casa. Essa ti illuminerà l’intelletto e ti indirizzerà sempre sulla buona strada.

Quando vuoi far qualcosa di buono per qualcuno; se gli vuoi bene e vuoi farlo contento; se vuoi salvarlo dal traviamento, compera per lui un libretto e mandaglielo.

Il piccolo sacrificio ti sarà ricompensato quando saprai di aver salvato un uomo.

Cerca, per quanto è possibile, di rifornirti soltanto alla rivendita legionaria. [...]



sono presenti i libri della cultura tradizionale e i testi della cultura non conforme.

Gli autori: Evola, Guenon, Sermonti, De Giorgio, Mishima, Romualdi etc.
Le case editrici: Raido, Il Cinabro, EffeDiEffe, Sentinella d’Italia, Ritter, Trecento, Ritterkreuz, S.E.B., L’Uomo Libero etc.

Finalmente a Civitavecchia uno spazio libero, contro la palude della cultura moderna.

Il Valore del Dono - Il Richiamo della Tradizione
Quest’anno per natale scegli i libri di Raido.
Un granaio spirituale in servizio permanente effettivo


domenica 6 ottobre 2013

Ai confini del nero - presentazione editoriale

Azione Punto Zero, in collaborazione con

Centro Studi Raido - Roma, Il Fascio Etrusco – Cerveteri,
Casa D’Italia - Colleverde, Roma



Domenica 13 Gennaio alle ore 11
Presso la Sala della Repubblica dei Ragazzi
In Via Aurelia sud, 84 a Civitavecchia Roma



Organizzano
la presentazione editoriale dell'ultima opera letteraria del Prof. Mario Merlino,



“Ai confini del Nero”



Oltre alla presenza dell’autore saranno presenti
La Dott.ssa Roberta Di Casimirro, regista Rai
Roberto Rosseti, giornalista Rai 



La giornata si concluderà con un pranzo per il quale è necessaria la prenotazione


Mario M. Merlino: ‘Ai confini del nero’

Ho davanti a me, su questa scrivania, dove arrangio anche questo ‘pezzo’, l’ultimo dei miei figli (forse, più esattamente, un ennesimo me stesso ove contemplarmi e compiacermi)… Ai confini del nero, il suo titolo con la copertina grigio-scura e la fotografia realizzata da Simone e ridefinita da Marco. Copertina nata mentre si percorreva la via Tiburtina, poco dopo il complesso carcerario di Rebibbia. Ad altro era rivolta la nostra attenzione, poi questo edificio alto scheletro dismesso senso di abbandono fine di un mondo desolazione (Bakunin rilevava che nello spirito della distruzione si annidano già le premesse dell’edificazione; Nietzsche, filosofo e poeta dal linguaggio asciutto ed abissale ammoniva che ‘là dove ci sono sepolcri, là vi sono resurrezioni’).

Ora del tramonto, tripudio e incendio di luci gioco di ombre… L’ora in cui per il filosofo Platone si addensano i pensieri e Giulio Cesare invita, nel silenzio della tenda, di prendere tavoletta e stilo e misurare quanto e come si è vissuto il giorno. Poi Martin Heidegger annota, dopo aver trascorso la notte ospite di un suo ex allievo, mentre, su Friburgo, le bombe alleate si divertono a devastare, annientare, radere al suolo quanto di cultura tedesca ed europea aveva sfidato per secoli il mondo: ‘Il tramontare è diverso dal perire. Ogni tramonto resta al sicuro nel sorgere’.

Una copertina che può apparire decadente, con la mia immagine da hippie che non favorisce i colori dell’arcobaleno le api che succhiano il polline le formichine laboriose i bambini che saltellano sul marciapiede… Forse una provocazione, non so. Però non è così: ho sempre a mente il testimone che Robert Brasillach ci ha lasciato, poco prima di essere portato davanti al plotone d’esecuzione, a conclusione di Lettera a un soldato della classe ’40 quella fierezza e quella speranza a cui abbiamo tentato di tenere fede. E la gioia di vivere, senza la quale non vi sarebbe premio, la fierezza finirebbe in testardaggine e la speranza in illusione…

Dunque la copertina si offre al mio sguardo e, se fossi capace di usare lo skanner (?), l’avreste anche voi… beh, magari venite a qualche prossima presentazione o l’ordinate in libreria… mi darete ragione. La luce che filtra e colora d’una calda aurea atmosfera il luogo abbandonato alla nientità non può evocare funerei pensieri, lande desolate, malevoli storie. E la luce del sole, pur nel volgersi alle ore della sera, ben corrisponde a quella luce che pervade le storie che compongono il contenuto del libro. Cinque in tutto, come furono in Atmosfere in nero, con qui delle dediche più lunghe e un fuori programma tutto personale.

Chi sono i protagonisti di questa raccolta se non, salvo in un caso, persone esistite o ancora esistenti, pur nell’arbitraria rielaborazione di un momento della propria esistenza. Il vero il verosimile la libertà dello scrittore. E ci insegnano che si può avere un animo grande. Si può scegliere, comunque e nonostante tutto, con uno scatto di reni, un attimo di follia, per un sì o per un no e magari senza sapere cosa si cela dietro l’uno o l’altro. Intensità o durata… Negli ultimi anni dietro la cattedra avvertivo l’astrattezza delle idee dei concetti delle teorizzazioni delle visioni sistematiche protese ad essere onnicomprensive e finire per essere divoratrici dell’esistente. E, al contrario, la vecchia storia piena di aneddoti, di uomini e di donne, e dei filosofi che abbracciano i ronzini percorrono le vie di Koenigsberg con il medesimo passo e alla medesima ora cercano l’immortalità bevendo la polvere del ferro limato…

Abbandoniamo il mio libro al suo destino… Ogni lettore lo renderà a se stesso con la propria sensibilità attenzione interesse oppure lo respingerà fuori dal proprio mondo. Era forse per questo che Socrate non volle avere nulla a che fare con la parola scritta e Platone rimprovera il dio egizio Toth per aver insegnato agli uomini l’uso della scrittura. Avremmo trovato la nostra strada anche su un libro dalle pagine bianche… Eppure, eccomi qui a scrivere, scrivere per vincere la morte, scrivere per sentirmi meno solo, scrivere per lanciare ponti verso gli altri la natura e, chissà, qualche oscura divinità, scrivere per vanità per dispetto per riderci sopra o per rabbia, per essere fedele ai ‘confini del nero’ dove ho collocato ‘la torre del nostro orgoglio e della nostra disperazione’.

Mario M. Merlino
fonte: http://www.ereticamente.net