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lunedì 23 novembre 2015

Lotta all'ISIS, Europa inerme senza l'appoggio degli USA


L'indignazione e il clamore sollevati dai leader europei dopo gli attacchi terroristici di Parigi resteranno nell'aria: l'Europa non è in grado di dare una decisa risposta militare finchè gli Stati Uniti non saranno convinti della necessità di tali misure, ritiene il direttore del centro “Carnegie Europe”.

I raid aerei compiuti dalla Francia contro le posizioni dello "Stato Islamico" dopo gli attacchi terroristici di Parigi sono solo simbolici, dal momento che un tale affronto richiederebbe una risposta più ampia da parte dei Paesi europei, ritiene Jan Techau, direttore del centro "Carnegie Europe".

Secondo l'analista, un'operazione militare seria è possibile solo in un'alleanza con gli Stati Uniti, Paese che al momento si oppone ad un intervento terrestre nel conflitto in Siria. L'Europa è ancora in attesa del soccorso di Washington. Se gli Stati Uniti non intendono assumersi questo impegno, l'Europa rimarrà ferma.

Un altro problema è la mancanza di comprensione teorica delle finalità e degli obiettivi che il Vecchio Continente dovrebbe necessariamente risolvere in Medio Oriente con mezzi militari, ritiene il politologo.

"Nessuno in Europa è capace di definire gli obiettivi politici da raggiungere iniziando una guerra. Senza fissare obiettivi politici non ha senso avviare una campagna militare: le operazioni si protrarrebbero a lungo e comprometterebbero gli interessi degli stessi organizzatori."

"Senza un progetto politico e senza un potenziale militare non può esserci una politica estera forte, pertanto il clamore sollevato dai leader politici europei si tradurrà nel nulla," — scrive il direttore del "Carnegie Europe".

Conseguentemente gli europei continueranno ad agire in Medio Oriente come stanno facendo da molto tempo: aspettare una reazione degli Stati Uniti, aggiunge l'analista.

La politica estera europea è inesistente e copia quella degli USA: Bruxelles ha seguito la linea diplomatica di Washington ai colloqui sul processo di pace in Siria e seguirà la Casa Bianca se opterà ad un intervento militare per risolvere il conflitto.

Questa dipendenza è ritenuta dall'esperto molto pericolosa per l'Europa.

In primo luogo non è sempre comodo dipendere dagli altri e in secondo luogo gli europei non avranno altra scelta che seguire la politica di Washington anche quando porta al disastro, come è successo in Iraq.

(Fonte: www.sputniknews.com)

mercoledì 18 novembre 2015

Nell'Europa dell'accoglienza sarà crisi sociale


Fonte:/www.ildiscrimine.com)
Ho già avuto modo di evidenziare le differenze fra migranti, rifugiati e profughi. I primi, emigrati volontariamente per motivi prevalentemente economici; i secondi, riparati all’estero per sfuggire ad una ingiusta e grave persecuzione; gli ultimi, infine, costretti ad espatriare da momentanee ancorché gravi emergenze: guerre, carestie, catastrofi naturali.
A parte i pochi rifugiati veri (cioè i perseguitati che se tornassero in patria andrebbero incontro ad una punizione immeritata e spesso crudele), i due flussi che in questo momento si riversano in Europa hanno caratteristiche diverse: il flusso africano (che investe Italia, Spagna e Francia) è in larghissima parte formato da semplici migranti economici, anche se la maggior parte di costoro afferma di essere fuggito da improbabili persecuzioni o da guerre di cui si sconosce l’esistenza; il flusso asiatico (che investe la Grecia e punta sulla Germania) è in buona parte formato da profughi veri – specie siriani e iracheni – con l’aggiunta di una non trascurabile aliquota di migranti economici provenienti da vari paesi asiatici e mediorientali, spesso dotati di falsi passaporti siriani, che – si dice – verrebbero fabbricati dai servizi segreti turchi.
Ed è appunto su quest’ultimo filone – quello dei profughi in marcia attraverso i Balcani – che intendo soffermarmi. Naturalmente, tralascio per ora alcune riflessioni sulle cause remote di questo fenomeno (ma sarà utile tornarci in uno dei prossimi numeri) e vengo alla stretta attualità. Si tratta – dunque – di un’ondata migratoria che ha la propria piattaforma di partenza in un Paese ostile all’Europa (in questo caso la Turchia di Erdoğan, come nel nostro caso la Libia delle milizie islamiche) e che si riversa nel nostro Continente attraverso la cosiddetta “rotta balcanica”. Attenzione, però, questi profughi (parlo naturalmente dei profughi veri, non degli afghani con passaporto turco-siriano) hanno già trovato un asilo temporaneo nei Paesi immediatamente a ridosso dei confini della loro patria: non fuggono più dai bombardamenti o dalle esecuzioni di massa dell’ISIS, e non sono perciò in quel “grave ed imminente pericolo” che impone agli Stati civili di dar loro accoglienza. Semplicemente, hanno fin qui condotto una vita grama nei campi di raccolta dei Paesi confinanti ed hanno perciò deciso di emigrare verso le nazioni europee, dove sperano di trovare condizioni di vita migliori che non in Turchia, in Libano o in Giordania. Da profughi, si sono oggettivamente trasformati in migranti economici; non chiedono, quindi, riparo dalla guerra o dalle follie jihadiste, ma soltanto di poter trovare migliori e più confortevoli condizioni di vita. Cosa perfettamente legittima, umanamente comprensibile, più che comprensibile. Solo che – attenzione – mentre le nazioni civili hanno l’obbligo (morale, se non anche giuridico) di accogliere chi fugge da una guerra, tale obbligo non sussiste nei confronti di chi è “in cerca di una vita migliore”. Il perché è evidente: se si abolissero le frontiere (i “muri” che tanto inquietano gli utopisti di casa nostra) e si desse a chiunque il diritto di fissare la propria residenza ove più gli aggrada, nel giro di pochi anni verrebbe completamente distrutto il sistema politico, giuridico, sociale, economico, antropologico-culturale che ha finora retto la vita dei popoli e gli equilibri internazionali, precipitando il mondo intero in una fase di totale e brutale anarchia.
Senza voler avventurarci in previsioni di lungo periodo, questa invasione di profughi mediorientali – come anche l’altra di migranti africani – ha una connotazione particolare e particolarmente inquietante: non chiede un asilo temporaneo (come nei campi-profughi) ma una residenza permanente; e chiede posti di lavoro, alloggi popolari, assistenza sanitaria, e quant’altro molti Stati europei non sono in grado – colpevolmente – di assicurare neanche a tutti i propri cittadini.
Queste cose le sanno tutti, le capiscono tutti, anche il Papa, anche la Merkel, anche la grande stampa “buonista”. Eppure, tutti fanno finta di niente, sembrano non accorgersi che questa invasione, queste invasioni a orologeria minacciano, oltre che la nostra identità etnico-etico-culturale, anche i nostri equilibri sociali. C’è qualcuno, poi, come quel giovanotto che ci ritroviamo alla Presidenza del Consiglio, che aggiunge problemi a problemi, facendo approvare dal Parlamento una legge che attribuisce automaticamente la cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia da cittadini stranieri. Tanto, il giovanotto sa benissimo che i frutti avvelenati dello “ius soli” non riguarderanno la sua gestione; saranno cavoli amari dei suoi successori fra qualche anno, quando i figli degli immigrati, diventati cittadini italiani, contenderanno ai nostri figli anche gli ultimi brandelli di benessere che i parametri di Maastricht e l’incombente Trattato di libero scambio con gli USA ci avranno lasciato.
Michele Rallo
Fonte: “Social”, 6 nov. 2015 (per gentile concessione dell’Autore)

martedì 15 settembre 2015

Le verità che non dovete sapere



(Fonte: www.rischiocalcolato.it) Posto in evidenza questo video per mostrare i veri comportamenti dei “poveri migranti siriani” che dobbiamo “accogliere” senza limiti, e la pazienza inerme della polizia ungherese da loro insultata ed umiliata.
Quando gli ungheresi gettano loro cibo da oltre un reticolato, i media occidentali – tutti ad imitare la BBC – han commentato che gli ungheresi li trattano come animali, e come i nazisti facevano ai poveri ebrei. Qui, subito dopo, potete vedere come i poveri migranti trattano un giovane volontario ungherese che è sceso fra loro con generi di soccorso: guardate come gli strappano la borsa, guardate come lo lasciano inerme. Guardate, in Francia, come assaltano il camioncino della volontaria Claudine, la spaventano e costringono alla fuga…per poi gettare il cibo che hanno rapinato con spregio, per terra. Guardate come lanciano pietre ai macchinisti di un treno a Budapest.
E’ per forza che si deve nutrirli da dietro un reticolato.Sennò, ecco cosa succede:
Guardate come insultano e minacciano la polizia ungherese che, sottomessa, cerca di dar loro tanichette d’acqua potabile; guardate con che arroganza gettano via l’acqua sui binari, e insultano i poliziotti che se ne vanno, inermi. E’ una torma di trattare coi manganelli, ma ci sono le telecamere e i fotoreporter Quelle telecamere che falsificano gli eventi per farvi odiare gli ungheresi, e commuovere per i poveri innocenti “siriani” cui la Merkel offre lavoro ed asilo in Germania, e la cattiva Ungheria respinge.
Questa foto vi ha fatto commuovere:
foto binario ungheria
Mostra, vero o no?, una povera famigliola che gli agenti magiari brutalizzano sui binari. Ma guardate al minuto 2.30, come sono andate veramente le cose: il tizio “siriano” ha gettato lui moglie e figlioletto sui binari, e gli agenti ungheresi stanno cercando di soccorrere donna e bambino  per sottrarli alla furia dell’uomo.
E’ una replica del trucco cinico che vi hanno assestato col piccolo Aylan, che tanto vi ha fatto commuovere col suo cadaverino sulla spiaggia di Bodrum; ebbene, il papà è uno scafista che ha guadagnato almeno 10 mila dollari organizzando il passaggio, ed è il vero colpevole della morte della sua intera famiglia, moglie e due bambini.
Ma non vedrete mai foto e video sui nostri media mainstream.   Come, mentre vi mostrano l’orribile “Muro ungherese”, ma  non vi mostrano mai il  muro israeliano,  una orribile  fortezza di cemento con torrette e mitragliatrici  e camere-spia,   e come i palestinesi – quelli sì – sono trattati come bestie e messi  in fila  nelle gabbie
E’ una verità che non dovete sapere, perché dovete bervi la versione ufficiale: in Europa ci sono nazioni caritatevoli e nazioni razziste. I “siriani” sono agnelli che bussano alle nostre porte desiderosi solo di lavorare e farsi europei. Naturalmente il termine “siriani” va’ messo fra virgolette, perché la maggior parte di questi pretende di entrare in Europa senza dare alcuna generalità, rifiutano di farsi prendere le impronte digitali; nella massa si sono visti molti pakistani strappare i loro documenti per farsi passare per “siriani”. E sì che ce ne sono molti di questi video. Ve ne diamo uno solo, dove i poveri “siriani” che vogliono solo integrarsi urlano – un orlo scandito – alla polizia magiara, a Budapest, “vaffanculo” (fuck you) e “Allahu Akbar!”, il grido di guerra islamico.

Maurizio Blondet








lunedì 31 agosto 2015

Europa, ascolta la lezione di Putin

Ora che la crisi greca è rientrata, almeno apparentemente e momentaneamente, sarebbe finalmente opportuna un po’ di autocritica. La dovrebbe fare l’Occidente in generale, totalmente schiavo dei grandi gruppi finanziari che muovono come marionette le istituzioni del vecchio e del nuovo Continente.

La dovrebbe fare ancora di più quella Unione Europea che, oltre ad avere sulla coscienza la non ortodossa Terza Guerra Mondiale che si sta consumando nel disinteresse dei media e che sta segnando la colonizzazione lenta dei Pigs da parte di Francia e Germania, continua ad andare acriticamente a rimorchio degli Stati Uniti: un viaggio con l'unica bussola dell'interesse personale. Deve risultare chiaro che mai come in queste settimane si è andati vicini, vicinissimi alla Quarta Guerra Mondiale. Sarebbe bastato poco: se la Russia avesse lanciato un salvagente a Tsipras, riscattando il debito nei confronti della Troika e offrendo loro condizioni più umane e realistiche, la Grecia sarebbe passata sotto la sua influenza e avrebbe aperto una breccia difficilmente rimarginabile nella credibilità di un'Unione azzoppata nei suoi valori costituenti. L'effetto a catena è facilmente immaginabile: le uscite di Austria e Ungheria sarebbero state inevitabili, visto che non da oggi si mostrano insofferenti verso la diarchia franco-teutonica che regge l'Europa.
In un simile contesto la figura di Putin si sarebbe rafforzata, dopo aver smascherato una volta per tutte le condizioni usuraie che la Troika impone da anni ai Paesi che ha messo in difficoltà lei stessa (grazie anche alla complicità di agenzie di rating sulle quali peraltro sono aperte diverse inchieste giudiziarie). Putin aveva già lasciato correre ai tempi della crisi di Cipro, evitando conflitti con USA e con UE. Sicuramente però sfilare la Grecia dalla sfera d'influenza europea sarebbe stata un'occasione mediaticamente più succulenta che non la piccola isola del Mediterraneo. Un'occasione più simbolica che non economicamente vantaggiosa, certo. Eppure ancora una volta è prevalso il buon senso del premier russo, che ha evitato le reazioni isteriche della politica obamiana.

E laddove non arriva l'autocritica americana, ci si aspetterebbe che almeno l'Europa battesse un colpo, quell'Europa culla delle migliori diplomazie mondiali che dovrebbe ritrovare il suo pragmatismo e la sua prospettiva di potenza mondiale. E invece l'UE, spinta dalla Germania — a sua volta pressata degli States — starebbe studiando altre sanzioni contro la Russia. Una decisione tanto più grottesca visto che Putin ha a più riprese offerto disponibilità a supportare azioni contro l'avanzata del terrorismo islamico in Medioriente.
 
Questa sì una apertura fondamentale perché, in controtendenza rispetto al passato, potrebbe portare ad un fronte Occidentale e Orientale compatto nei confronti dell'Isis e a difesa di quella rete valoriale e culturale che dovrebbe essere il collante ultimo della Comunità europea. A Obama non è bastato destabilizzare col suo aperto supporto alle primavere (anglo)arabe un'intera regione che anni di impegno dei suoi predecessori avevano contribuito a stabilizzare. Così, in piena scadenza di mandato, continua a muoversi sullo scacchiere internazionale come un elefante in cristalleria. Imperterrito insiste a stuzzicare una Russia che a differenza degli Usa rimane l'unico punto fermo per la comunità di popoli che compongono la variegata Europa.

Oggi l'Europa insegna al mondo soltanto l'egoismo profondamente nazionalista radicato nella Germania della Cancelliera Merkel, che crede di essere la presidentessa degli Stati Uniti d'Europa. Eppure il referendum greco dovrebbe averle dato un assaggio di che cosa pensano molti cittadini delle sue idee. Ma tanto il consenso popolare è ormai diventato un optional: se non serve per legittimare un governo nazionale (per esempio l'Italia), figuriamoci a livello di organismi sovranazionali.
E pensare che recentemente Romano Prodi ha presentato il salatissimo conto delle sanzioni per l'Italia: persi 85mila posti di lavoro e lo 0,9% di Pil. Quando si alzerà qualcuno al Parlamento europeo chiedendo un dibattito vero sulla politica internazionale comunitaria che ci si vuole dare da qui al 2040? Oggi vengono solo presentati e votati documenti già preconfezionati dagli USA: è questa l'idea di Europa che hanno Merkel e Hollande? Ormai è andata perduta la missione che ci si era dati quando si fondò l'Europa: creare un terzo blocco mondiale. Ora non solo non siamo terzo referente nel globo, ma stiamo rischiando anche la nostra stessa identità, schiacciati come siamo dal terrore verso le tradizioni che ci hanno fatto grandi in passato e dalla sudditanza verso una grande super potenza che dopo la Seconda Guerra Mondiale è intervenuta solo dove aveva interessi economici.
 

venerdì 4 ottobre 2013

8 MAGGIO 1945: LA FUCILAZIONE DI KARLSTEIN


A Bad-Reichenhall, una cittadina poco distante da Salisburgo, è presente la testimonianza di una tragica storia troppo poco conosciuta. Nel maggio 1945, un gruppo di dodici francesi appartenenti alla divisione della Waffen-Grenadier delle SS “Charlemagne”, facenti parte della Legion des Volontaires Francais (volontari arruolatosi a fianco della Wehrmacht nella lotta contro il bolscevismo) e protagonisti della disperata ed estrema difesa di Berlino, furono internati nella caserma degli Alpenjager della piccola località tedesca, dopo essersi consegnati al nemico.
In seguito alla notizia dell’arrivo sul posto di truppe francesi della seconda divisione corazzata comandata dal Leclerc, essi tentarono una rapida fuga, ma vennero sorpresi. Il generale chiese loro il motivo per il quale indossassero una divisa tedesca, pur essendo francesi: in risposta essi gli fecero notare che il rimprovero giungeva da una persona che vestiva la divisa americana. Reputato quest’ultimo fatto come un atteggiamento insolente, essi vennero condannati a morte senza processo.
La terribile esecuzione ebbe luogo l’8 maggio nell’adiacente Karlstein, in una radura, non fu effettuata tutta in volta bensì in gruppi di quattro, di modo che, ad eccezione del primo gruppo, le SS potessero veder morire davanti ai loro occhi i propri Camerati. Tutti rifiutarono di indossare la benda e caddero coraggiosamente gridando “vive la France!”.
I corpi furono sepolti sul posto e quattro anni più tardi, nel 1949, furono riesumati e trasportati al cimitero di Bad Reichenhall, dove ancor oggi riposano. Nel luogo della sepoltura, sul muro, vi sono quattro lapidi: La prima porta i nomi di 4 tra i caduti (Paul Briffaut, Robert Doffat, Serge Krotoff, Jean Robert) più l’indicazione che otto sono sconosciuti, accanto all’emblema della divisione; la seconda il tricolore francese e il motto “Il tempo passa, il ricordo resta”. Nella seguente è inciso il Giglio di Francia con dodici fiori a ricordo dei dodici fucilati, più la dedica “Ai dodici valorosi figli della Francia che l’8 maggio 1945 a Karlstein da prigionieri furono uccisi dal vincitore senza processo”; l’ultima, più recente, una lapide nera con croce a sinistra e ascia bipenne a destra, reca la scritta in francese “essi in ginocchio fecero il giuramento.. Camerati presenti!”

Il loro sacrificio ci ricorda oggi l’altissimo Valore di uomini che, andando oltre il patriottismo e il sentimento nazionalistico, sono partiti volontari in nome di un’Idea comune che sentivano in dovere di difendere fino al costo della vita. Essa, oggi arde e vive nel cuore di chi sente l’appartenenza ad un Europa che affonda le proprie radici in una secolare storia. Essi hanno dunque donato loro stessi nell’estrema lotta del sangue contro l’oro, della visione organica, verticale e gerarchica contro la visione particolaristica, orizzontale e livellatrice, e pur non avendo un legame di parentela stretta col popolo tedesco, ne superarono le divergenze in nome di un bene
più alto.
Allo stesso tempo, palesa la codardia di chi, prostrato al potente, sentendosi vincitore e in grado di decretare sentenze senza alcun rispetto e senza morale, ha fucilato i propri connazionali costringendoli oltretutto alla sofferenza di veder cadere i propri fratelli uno dopo l’altro. Non ci vuole molto a capire che se questi sono i gesti di chi si proclama portatore di amore e libertà, qualcosa non torna…
Ogni anno si svolge al cimitero una cerimonia in ricordo di questi uomini, esempio di un amore incondizionato, che hanno incarnato pienamente l’Imperium svincolandosi dai paletti imposti da un patriottismo che solitamente acceca gli occhi che, se lucidi, aprono ad orizzonti più vasti, appartenenti ad una Tradizione universale che accomuna nella lotta gente proveniente da ogni angolo d’Europa.

Un equipaggio di AzionePuntoZero di passaggio a Bad-Reichenhall, ha voluto rendere onore ai camerati caduti con un presente: in questo modo, ai dodici valorosi va anche la nostra memoria, e il pensiero che il loro esempio è testimonianza che la possibilità di una vera Europa unita esiste, e che le voci possono, nonostante le diverse lingue, unirsi in un solo coro invocante una rivolta contro la sovversione del mondo moderno.



sabato 7 settembre 2013

Il ragazzo dell’Europa, prima e dopo l’8 settembre

Ogni anno l’8 di Settembre, data spartiacque tra due mondi di concepire la vita e il mondo, non solo per l'Italia ma anche per l'Europa, ci offre l'occasione di spendere qualche riflessione che metta in chiaro, ancora una volta, la distanza tra l'orizzonte verso il quale le persone prima di questa data tendevano, come singoli e come popolo e il pantano borghese in cui ci troviamo. Per questo intento, lasceremo da parte i discorsi meramente politici, per analizzare lo stato d'animo di due canzoni simboliche delle due barricate, entrambe avente lo stesso titolo, "Ragazzo dell'Europa". 

Da una parte c'è la canzone di Gianna Nannini, che si contestualizza nell'Europa liberal-democratica dei nostri giorni, della libera circolazione del capitale e della forza lavoro. Un'Europa "comunitaria" che esiste per consumare e produrre e la cui unica preoccupazione è l'andamento dell'economia. Così, anche la vita dei giovani di questa Europa non può che essere inchinata alla materia ingannati come sono che quel che conta è vivere tutte le "esperienze" possibili attraverso la pratica e la profanazione di tutto. La canzone della Nannini esalta un randagismo che invita a spremere il proprio corpo come uno straccio per godere il più possibile, esaltando la vita istintuale che risucchia l'individuo nell'anonimato della specie. Il ragazzo di questa canzone non ha radici, esso "non pianta mai bandiera",  per cui non si sente neanche in dovere di trasmettere un'eredità che avrebbe dovuto cogliere con cura e consegnare a sua volta. 

L'altra canzone, invece, quella che richiama i valori che animarono l'Europa prima dell’8 settembre, è degli Hobbit. Il testo racconta di un ragazzo dell'Europa ben consapevole di appartenere a un suolo, a un popolo ed a un passato. Sa che solamente l'altitudine crea nuovi orizzonti e che vivere seguendo i piaceri è da plebeo mentre i nobili aspirano all’Ordine, alla Verità, alla Bellezza, alla Giustizia. La vita, in questo caso, non è un vagabondaggio, ma una missione che richiede fedeltà illimitata poiché colui che vede più lontano è anche colui che ha saputo salire più in alto.
Le opere artistiche, come i due brani musicali proposti, sono un indicatore dei valori  che hanno guidato la creatività dell’artista, per cui non ci stupiamo neanche più di tanto quando vediamo la Nannini spopolare con il suo inno alla dissolutezza mentre gruppi come gli Hobbit vengono emarginati dal mondo della musica propinata alle giovani generazioni.

Nico di Ferro


venerdì 8 febbraio 2013

eurotroll, monitoratori oscuri..

La nostra Europa è stata violentata ma.. nessuno potrà dire che si è piegata!


La UE ha deciso di addestrare eurotroll per impedire la diffusione di "sentimenti anti euro". Così l'anno prossimo voteremo secondo prescrizione.
Beh che dire, preparatevi: tra qualche mese, ogni volta che qualcuno su Internet, Facebook o Twitter si azzarderà a menzionare certe parole chiave, vedrà l'assalto dei troll pronti ad azzannarlo.
Scrivere "uscire dall'euro", "MES", "fiscal compact", "ritorno alla lira" o altre parole ad alto rischio di critica attirerà subito gli esperti del caso, quelli bravissimi asfottere, deridere, insinuare, insomma a buttare tutto in caciara. Troll professionisti. L'ha scoperto il Telegraph, che racconta come l'Unione Europea si stia preparando alle elezioni del prossimo anno cercando di preservare se stessa e le proprie istituzioni investendo qualche milione di euro allo scopo. Così l'articolo:
"Particolare attenzione sarà prestata ai Paesi che hanno sperimentato un aumento dell'euroscetticismo", dice un documento confidenziale dello scorso anno. "I comunicatori istituzionali del Parlamento dovranno avere l'abilità di monitorare le conversazioni pubbliche e il sentiment popolare, per capire gli argomenti di tendenza, e avere la capacità di reagire velocemente, in un modo mirato e rilevante, unendosi alla conversazione ed influenzandola, per esempio, fornendo fatti e distruggendo miti." Il training per i funzionari comincerà questo mese.
Qualche deputato ha protestato, sostenendo che "spendere più di un milione di euro peraddestrare funzionare pubblici a diventare troll di Twitter in orario di ufficio, è uno spreco e una cosa ridicola".
Ma è la prima volta che un'istituzione pubblica di tale importanza, come è l'EU,  assoldi troll per orientare le elezioni politiche che la riguardano direttamente nella direzione che ritiene più comoda.
fonte:http://crisis.blogosfere.it

martedì 5 febbraio 2013

La generazione Erasmus, la generazione sospesa


A partire dalla fine del secolo scorso la società civile, finanziata rigorosamente da ingenti somme estere, ha messo in moto una gigantesca e sottile campagna, che continua tutt’ora, consistente nell'educare i giovani ad essere “aperti”, “tolleranti” e “senza complessi”, guarda caso proprio quello di cui ha bisogno il mercato internazionale del lavoro. Il risultato è davanti agli occhi di tutti: la generazione Erasmus. Quest'ultimo è il nome del programma universitario europeo che permette agli studenti di trascorrere parte della loro carriera accademica in un paese dell’Unione, istruendoli ad essere “flessibili” e internazionalisti o, ancora meglio, la generazione “Work and Travel”. Questa formula, indica le offerte lavorative provenienti da paesi lontani indirizzate ai giovani attirandoli a lavorare per delle paghe misere in cambio della possibilità di viaggiare, adescandoli con la promessa dell’esperienza e della novità.
Una intera generazione di giovani cresciuta non avendo alcuna aderenza alla terra, che non desidera nulla per il proprio paese, se non un’occasione per andarsene oltre i mari e in paesi esotici per un “job”. La sua libertà non significa altro che la libertà di essere nessuno, di evadere il più lontano possibile dalla nave naufragata. Una parte di questi naufraghi non vogliono neanche più tornare. Ma non perché sarebbero disgustati dell’incompetenza e della corruzione  della classe politica antifascista (motivo molto serio tra l’altro)  che hanno ridotto il paese sul lastrico, ma perché non hanno più alcun valore che giustifichi un ideale. Non hanno un sentire in base al quale associarsi per dare vita a una forza sociale. Non trovano motivi per rimanere o per ritornare a casa perché sono privi di qualsiasi forza creatrice. 
Cos’altro avrebbero da proporre al di fuori di americanismi e gadget d’ultima ora?
Ci si muove progressivamente verso il modello della “società aperta”, nella quale l’unico diritto reale è quello della “libera circolazione”. Aspetto, quest’ultimo, paradossale, che è facilmente vibile nel caso dell’Europa dell’est, la quale con la caduta del blocco comunista, ha si guadagnato il diritto a viaggiare liberamente, ma ha perso il diritto di rimanere a casa.
Si spera che ben presto i giovani prendano coscienza del fatto che i problemi si possono risolvere solo attraverso “noi stessi”, raggruppandosi, mediante il lavoro e il sacrificio. Un’altra via semplicemente non esiste.

martedì 12 aprile 2011

EUROPA RISORGI! Ingenuità europea e concretezza americana

Noi europei siamo proprio ingenui e sprovveduti: prima fomentiamo le rivolte in Nord Africa e poi ci meravigliamo delle prevedibili conseguenze, facendoci cogliere impreparati dall’ondata di sbarchi e dai rincari petroliferi.
Ed ora che la situazione è totalmente fuori controllo e la crisi rischia di scoppiare - non in Africa, ma in Europa - è tutto uno scarica barile tra stati europei terrorizzati dalla massa di disperati che preme alle frontiere.
Non solo, per abbattere i regimi, fino a ieri osannati, ci siamo rivolti - ancora una volta - al grande fratello americano il quale ha prontamente risposto al nostro appello nell’unico modo che conosce: quello della violenza e delle armi….e giù bombe che uccidono più civili che sostenitori del rais.
Un copione già visto. Dai bombardamenti terroristici sulle città italiane e tedesche durante il secondo conflitto mondiale, alle bombe al napalm in Wietnam, dai proiettili all’uranio impoverito dei Balcani, alle bombe al fosforo bianco in Iraq la storia si ripete.
Passano i tempi, mutano gli scenari, ma lo schema è sempre lo stesso: distruggere per poi gestire il business della ricostruzione, creare nuovi mercati e ottenere il pieno controllo delle fonti energetiche attraverso governi compiacenti e devoti.
L’America ha dunque validi motivi, soprattutto economici e geopolitici, per partecipare ai conflitti che insanguinano il pianeta, ma l’Italia e l’Europa che ruolo hanno in queste vicende? Dal 1945 in poi il nostro ruolo si è ridotto a quello di fedele e scodinzolante alleato dell’America, tuttavia controllato a vista come dimostrano le 131 basi Nato e americane presenti sul nostro suolo.
Anche quest’ultimo intervento, come i precedenti nei Balcani, in Iraq e Afganistan, è stato sostenuto da tutti i partiti presenti in Parlamento e pienamente condiviso dal nostro Presidente della Repubblica Napolitano che, in questa circostanza, ci ricorda il Re con l’elmetto che sottoscrive le entusiastiche campagne militari in Africa durante gli anni trenta. Solo che allora si facevano per gli interessi italiani, mentre ora si fanno per gli interessi americani, pardon ….per la democrazia!

Gianfredo Ruggiero, Presidente Circolo Culturale Excalibur - Varese